Un giudice distrettuale americano ha dato il via libera questa settimana a una mega-fusione nell’ambito delle telecomunicazioni e dell’intrattenimento televisivo che potrebbe innescare una valanga di acquisizioni verticali nel prossimo futuro, con evidenti ripercussioni sia sulla deriva monopolistica negli USA sia per quanto riguarda il principio democratico della libertà di espressione.

 

Il gigante AT&T si è visto dunque la strada spianata per l’acquisto di Time Warner grazie alla sentenza del giudice di Washington, Richard Leon, che ha giudicato legittima un’offerta da 85 miliardi di dollari nonostante l’opposizione del dipartimento di Giustizia. L’operazione era in sospeso da mesi e dovrà essere finalizzata entro il 20 di giugno.

 

AT&T è al primo o al secondo posto negli Stati Uniti in vari settori, dalle linee telefoniche fisse a quelle mobili, dalla banda larga alla pay TV. I suoi dipendenti in tutto il mondo superano le 250 mila unità e ha una capitalizzazione di mercato di quasi 210 miliardi di dollari.

 

La strategia di questa società, come altre che operano nello stesso ambito, è quella di acquisire entità che detengono importanti “asset” soprattutto televisivi, relativamente sia a reti e canali sia a contenuti e diritti di trasmissione. Il concetto è quello di concentrare infrastrutture, distribuzione e offerta di intrattenimento per competere con realtà come Amazon, Google o Netflix che da qualche tempo producono e distribuiscono intrattenimento e altri eventi, facendo concorrenza appunto alle compagnie tradizionali.

 

In questa prospettiva, Time Warner è un obiettivo importante per AT&T, visto che detiene, tra l’altro, network come CNN e HBO, ma anche, attraverso la propria unità Turner Sports, i diritti di competizioni sportive seguitissime negli Stati Uniti, come l’NBA e l’NCAA di basket e la Major League di baseball.

 

L’ufficio anti-trust del dipartimento di Giustizia dell’amministrazione Trump aveva portato in tribunale AT&T sostenendo che l’acquisizione avrebbe ridotto la scelta a disposizione dei consumatori e fatto alzare il costo di connessioni internet e abbonamenti TV. Per il giudice incaricato del caso, però, il governo non è stato in grado di dimostrare la sua tesi.

 

Come hanno spiegato i giornali americani, per il dipartimento di Giustizia è estremamente raro cercare di bloccare una fusione verticale tra grandi aziende private. In molti sostengono che lo zelo del governo fosse legato all’ostilità del presidente Trump per la CNN, tra i media maggiormente impegnati nel promuovere gli attacchi contro la Casa Bianca nell’ambito del “Russiagate”.

 

Infatti, nel corso del procedimento legale, il dipartimento di Giustizia aveva proposto un accordo alle due compagnie che consisteva nel cedere alcuni “asset”, tra cui proprio l’unità a cui fa capo CNN, con la motivazione ufficiale di impedire “un’eccessiva concentrazione di potere nelle mani di pochi”. AT&T e Time Warner avevano entrambe respinto la proposta del governo e, alla fine, il tribunale distrettuale di Washington ha sentenziato in loro favore.

 

Il dipartimento di Giustizia potrà ora presentare appello e chiedere una sospensione del verdetto, ma lo stesso giudice Leon ha insolitamente raccomandato di non farlo, visti i disagi già creati alle due compagnie in questi mesi e l’approssimarsi dell’ultima data valida per perfezionare l’acquisizione.

 

Fuori dalla discussione, sia in aula sia sui principali media, è rimasta invece la minaccia alla libertà di stampa e di opinione che rappresenta l’affare, così come le conseguenze della concentrazione nelle mani di poche potentissime corporation di servizi cruciali per la democrazia come TV e internet e i contenuti che essi offrono o veicolano.

 

Queste tendenze monopolistiche sono insidiose per la democrazia soprattutto alla luce di due fattori. Il primo è la crescente collaborazione, per non dire integrazione, tra i colossi tecnologici e delle telecomunicazioni e l’apparato militare, della sicurezza nazionale e dell’intelligence americano. Una collaborazione letale per la libertà di opinione, come conferma anche la guerra alle cosiddette “fake news” in atto e la promozione dei media ufficiali come gli unici detentori della “verità”.

 

Il secondo aspetto è da collegare alla recente entrata in vigore negli USA di una norma che abolisce la cosiddetta “neutralità della rete”, cioè la prescrizione legale precedentemente prevista che imponeva a tutti i provider di servizi internet di non attuare politiche discriminatorie nei confronti sia dei siti web sia dei loro clienti.

Tornando alla fusione tra AT&T e Time Warner, la sentenza di questa settimana che l’ha autorizzata si è accompagnata a una singolare puntualizzazione del giudice Richard Leon, il quale ha affermato che il suo parere non rappresenterebbe un precedente per ulteriori acquisizioni verticali di questo genere.

 

Per scoprire l’assurdità della presa di posizione del giudice sono bastate poche ore. Il giorno successivo, infatti, un altro colosso delle telecomunicazioni negli USA – Comcast – ha lanciato un’offerta di acquisizione per una parte di 21st Century Fox, ovvero la creatura di Rupert Murdoch.

 

L’operazione era ampiamente prevista, così come era risaputo che Comcast attendeva l’esito del caso AT&T-Time Warner per procedere. L’offerta da 65 miliardi di dollari in contanti è un rilancio di una precedente leggermente più bassa dello scorso anno e rientra in una competizione con Disney per accaparrarsi alcuni gioielli di Fox.

 

Murdoch aveva respinto la precedente offerta di Comcast principalmente per il timore che l’acquisizione fosse bloccata dal governo di Washington, ma il recente successo legale di quella avanzata da AT&T potrebbe sbloccare la vicenda. Anche perché gli analisti ritengono la cifra offerta da Comcast inarrivabile per Disney.

Questa nuova operazione, secondo il New York Times, provocherebbe una concentrazione di “contenuti e distribuzione ancora maggiore rispetto all’accordo tra AT&T e Time Warner”, aggravando perciò la deriva monopolistica in questo settore negli Stati Uniti.

 

Nelle mire di Comcast, già proprietaria dal 2011 di NBC Universal, ci sono gli studi cinematografici e televisivi di 20th Century Fox, una ventina di canali sportivi locali americani, la rete via cavo FX, il 30% della TV in streaming Hulu e, soprattutto, gli “asset” d’oltreoceano del gruppo di Murdoch.

 

Tra di questi spicca la compagnia indiana Star, che raggiunge 700 milioni di utenti, e la pay TV satellitare Sky, presente in vari paesi europei tra cui l’Italia. L’offerta appena lanciata da Comcast riguarda il 39% di Sky, ma l’obiettivo è quello di acquisirne il controllo completo. In un’operazione separata, infatti, la compagna americana è già in corsa per ottenere il restante 61% dal gruppo del magnate australiano.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy