Dal vertice BRICS a Johannesburg, passando per il G20 a Nuova Dheli e terminando con il G77+Cina a L'Avana, il termine "de-dollarizzazione" è entrato ormai nel lessico abituale della politica, soprattutto quando il Sud globale prende la parola. De-dollarizzazione, dunque. Ovvero, riduzione progressiva dell’utilizzo del Dollaro statunitense negli scambi internazionali e nei depositi di riserve strategiche degli stati. Conseguenze? Riduzione dell’influenza degli Stati Uniti nella gestione dell’economia internazionale. La sola ipotesi genera di per sé un cambio epocale negli equilibri economici internazionali. Si parla non a caso di dittatura del Dollaro, proprio per sottolineare l’influenza assoluta dell’utilizzo della Divisa statunitense sull’economia globale. La sua diffusione e le regole per il suo utilizzo, fissate unilateralmente dell’emittente, determinano una pesante ipoteca degli USA sui mercati internazionali, perché attraverso il potere decisionale sull’utilizzo del Dollaro gli USA decidono quali paesi, quando, dove e in quali prodotti possono commerciare, scambiare, investire.

La de-dollarizzazione è quindi scelta politica: si tratta di restituire libertà alle riserve strategiche dei diversi paesi ed al commercio internazionale, entrambi asset fondamentali per lo sviluppo economico e la conseguente sovranità politica di ogni paese. L’ipoteca politica degli Stati Uniti è ormai insostenibile per tutti.

Il destino della de-dollarizzazione sarà legato al numero di paesi, fondi istituzionali, importatori, esportatori, debitori e creditori che smetteranno di usare solo il Dollaro privilegiando anche altre monete. Il che, ovviamente, vedrà negoziati e rivalutazioni delle altre valute compresa la rinegoziazione dell’impagabile debito. Il che avrebbe un impatto fortissimo sul Sud globale, già la sola intenzione di procedere da parte di alcuni in questa direzione è dirompente per gli equilibri economici internazionali.

Secondo la Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI), il Dollaro è usato nel 90% degli scambi globali, ma la tendenza è ad una sua riduzione. Tendenza che viene ora sostenuta dal più importante blocco economico del mondo, i BRICS+, che in attesa di una ventina di paesi in adesione ed altrettanti che ne stanno studiando la possibilità, già oggi supera di diverse lunghezze il G7 che, al contrario, non vede nuove adesioni all’orizzonte.

Il recente vertice dei BRICS+ ha dato rilievo generale e sul dove e come procedere e dovrà fornire una risposta anche tecnica, non solo politica. Il cammino sembra essere questo (con velocità diverse da paese a paese): una nuova moneta, comune e digitale, che sia funzionale alla riforma del sistema monetario internazionale.

Non sarà un processo rapido. I paesi con riserve strategiche in Dollari (quasi tutti) hanno non poche difficoltà a cambiare valuta, per le ripercussioni negative sul valore di una vendita repentina e massiccia e per le conseguenze politiche del gesto. Del resto le banche internazionali, comprese quelle degli aderenti ai BRICS+, hanno la pancia piena di Dollari e di titoli non esigibili, ovvero debito tossico. Servirà quindi un progetto politico che comporti anche una unificazione bancaria e fiscale, che crei una convergenza macroeconomica solida che tenga conto degli squilibri commerciali esistenti e che non ripeta gli errori dell’unificazione monetaria europea.

Saranno diversi gli step per arrivare a modificare completamente o in buona parte la struttura economica internazionale, ma i BRICS+ non sono un club di fanatici, sono consapevoli di tempi e rischi. Ipotizzano, per la prima fase, di passare dall’utilizzo del Dollaro a un sistema di scambio interno ai paesi membri, utilizzare maggiormente le valute nazionali negli scambi interni piuttosto che il Dollaro, che tra le altre cose con il rialzo continuo dei tassi ottiene l’aumento esponenziale del debito dei paesi debitori, danneggiandone ulteriormente i bilanci e soffocandone la residua sovranità economica, quindi politica.

 

Dollaro, Divisa imperiale

L’Occidente si sente minacciato e ricorda che il Dollaro è l’unica Divisa credibile, politicamente solida, giuridicamente assistente e valutariamente difensiva dalle fluttuazioni di mercato, motivi per i quali la maggioranza dei Paesi lo hanno scelto per le loro riserve. Ma è una verità rovesciata: la decisione di allocare le riserve strategiche è stata scelta obbligata dalla prepotenza internazionale dell’impero statunitense, che ha imposto l’affermazione del Dollaro sopra ogni altra divisa rendendolo strumento assoluto e quasi esclusivo nella formazione delle riserve strategiche monetarie.

La de-dollarizzazione negli scambi energetici e nelle derrate alimentari e, da qui, il poter ridurre le riserve in Dollari da parte delle Banche Centrali di tutto il mondo, sono le ansie maggiori di Washington e di Wall Street, ovvero le due sedi del comando politico e finanziario del capitalismo internazionale. Se il commercio internazionale fosse regolato con diverse valute e dunque la domanda di Dollari si riducesse, l’economia statunitense patirebbe enormi conseguenze, perché riempire il mondo di dollari grazie alla stampa infinita di moneta ha fornito una straordinaria protezione al loro deficit.

Senza nessuna etica, gli Stati Uniti utilizzano il Dollaro in funzione dei loro obiettivi politici, e il primo livello del conflitto con un Paese che non consegna ad essi il comando è bloccare l’utilizzo del Dollaro. L’autorizzazione al suo utilizzo o meno comporta l’accesso o no ai mercati internazionali, decidendo così l’import/export di ogni paese, ovvero la commercializzazione dei suoi prodotti, la possibilità di investimento per i capitali stranieri, in definitiva il valore della sua economia e del suo sistema/paese, che diviene così irrilevante sui mercati internazionali se gli USA lo decidono.

Ma la commercializzazione esiste solo con la possibilità delle transazioni, e qui c’è la parallela questione delle piattaforme per i pagamenti internazionali, sulla quale si è soffermata la riunione BRICS+ di Johannesburg. Com’è noto, gli scambi in Dollari, in Sterline e in Euro transitano sul sistema Swift (con sede in Belgio ma controllato dagli Usa), il sistema di pagamenti internazionali dotato di una codifica che consente agli istituti di credito sparsi nel mondo di identificarsi e comunicare per dare seguito ai pagamenti internazionali.

Nato come tecnicalità operativa del sistema bancario internazionale, è oggi una potente arma degli USA nell’esercizio dell’egemonia monetaria globale. E’ lo strumento che consente agli Stati Uniti di operare un controllo a monte di ogni transazione internazionale, tra privati come tra stati, per garantire l’attuazione delle loro sanzioni. Infatti, è sufficiente sospendere il codice SWIFT di un individuo, di un’impresa o anche di un intero Paese, per impedire a chiunque di effettuare pagamenti verso il beneficiario identificato da quel codice. Non solo: l’utilizzo dello SWIFT consente di bloccare anche gli intermediari che effettuino transazioni con o per conto dei soggetti colpiti dalle sanzioni USA, creando così un forte incentivo ad applicarle per tutti.

Il quadro che si determina è insostenibile per il Sud globale, che vede minacciato, in parte impedito e comunque contrastato, il suo sviluppo. Che necessita investimenti, aperture sui mercati, risorse e scambi non sottoponibili al consenso di Washington, che arriva solo in cambio della devozione politica e della consegna di risorse e sovranità.

 

L’allarme per le riserve globali

Dal 2022 una nuova problematica si va facendo strada nelle Cancellerie del Sud globale: la vicenda ucraina, le minacce alla Cina e la ulteriore aggressività della NATO, espongono il mondo ad un rischio altissimo, che si ripercuote anche sulla stabilità dei depositi e sulla loro intoccabilità. Si apre così il capitolo relativo ai depositi strategici dei paesi, normalmente allocati presso le banche occidentali, dimostratesi però con il sequestro dei conti prima del Venezuela e poi della Russia, chini alla volontà politica dell’Occidente in spregio alla neutralità dichiarata, considerata da ogni investitore la garanzia per i suoi depositi.

Alcuni paesi ragionano su un progressivo disimpegno: il timore di vedere i propri depositi in qualunque momento sequestrati e sanzionati è forte. I dati sembrano confermarlo: per il FMI, la percentuale di Dollari inseriti nelle riserve valutarie ufficiali è sceso al 57% nell’ultimo trimestre 2022 (sarebbe il 47% se adeguata alle variazioni del tasso di cambio). Mai così in basso negli ultimi 20 anni. La confisca dei patrimoni, il congelamento dei depositi e dei fondi ha preoccupato l’intera comunità economico-finanziaria internazionale, perché il furto può capitare a tutti e in qualunque momento, basta solo essere parte di una “lista nera” redatta unilateralmente dagli Stati Uniti.

Da qui lo sganciamento, che consiste in una riduzione lenta ma costante dei depositi, che potrebbe determinare un nuovo assetto delle riserve finanziarie di ogni paese in totale autonomia. La loro futura allocazione - almeno in parte - potrebbe essere proprio la Banca Internazionale di Sviluppo dei BRICS+ e la sovranità dei paesi sui propri fondi dovrà essere garantita con il progetto di una nuova divisa per gli scambi, prima interni all’associazione prima e poi a livello globale. Oltre ai vantaggi commerciali, vi sarebbe una maggiore aderenza al profilo di sicurezza e sovranità sui depositi richiesto da tutti gli investitori, in particolare da quelli istituzionali.

Vi sono già operatività su circuiti non legati al Dollaro, cinesi, russe e anche indiane e la possibilità che una gran parte del mondo arrivi ad operare su valute diverse spaventa il deep state dell’Occidente. Una sua ridotta circolazione, conseguenza di una ridotta domanda, comporterebbe una minore influenza USA sugli scambi internazionali, dunque minor rilevanza nella geopolitica planetaria.

Difficile che la Casa Bianca cambi strada, ma anche che il resto del mondo si tiri indietro. Il Dollaro, simbolo dello strapotere statunitense, rischia di divenire simbolo e sostanza di una crisi irreversibile determinata dalla volontà di dominare e depredare, preferita all’idea di governare. Ma, alla fine della grande abbuffata, arriva sempre il conto da pagare.

Esordio alla regia per Micaela Ramazzotti, con il film Felicità, di cui è anche la protagonista, che sarà presentato in concorso nella sezione Orizzonti Extra alla 80ª Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia.

La storia è quella di una famiglia storta, di genitori egoisti e manipolatori, un mostro a due teste che divora ogni speranza di libertà dei propri figli. Desirè è la sola che può salvare suo fratello Claudio e continuerà a lottare contro tutto e tutti in nome dell’unico amore che conosce, per inseguire un po’ di felicità.

Una sorella che tenta in tutti i modi di far uscire dalla depressione il fratello, vittima dei suoi stessi genitori, troppo debole per riuscire a salvarsi da solo. Un film sulla famiglia e sulla costante lotta per riuscire a distruggere legami sbagliati e che fanno stare male.

Con Max Tortora, Anna Galiena, Matteo Olivetti, Micaela Ramazzotti e con la partecipazione di Sergio Rubini, il film  è prodotto da Lotus Production con Rai Cinema e sarà distribuito da 01 Distribution.

"Sono onorata e orgogliosa che proprio la Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia sia la prima a voler bene a Felicità - dichiara la regista - . Cosa di cui tutti noi abbiamo bisogno".

Il film arriverà nella sale italiane il 21 settembre.

Felicità (Italia, 2023)

Regia: Micaela Ramazzotti

Attori: Micaela Ramazzotti, Max Tortora, Anna Galiena, Matteo Olivetti, Sergio Rubini

Distribuzione: 01 Distribution

Sceneggiatura: Micaela Ramazzotti, Isabella Cecchi, Alessandra Guidi

Fotografia: Luca Bigazzi

Montaggio: Jacopo Quadri

Produzione: Lotus Production con Rai Cinema

Presentato in anteprima mondiale al Sundance Festival 2023 e vincitore del Gran Premio della Giuria per miglior film drammatico, A Thousand and one, primo film dietro la macchina da presa, della sceneggiatrice A.V. Rockwell,  narra la storia di Inez (Teyana Taylor), una donna determinata e impetuosa, la quale rapisce il figlio Terry, di sei anni, dal sistema di affidamento nazionale. Aggrappandosi uno all’altro, madre e figlio cercano di ritrovare il senso di casa, di identità e di stabilità in una New York in rapido cambiamento.

Siamo di fronte ad un dramma familiare contemporaneo, che racconta le difficoltà di una donna sola e certamente non benestante, in una città difficile come NY. Terry sogna di poter stare con sua madre e lega subito con Lucky (Aaron Kingsley Adetola), il compagno di Inez. Quando diventa adolescente, Terry (Aven Courtney) si rivela essere un ragazzo intelligente e studioso e così sua madre sogna per lui un futuro migliore del suo, lontano dalla strada, ma ciò che ha segnato all’origine la loro difficile storia familiare sta per tornare a galla.

Un film sicuramente interessante sia dal lato della sceneggiatura, che della regia, che ha nel realismo di cui è intriso quella giusta carica che serve a sondare e comprendere la vita dei suoi protagonisti.

A Thousand and one (Usa 2023)

Regia: A.V. Rockwell

Cast: Teyana Taylor, William Catlett, Josiah Cross, Aven Courtney, Aaron Kingsley Adetola, Terri Abney, Delissa Reynolds, Amelia Workman, Adriane Lenox

Sceneggiatura: A.V. Rockwell

Fotografia: Eric Yue

Montaggio: Sabine Hoffman, Kristan Sprague

Distribuzione: Lucky Red e Universal Pictures International Italy

Firmato da Giuseppe Piccioni, L'ombra del giorno racconta una storia d'amore in un periodo storico difficile. Siamo nel 1938. È un giorno qualunque, in una città di provincia come tante altre in Italia (Ascoli Piceno). I tavoli sono apparecchiati e Luciano ha appena aperto il suo ristorante. Dalla vetrina vede un corteo ordinato di bimbi di una scuola elementare, accompagnati da una maestra. Camminano disciplinati sul marciapiede al sole, in fila per due, con i loro grembiuli infiocchettati e i capelli pettinati con cura. Luciano è tentato di credere a quell’immagine di serenità, di fiducia nel futuro. Ha un’andatura claudicante a causa di una ferita della prima guerra mondiale, un ricordo permanente della ferocia di quel conflitto.

Dietro le ampie vetrine che danno sull’antica piazza scorre la vita di quella piccola città in quegli anni. Sono gli anni del consenso, delle operepubbliche, e delle nuove città. Luciano è un fascista, come la maggior parte degli italiani in quel periodo, ma lo è a modo suo; ha preferito rimanere in disparte e si è tenuto lontano dall’idea di trarre vantaggio dalle sue decorazioni di guerra e dalla militanza ottusa e obbediente nelle gerarchie del partito.

Però si sente partecipe di quel generale entusiasmo, nonostante per indole tenda a occuparsi solo dei fatti propri, perché “il lavoro è lavoro”: quello che gli sta a cuore è il suo ristorante e i compiti quotidiani a cui lui si dedica con scrupolo taciturno. Finché fuori dalla vetrina, appare una ragazza. Mi chiamo Anna Costanzi, gli dice, e timidamente chiede se cercano personale. Di lì a poco l’avvento di quella ragazza e le prime evidenti crepe che si evidenziano in quel mondo che guarda dalla vetrina cambieranno la vita di Luciano.

Com’è strana la vita, pensa Luciano. Un tempo, del suo lavoro, gli piaceva proprio essereaffacciato sulla strada, guardare la gente che passeggiava, che correva in fretta al lavoro, gli dava l’illusione di essere insieme a quelle persone, al loro stesso livello. Adesso invece tutto si confonde e ogni giorno si rinnova la sorpresa. E ha il volto di Anna. Ora, in entrambi, si è fatto strada un sentimento, qualcosa a cui Luciano aveva rinunciato da tempo. Ma quella giovane donna ha un segreto. Ad interpretare i protagonisti ci sono due bravi attori come Riccardo Scamarcio e Benedetta Porcaroli, che vestono alla perfezione i panni di questi due innamorati.

 

L'ombra del giorno (Italia 2022)

Regia: Giuseppe Piccioni

Soggetto e sceneggiatura: Giuseppe Piccioni, Gualtiero Rosella, Annick Emdin

Cast: Riccardo Scamarcio, Benedetta Porcaroli, Waël Sersoub

Distributore: 01 Distribution

La riconferma della saldissima alleanza con gli Stati Uniti e i benefici teorici derivanti dall’organizzazione delle prossime Olimpiadi estive a Tokyo non sono bastati al primo ministro giapponese, Yoshihide Suga, a evitare nel fine settimana una vera e propria umiliazione elettorale. Nelle tre elezioni speciali tenute per altrettanti seggi vacanti in parlamento (“Dieta”), il Partito Liberal Democratico (LDP) di governo non ha infatti raccolto nulla, pagando caramente gli scandali giudiziari che hanno coinvolto svariati suoi membri e la gestione insoddisfacente della pandemia in atto. Per il premier conservatore si prospettano ora mesi complicati, con la sua leadership in serio dubbio alla vigilia sia delle elezioni generali sia della scadenza del mandato alla guida del più importante partito nipponico.

Il recente appuntamento con le urne era particolarmente atteso perché era il primo dall’insediamento di Suga, succeduto lo scorso settembre al più longevo primo ministro della storia del Giappone, Shinzo Abe, ufficialmente costretto a lasciare per ragioni di salute. Sull’adeguatezza di Suga a ricoprire l’incarico di capo del governo c’erano state subito accese discussioni. L’ex consigliere di Abe è la quintessenza dell’insider, privo di talento per la comunicazione e per la gestione della propria immagine. Le sue origini relativamente umili, in un paese dove i membri che contano della classe politica appartengono a dinastie politiche illustri, non hanno inoltre aiutato il consolidamento della sua posizione. La competizione interna al LDP per rimpiazzare Suga, già esplosa mesi fa all’indomani della notizia del ritiro di Abe, tornerà così a infuriare dopo la pessima prestazione elettorale del partito al potere.

La sconfitta più pesante è stata senza dubbio quella per un seggio della camera alta del parlamento in rappresentanza della città di Hiroshima. Quest’ultima è considerata una roccaforte dei conservatori e nelle elezioni del 2017 il LDP si era aggiudicato sei seggi su sette. Qui, il voto si era reso necessario in seguito alla condanna per compravendita di voti della senatrice Anri Kawai, moglie dell’ex ministro della Giustizia del LDP, Katsuyuki Kawai. Il candidato governativo, un ex funzionario del ministero del Commercio, ha lasciato strada all’ex presentatore Haruko Miyaguchi, appoggiato dal principale partito di opposizione, il Partito Costituzionale Democratico di centro-sinistra, e da altre formazioni minori.

Gli altri due seggi in palio erano rispettivamente a Nagano e a Hokkaido, il primo sempre per la camera alta (“Camera dei Consiglieri”) e il secondo per la camera bassa (“Camera dei Rappresentanti”). In entrambi a prevalere sono stati i candidati del Partito Costituzionale Democratico. Mentre a Nagano il seggio vacante era appartenuto a un “consigliere” morto per COVID lo scorso dicembre, a Hokkaido si doveva scegliere il successore di un altro parlamentare del LDP finito nei guai con la legge, l’ex ministro dell’Agricoltura Takamori Yoshikawa, dimessosi dopo essere stato accusato di avere ricevuto tangenti da un imprenditore agricolo. A Hokkaido, il LDP non aveva nemmeno presentato un proprio candidato per l’elezione speciale.

Per il premier Suga forse l’unica notizia positiva arrivata dal voto nel fine settimana è che la sconfitta di Hiroshima rappresenta uno schiaffo anche per uno dei suoi più agguerriti rivali interni al partito, l’ex ministro degli Esteri Fumio Kishida. Uno dei più influenti leader del LDP, Kishida è il numero uno dei liberaldemocratici a Hiroshima e la batosta incassata domenica nel suo feudo potrebbe quanto meno rallentare la sua corsa alla successione all’attuale primo ministro.

I problemi del LDP e la tripla affermazione dei democratici indicano evidentemente una tendenza sfavorevole al partito che ha quasi monopolizzato la politica giapponese dal dopoguerra a oggi. Sono in pochi tuttavia a credere in una sconfitta dei conservatori nelle elezioni generali, che dovrebbero tenersi non oltre il 21 ottobre prossimo. L’opposizione di centro-sinistra in Giappone continua a essere divisa e screditata, non essendosi più ripresa dalla catastrofica esperienza al governo tra il 2009 e il 2012.

Lo stato di salute dei liberaldemocratici sarà messo alla prova nuovamente il prossimo 4 luglio dall’importante voto per il rinnovo dell’assemblea metropolitana della capitale. In ogni caso, come già spiegato, in dubbio non c’è la continuità al governo del LDP, quanto la leadership di Yoshihide Suga e le possibile scosse che una guerra interna al partito potrebbe produrre per la terza economia del pianeta. Soprattutto in un contesto fatto di gravi tensioni sul fronte domestico, per via degli effetti della pandemia, e con l’intensificarsi del conflitto tra Stati Uniti e Cina, che si svolge in larga misura in Estremo Oriente.

Un articolo del sito web della Nikkei Asian Review ha spiegato lunedì come la sconfitta del LDP nelle tre elezioni suppletive del fine settimana non prometta nulla di buono per l’amministrazione Biden, “fattasi in quattro per sostenere politicamente il premier giapponese sul fronte interno”. Suga era stato un paio di settimane fa il primo leader straniero a essere ricevuto alla Casa Bianca da Joe Biden, in un segnale del carattere cruciale dell’alleanza con Tokyo per gli Stati Uniti. Un portavoce del presidente aveva in quell’occasione insistito sull’importanza del fattore “continuità” nelle relazioni bilaterali, in modo da garantire, dopo quasi un decennio di governi guidati da Shinzo Abe, un ambiente politico stabile e senza conflitti.

È evidente che una classe politica intenta a competere per la leadership del partito di governo non può che compromettere quell’allineamento ai propri interessi strategici che Washington chiede agli alleati per contrastare l’avanzata della Cina. Mentre gli Stati Uniti stanno intensificando le pressioni su Pechino, insomma, l’ultima cosa che l’amministrazione Biden auspica per il Giappone è una competizione interna al LDP che si protragga virtualmente fino al prossimo autunno.

A parte il caso di Shinzo Abe e pochi altri, la storia del Giappone è ricca di esempi di capi di governo durati pochi mesi. Suga è ai minimi in termini di gradimento da quando ha assunto la carica di primo ministro e sta pagando in particolare la nuova impennata di contagi nel paese, nonché e forse ancora di più il faticosissimo lancio della campagna vaccinale. Proprio nei giorni scorsi, il governo ha dovuto imporre nuove misure restrittive in alcune prefetture che, complessivamente, ospitano circa un quarto della popolazione giapponese. Per quanto riguarda i vaccini, invece, il Giappone ha finora somministrato dosi ad appena l’1% della popolazione.

La decisione di adottare lo stato di emergenza in alcune parti del paese a causa del Coronavirus rappresenta un motivo di imbarazzo per Suga, il quale aveva promesso ai giapponesi che non avrebbero più dovuto sopportare altre restrizioni. Ancora peggio per le sue prospettive politiche, il premier è oggetto di critiche da parte del mondo del business, nuovamente penalizzato dalle chiusure entrate in vigore nel fine settimana. Anche l’organizzazione delle Olimpiadi, rinviate lo scorso anno sempre a causa della pandemia, rischia di trasformarsi in un flop, visto che le speranze di ricavare dai giochi un impulso all’economia sembrano ormai svanite. Infatti, le competizioni si terranno senza pubblico proveniente dall’estero, togliendo così una fonte cruciale di entrate al settore turistico e non solo.

La palla resta ad ogni modo in mano a Suga che avrà facoltà di sciogliere anticipatamente il parlamento se lo riterrà necessario per rinsaldare la sua posizione. Nelle sue intenzioni vi era probabilmente un voto in tempi brevi, ma le tre sconfitte del fine settimana suggeriranno quasi di certo un rinvio nel tentativo di stabilizzare la situazione interna e veder risalire i propri consensi nel paese.

A complicare le cose c’è anche la scadenza a settembre del mandato di Suga alla guida del LDP. La pessima figura rimediata domenica potrebbe fare aumentare i malumori di molti nel partito, preoccupati alla prospettiva di andare a elezioni con un leader che potrebbe portare a una riduzione della maggioranza parlamentare dei liberaldemocratici. Le azioni dei rivali di Suga sembrano perciò in rapida ascesa, soprattutto di quelli che vantano un’immagine più dinamica e un maggiore appeal tra gli elettori, come i due recenti ex ministri degli Esteri, il già ricordato Kishida e Taro Kono, o Shinjiro Koizumi, ministro dell’Ambiente in carica e figlio dello storico leader liberaldemocratico ed ex primo ministro Junichiro Koizumi.


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