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- Scritto da Michele Paris
La stampa ufficiale negli Stati Uniti e in Europa sta favorendo e preparando accuratamente il cambiamento di rotta forse definitivo di Donald Trump sull’approccio alla guerra in Ucraina e sulla natura dei rapporti tra Washington e Mosca. L’esaurimento della pazienza del presidente americano nei confronti di Putin sarebbe determinato, secondo questa versione, dall’ostinazione del capo del Cremlino nel respingere tutte le – ragionevoli – proposte della Casa Bianca per arrivare a una tregua temporanea. Vista l’intrattabilità del presidente russo, presumibilmente determinato a conquistare tutta l’Ucraina e l’intera Europa, a Trump non resterebbe che tornare all’unica opzione possibile, quella della guerra “fino all’ultimo ucraino” già perseguita dal suo predecessore. La metamorfosi di Trump è stata ratificata lunedì con un doppio annuncio dalla Casa Bianca, uno appunto sulla vendita di armi a Kiev e l’altro che consiste nell’immancabile “ultimatum”, indirizzato in questa occasione al Cremlino.
In occasione della visita a Washington del segretario generale della NATO, Mark Rutte, il presidente americano ha reso nota la notizia che in molti attendevano sulle prossime mosse relative al conflitto nella ex repubblica sovietica. Putin avrebbe 50 giorni di tempo per accettare una tregua, in caso contrario la Russia sarà oggetto di sanzioni e dazi del 100%. Subito dopo questo annuncio, Trump ha confermato la ripresa della vendita di armi all’Ucraina. Anzi, il nuovo piano prevede che siano gli alleati NATO ad acquistare armi ed equipaggiamenti dai produttori americani, per poi consegnarli al regime di Zelensky. Secondo i media USA, il valore della prima tranche ammonterà a dieci miliardi di dollari. Chi trarrà vantaggio da questa manovra non è quindi difficile immaginarlo, mentre l’ultimatum in perfetto stile trumpiano cadrà quasi certamente nel vuoto.
Oltreoceano, ma anche da questa parte dell’Atlantico, si nasconde a malapena la soddisfazione per il fallimento di Trump nel fermare il conflitto e per il ritorno alla ragione di quest’ultimo con la possibile ripresa delle forniture di armi al regime di Kiev. L’altro strumento da riutilizzare sull’esempio dell’amministrazione Biden è poi l’imposizione di sanzioni alla Russia. A questo riguardo, oltre alla quota minacciata lunedì da Trump, il Congresso di Washington potrebbe approvare un pacchetto già in discussione che prevede, tra l’altro, l’imposizione di dazi del 500% a quei paesi che continueranno ad acquistare gas, petrolio, uranio e altri prodotti dalla Russia. Una misura che, al momento, riguarderebbe gli stessi Stati Uniti, che non hanno mai sospeso gli approvvigionamenti di uranio da Mosca.
La notizia del “grande annuncio” di lunedì era circolata dopo l’incontro di venerdì scorso a Kuala Lumpur tra il segretario di Stato Rubio e il ministro degli Esteri russo Lavrov. Dopo il faccia a faccia, l’ex senatore della Florida aveva rilevato un nuovo e non meglio definito elemento negli sforzi per la ricostruzione dei rapporti bilaterali con la Russia, ma, per altro verso, non sembravano essere emersi segnali incoraggianti, tanto che il successivo intervento pubblico di Trump aveva ribadito la sua crescente insofferenza verso il Cremlino.
Agli occhi di Trump, il presidente russo è un ostacolo alla fine della guerra per via dell’insensatezza della decisione di continuare a perseguire gli obiettivi delle operazioni militari. Nella visione distorta del presidente repubblicano, alimentata quasi certamente dai falchi “neo-con” che affollano la sua amministrazione e da informazioni manipolate di intelligence, la Russia insisterebbe nel respingere ogni ipotesi di cessate il fuoco temporaneo nonostante una catastrofica situazione economica e perdite stratosferiche di uomini e mezzi.
Da questa logica, senza riscontro nella realtà, deriva la conclusione che ulteriori pressioni, tramite sanzioni e altre armi all’Ucraina, possano spingere Putin a più miti consigli. Al contrario, il rilancio dell’impegno americano a fianco del regime di Zelensky e il raffreddamento dei rapporti con Mosca rafforzeranno la determinazione russa a intensificare le operazioni militari.
Non è da escludere che le frustrazioni per il flop della sua strategia diplomatica – o presunta tale – abbiano ferito a tal punto l’ego di Trump da convincerlo che Putin stia attuando una strategia per umiliarlo o renderlo ridicolo. È probabile che negli ambienti di governo in Europa e anche a Washington Trump sia stato stuzzicato in questo senso, fino a spingerlo verso il cambio di direzione sulla vicenda ucraina. Di certo, l’escalation militare russa delle ultime settimane, in particolare contro obiettivi sensibili a Kiev, ha contribuito ai malumori del presidente americano, come aveva confermato nei giorni scorsi il tira e molla sulle forniture di armi e la decisione di riattivare i trasferimenti di missili Patriot.
Il possibile abbraccio della “guerra infinita” da parte di Trump dopo appena sei mesi dal suo insediamento, seguito a una campagna elettorale con al centro la promessa di mettere fine alle guerre impossibili da vincere e senza interessi americani diretti in gioco, potrebbe avere conseguenze sgradite nei rapporti tra il presidente e la base elettorale “MAGA”. Tensioni e spaccature già si preannunciano poi all’interno della stessa amministrazione, con gli scettici nei confronti delle avventure militari e, nello specifico, di quella ucraina già in pieno fermento o pronti a lasciare i propri incarichi.
Negli ultimi giorni aveva comunque già preso corpo l’eventualità di consegnare non solo armi difensive all’Ucraina, ma anche offensive e a lungo raggio, coerentemente con la richiesta che Zelensky aveva fatto di persona a Trump durante il vertice NATO di un paio di settimane fa. Lo stesso presidente americano aveva poi preso atto forse in maniera definitiva del fallimento dei suoi sforzi durante la telefonata avuta con Putin il 3 luglio scorso. Com’era risultato evidente dal resoconto del colloquio di Trump, il presidente russo doveva avere ribadito senza mezzi termini la propria intenzione di continuare con le operazioni militari se non ci fosse stato un riscontro da parte dei suoi interlocutori circa l’accettazione delle condizioni minime chieste da Mosca per dare l’OK a un accordo di pace. Una tregua temporanea preliminare non avrebbe fatto nulla per affrontare le ragioni ultime del conflitto, ma favorito piuttosto la riorganizzazione delle forze ucraine e il riarmo del regime di Zelensky.
Ci sono pochi dubbi che Trump pensi e agisca su un piano parallelo rispetto a quello della realtà dei fatti, anche se consiglieri e membri vari del suo staff contribuiscono in maniera decisiva a impedire un’analisi razionale delle forze in campo e delle questioni sul tavolo dei negoziati con Mosca. Resta tuttavia il fatto che le azioni americane e degli alleati NATO hanno una capacità molto limitata di influenzare l’andamento della guerra e, ancora meno, di scalfire la determinazione russa nel risolvere la crisi secondo gli obiettivi definiti molto chiaramente fin dal primo giorno delle operazioni militari.
La scarsità di armi da inviare in Ucraina resta poi un problema serio che non si potrà risolvere con proclami, leggi o decreti. E, in ogni caso, l’efficacia del materiale consegnato a Kiev dai governi occidentali resta e resterà modesta. Per quanto riguarda l’ipotesi di un via libera a un nuovo pacchetto di sanzioni USA da parte di Trump, un’iniziativa in questo senso comporterebbe rischi piuttosto seri sul piano strategico, oltre a non avere anch’essa molte possibilità di influenzare le decisioni del Cremlino.
Anzi, com’è stato ripetuto a oltranza dalla Russia, l’invio di armi all’Ucraina costringe Mosca a intensificare gli attacchi e a preferire l’opzione militare rispetto a quella diplomatica. Misure economiche e finanziarie così estreme contro i partner commerciali della Russia rendono inoltre questi ultimi ancora più determinati a cercare strade alternative che li mettano al riparo dalle ritorsioni americane, come si è visto nel recente summit dei BRICS, provocando così in prospettiva guai seri per gli stessi Stati Uniti e la loro posizione internazionale.
D’altronde, Trump chiede al Congresso il potere discrezionale assoluto nell’implementazione del nuovo pacchetto di sanzioni che sembra intenzionato ad appoggiare. È possibile perciò che, almeno inizialmente, lo possa utilizzare come arma di pressione sulla Russia, anche se è molto probabile che il calcolo della Casa Bianca risulti ancora una volta sbagliato. Resterà quindi da verificare se Trump abbia già deciso di cambiare totalmente rotta sulla crisi ucraina o se punti momentaneamente solo ad alzare il livello delle pressioni.
Anche se la seconda ipotesi fosse quella corretta, non ci saranno comunque sostanziali progressi. Di conseguenza, quello che accadrà dopo sarà l’abbraccio totale delle politiche ultra-aggressive dell’amministrazione Biden, con risultati identici a quelli dei primi tre anni di guerra ma con un’impennata delle perdite e del livello di distruzione in Ucraina. Oppure, ma ciò è altamente improbabile visto l’evolversi dei fatti in questi mesi, la presa d’atto che la vicenda richiede finalmente l’ascolto delle ragioni russe, unica strada per una pace seria e duratura.
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- Scritto da Mario Lombardo
La vicenda della legge sulle “interferenze straniere” appena approvata in via definitiva dal parlamento della Georgia è un esempio perfetto della doppiezza e della monumentale ipocrisia che caratterizza la politica estera di Europa e Stati Uniti. Il provvedimento è oggetto di feroci critiche e condanne, nonché di una campagna di disinformazione che punta a descrivere come ultra-repressiva e anti-democratica una legge legittima, per molti versi necessaria e, soprattutto, già parte della legislazione di alcuni paesi occidentali e in fase di seria discussione in altri.
La legge è passata in terza e ultima lettura martedì con il voto favorevole di 84 deputati e 30 contrari. Un testo pressoché identico era stato proposto un anno fa, ma la maggioranza del partito “Sogno Georgiano” l’aveva poi ritirato in seguito alle pressioni internazionali e all’esplodere di proteste popolari sempre più aggressive. Le stesse manifestazioni contro la legge erano subito scattate anche alla metà di aprile, quando il governo aveva reintrodotto il provvedimento con alcuni cambiamenti cosmetici. In sostanza, l’unica differenza di rilievo era il cambiamento della definizione dei soggetti contro cui la legge è indirizzata: da “agenti di influenza straniera” a “organizzazioni che perseguono interessi stranieri”.
Secondo il testo, ONG, media e sindacati che ricevono più del 20% dei loro introiti dall’estero sono tenuti appunto a registrarsi come “organizzazioni che perseguono interessi stranieri”, così da potere essere monitorati dal ministero della Giustizia georgiano. Questo paese caucasico ospita un numero insolitamente alto di ONG e altre organizzazioni che operano in vari ambiti della “società civile”. La gran parte di esse viene finanziata dall’estero, spesso tramite soggetti collegati direttamente o indirettamente al governo americano o all’Unione Europea.
La legge è stata fin dall’inizio bollata da Washington e Bruxelles come una sorta di regalo alla Russia di Putin e, anzi, a una normativa simile già implementata da Mosca viene continuamente accostata. Più correttamente, la legge si ispira al “Foreign Agents Registration Act” (“FARA”) americano degli anni Trenta del secolo scorso. Rispetto a quest’ultima, quella georgiana risulta oltretutto più morbida. Ad esempio, negli Stati Uniti è prevista l’incriminazione per i soggetti che non provvedono a registrarsi come agenti stranieri, mentre in Georgia si rischierà solo una sanzione fino ad un massimo di 9.500 dollari.
Tutto questo viene naturalmente ignorato da governi, media e ONG occidentali quando discutono della legge georgiana, che resta invariabilmente “la legge di Putin”. Incredibilmente, in questi giorni l’assistente al segretario di Stato USA, Jim O’Brien, visitando la Georgia, ha spiegato che questo paese rischia di vedere compromessi gli sforzi per accedere all’UE e alla NATO, poiché la legge appena approvata determina un allontanamento dagli “standard [democratici]” richiesti da questi organismi. In altre parole, la Georgia rischia di trovarsi la strada sbarrata in Occidente perché ha appena introdotto nel proprio ordinamento una legge per limitare le attività di destabilizzazione favorite dall’estero di fatto identica, anche se meno restrittiva, di quella in vigore da quasi un secolo negli Stati Uniti.
Anche in sede europea si discute delle conseguenze sui rapporti con Tbilisi che la legge potrebbe avere. I ministri degli Esteri di una dozzina di paesi già nei giorni scorsi avevano emesso un comunicato ufficiale per chiedere alle autorità UE di valutare “l’impatto del provvedimento sul processo di adesione”. Una risposta congiunta dei 27 membri non sembra essere invece in agenda, visto che alcuni governi, come quelli di Ungheria e Slovacchia, ritengono di non dover interferire nelle vicende interne di un paese terzo.
Le espressioni di condanna dei burocrati europei sono accompagnate rigorosamente dalle solite prediche sul rispetto dei principi democratici e del diritto, tutti messi in serissimo pericolo, a loro dire, dalla legge georgiana. La stessa Commissione Europea sta però discutendo essa stessa l’opportunità di introdurre nel prossimo futuro un provvedimento sulla linea di quello oggetto di contestazioni in Georgia, oltre che già in vigore negli Stati Uniti. La proposta, scaturita dallo scandalo “Qatargate”, punta a creare un database dei lobbisti stranieri per limitare o neutralizzare le “influenze maligne” estere.
Il dibattito pubblico sulla proposta aveva sollevato qualche voce critica, non solo tra le stesse ONG che rischiano di essere costrette a rendere pubbliche le loro fonti di introito, ma anche da quanti avvertivano che una legge simile farebbe cadere la maschera della finta democrazia europea. In primo luogo, l’UE non avrebbe più, nemmeno formalmente, l’autorità morale per denunciare iniziative come quella georgiana visto che ritiene necessaria anche per sé stessa una legge simile. Inoltre, il provvedimento allo studio finirebbe per penalizzare una pratica comune alle istituzioni europee, ovvero l’elargizione di finanziamenti a organizzazioni della “società civile” operanti in paesi stranieri.
Dopo l’approvazione definitiva di martedì, la legge georgiana dovrà essere ratificata dalla presidente filo-occidentale Salomé Zourabichvili, la quale ha già dichiarato che intende utilizzare il potere di veto. La maggioranza che sostiene il governo del primo ministro, Irakli Kobakhidze, potrà però annullarlo e consentire alla legge di entrare in vigore definitivamente. L’incognita che rimane è rappresentata dalla possibile prosecuzione delle proteste dell’opposizione, cioè se i sostenitori occidentali dei manifestanti sceglieranno di continuare a destabilizzare la Georgia cercando di forzare un cambio di regime, a rischio di gettare il paese nel caos.
La determinazione con cui il governo sta portando a termine l’iter legislativo del provvedimento sulle interferenze straniere, così come l’insistenza della propaganda europea e americana per affondare una legge interamente legittima, rivela l’importanza della posta in gioco a Tbilisi. Lo scontro in atto si collega infatti al conflitto tra Russia e Ucraina o, più, precisamente, tra Russia e USA/UE/NATO. In questo scenario, la Georgia si è ritrovata in una posizione sempre più precaria. Da un lato è sottoposta alle pressioni occidentali per partecipare in pieno alla campagna anti-russa, mentre dall’altro deve procedere con estrema cautela per evitare il coinvolgimento diretto in una guerra che avrebbe effetti devastanti.
Il governo del partito “Sogno Georgiano”, al netto delle falsificazioni occidentali, non è in nessun modo filo-russo, tanto che aveva subito condannato l’invasione dell’Ucraina e fornito aiuti umanitari a Kiev. Da tempo cerca poi di costruire un percorso per entrare nell’UE e, sia pure in modo più prudente, nella NATO. Lo scorso dicembre, da Bruxelles era arrivato anche il via libera al riconoscimento dello status di candidato ufficiale all’ingresso nell’Unione Europea.
Allo stesso tempo, il governo georgiano è perfettamente consapevole dell’importanza di evitare che le relazioni con la Russia precipitino, visto anche il ricordo molto vivido della disastrosa guerra in Abkhazia e Ossezia del sud nel 2008. La Russia è chiaramente una presenza fondamentale e inevitabile, dal punto di vista geografico, economico e militare, così che Tbilisi non ha alcun interesse a percorrere la strada suicida dell’Ucraina o, in prospettiva, della Moldavia per assecondare le mire strategiche occidentali. Realismo e pragmatismo sono quindi i principi a cui si ispira il partito di governo fin dall’approdo al potere per la prima volta dodici anni fa sotto la guida dell’imprenditore miliardario con interessi in Russia, Bidzina Ivanishvili.
Alla luce di questi orientamenti, non sorprende che governi e servizi di intelligence occidentali abbiano intensificato le manovre per fare pressioni sul governo di Tbilisi, principalmente fomentando proteste di piazza talvolta violente per far naufragare una legge che andrebbe a colpire o, quanto meno, a smascherare le loro stesse manovre destabilizzanti. Se anche le tensioni dovessero abbassarsi dopo l’approvazione della legge sulle ingerenze straniere, è probabile che la campagna contro il governo riprenderà nei prossimi mesi in vista delle elezioni legislative in programma a ottobre.
Tornando alla posizione della Georgia, va ricordato che questo paese impoverito negli ultimi due anni ha beneficiato notevolmente dell’aumento dei traffici commerciali con la Russia, dovuto alla chiusura, per via delle sanzioni americane ed europee, delle rotte che passavano dall’Occidente. Non si stratta solo di un’attitudine opportunistica, quella georgiana, ma di un calibramento strategico volto a massimizzare i vantaggi di una politica estera aperta. Tanto che la Georgia ha accompagnato la candidatura all’ingresso nell’UE alla formalizzazione di una partnership strategica con la Cina.
A fronte di ciò, i crociati della democrazia in Occidente chiedono invece alla Georgia di salire sul carro delle sanzioni contro la Russia, favorendo un autentico suicidio economico esattamente come sta facendo l’Europa, e di andare allo scontro totale con Mosca, sposando la fallimentare causa ucraina e mettendo a serio rischio la propria sicurezza interna. Con queste premesse, non è difficile comprendere le ragioni per cui il governo di Tbilisi diffidi dell’Occidente e intenda andare fino in fondo per tenere sotto controllo le manovre di destabilizzazione organizzate dall’estero.
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- Scritto da Sara Michelucci
Esordio alla regia per Micaela Ramazzotti, con il film Felicità, di cui è anche la protagonista, che sarà presentato in concorso nella sezione Orizzonti Extra alla 80ª Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia.
La storia è quella di una famiglia storta, di genitori egoisti e manipolatori, un mostro a due teste che divora ogni speranza di libertà dei propri figli. Desirè è la sola che può salvare suo fratello Claudio e continuerà a lottare contro tutto e tutti in nome dell’unico amore che conosce, per inseguire un po’ di felicità.
Una sorella che tenta in tutti i modi di far uscire dalla depressione il fratello, vittima dei suoi stessi genitori, troppo debole per riuscire a salvarsi da solo. Un film sulla famiglia e sulla costante lotta per riuscire a distruggere legami sbagliati e che fanno stare male.
Con Max Tortora, Anna Galiena, Matteo Olivetti, Micaela Ramazzotti e con la partecipazione di Sergio Rubini, il film è prodotto da Lotus Production con Rai Cinema e sarà distribuito da 01 Distribution.
"Sono onorata e orgogliosa che proprio la Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia sia la prima a voler bene a Felicità - dichiara la regista - . Cosa di cui tutti noi abbiamo bisogno".
Il film arriverà nella sale italiane il 21 settembre.
Felicità (Italia, 2023)
Regia: Micaela Ramazzotti
Attori: Micaela Ramazzotti, Max Tortora, Anna Galiena, Matteo Olivetti, Sergio Rubini
Distribuzione: 01 Distribution
Sceneggiatura: Micaela Ramazzotti, Isabella Cecchi, Alessandra Guidi
Fotografia: Luca Bigazzi
Montaggio: Jacopo Quadri
Produzione: Lotus Production con Rai Cinema
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- Scritto da Sara Michelucci
Presentato in anteprima mondiale al Sundance Festival 2023 e vincitore del Gran Premio della Giuria per miglior film drammatico, A Thousand and one, primo film dietro la macchina da presa, della sceneggiatrice A.V. Rockwell, narra la storia di Inez (Teyana Taylor), una donna determinata e impetuosa, la quale rapisce il figlio Terry, di sei anni, dal sistema di affidamento nazionale. Aggrappandosi uno all’altro, madre e figlio cercano di ritrovare il senso di casa, di identità e di stabilità in una New York in rapido cambiamento.
Siamo di fronte ad un dramma familiare contemporaneo, che racconta le difficoltà di una donna sola e certamente non benestante, in una città difficile come NY. Terry sogna di poter stare con sua madre e lega subito con Lucky (Aaron Kingsley Adetola), il compagno di Inez. Quando diventa adolescente, Terry (Aven Courtney) si rivela essere un ragazzo intelligente e studioso e così sua madre sogna per lui un futuro migliore del suo, lontano dalla strada, ma ciò che ha segnato all’origine la loro difficile storia familiare sta per tornare a galla.
Un film sicuramente interessante sia dal lato della sceneggiatura, che della regia, che ha nel realismo di cui è intriso quella giusta carica che serve a sondare e comprendere la vita dei suoi protagonisti.
A Thousand and one (Usa 2023)
Regia: A.V. Rockwell
Cast: Teyana Taylor, William Catlett, Josiah Cross, Aven Courtney, Aaron Kingsley Adetola, Terri Abney, Delissa Reynolds, Amelia Workman, Adriane Lenox
Sceneggiatura: A.V. Rockwell
Fotografia: Eric Yue
Montaggio: Sabine Hoffman, Kristan Sprague
Distribuzione: Lucky Red e Universal Pictures International Italy
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- Scritto da Sara Michelucci
Firmato da Giuseppe Piccioni, L'ombra del giorno racconta una storia d'amore in un periodo storico difficile. Siamo nel 1938. È un giorno qualunque, in una città di provincia come tante altre in Italia (Ascoli Piceno). I tavoli sono apparecchiati e Luciano ha appena aperto il suo ristorante. Dalla vetrina vede un corteo ordinato di bimbi di una scuola elementare, accompagnati da una maestra. Camminano disciplinati sul marciapiede al sole, in fila per due, con i loro grembiuli infiocchettati e i capelli pettinati con cura. Luciano è tentato di credere a quell’immagine di serenità, di fiducia nel futuro. Ha un’andatura claudicante a causa di una ferita della prima guerra mondiale, un ricordo permanente della ferocia di quel conflitto.
Dietro le ampie vetrine che danno sull’antica piazza scorre la vita di quella piccola città in quegli anni. Sono gli anni del consenso, delle operepubbliche, e delle nuove città. Luciano è un fascista, come la maggior parte degli italiani in quel periodo, ma lo è a modo suo; ha preferito rimanere in disparte e si è tenuto lontano dall’idea di trarre vantaggio dalle sue decorazioni di guerra e dalla militanza ottusa e obbediente nelle gerarchie del partito.
Però si sente partecipe di quel generale entusiasmo, nonostante per indole tenda a occuparsi solo dei fatti propri, perché “il lavoro è lavoro”: quello che gli sta a cuore è il suo ristorante e i compiti quotidiani a cui lui si dedica con scrupolo taciturno. Finché fuori dalla vetrina, appare una ragazza. Mi chiamo Anna Costanzi, gli dice, e timidamente chiede se cercano personale. Di lì a poco l’avvento di quella ragazza e le prime evidenti crepe che si evidenziano in quel mondo che guarda dalla vetrina cambieranno la vita di Luciano.
Com’è strana la vita, pensa Luciano. Un tempo, del suo lavoro, gli piaceva proprio essereaffacciato sulla strada, guardare la gente che passeggiava, che correva in fretta al lavoro, gli dava l’illusione di essere insieme a quelle persone, al loro stesso livello. Adesso invece tutto si confonde e ogni giorno si rinnova la sorpresa. E ha il volto di Anna. Ora, in entrambi, si è fatto strada un sentimento, qualcosa a cui Luciano aveva rinunciato da tempo. Ma quella giovane donna ha un segreto. Ad interpretare i protagonisti ci sono due bravi attori come Riccardo Scamarcio e Benedetta Porcaroli, che vestono alla perfezione i panni di questi due innamorati.
L'ombra del giorno (Italia 2022)
Regia: Giuseppe Piccioni
Soggetto e sceneggiatura: Giuseppe Piccioni, Gualtiero Rosella, Annick Emdin
Cast: Riccardo Scamarcio, Benedetta Porcaroli, Waël Sersoub
Distributore: 01 Distribution