Dal Sudan a Socotra, gli Emirati Arabi Uniti fondono “soft power” e controllo militarizzato per dominare le rotte commerciali, alimentare guerre per procura e consolidare gli interessi di sicurezza emiratino-israeliani nel Corno d'Africa e nello Yemen

 

Dal 2015, gli Emirati Arabi Uniti hanno abbandonato la loro storica posizione di neutralità a favore di ingerenze regionali assertive. Questa transizione ha coinciso con l'ascesa di Mohammed bin Zayed Al-Nahyan (MbZ) al ruolo di comandante delle forze armate e, infine, alla presidenza.

“Abbiamo bisogno di un’industria della difesa forte, dato che la nostra Unione si assume una maggiore responsabilità per la propria difesa: non è solo una questione di sicurezza, ma anche di competitività” ha dichiarato il 12 maggio il presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen in un messaggio pubblicato sui social a margine del suo intervento al dialogo strategico sul futuro dell’industria della Difesa europea.

La presidente della Commissione ha detto di aver “incontrato i leader dell’industria europea per sentire da loro” come l’Ue “può sostenere ancora di più questo settore cruciale. Il dialogo ha sottolineato il ruolo cruciale dell’industria europea della difesa nella salvaguardia della sicurezza europea in un panorama geopolitico in rapida evoluzione”.

Von der Leyen si è concentrata nel suo intervento sulla necessità per l’industria europea “di rispondere su scala e in tempi rapidi“.

Riconoscendo gli sforzi compiuti dall’industria dopo l’inizio della guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina, citando l’esempio dell’aumento significativo della produzione e l’apertura di nuove linee di produzione ha parlato delle persistenti sfide strutturali che il settore deve affrontare. Tra queste sfide, secondo von der Leyen, ci sono la frammentazione della domanda e dell’offerta, gli ostacoli normativi, l’accesso alle materie prime, la necessità di tenere il passo con cicli di innovazione rapidi e cicli di feedback più brevi, l’accesso ai finanziamenti, e l’accesso alla manodopera qualificata (soprattutto Stem).

Per affrontare questi problemi, la Commissione ha ribadito il suo impegno a lavorare a stretto contatto con le parti interessate del settore, fa sapere Bruxelles. L’industria è invitata a condividere le proprie valutazioni e informare le prossime iniziative, tra cui il pacchetto Omnibus sulla Difesa, che sarà presentato nel giugno 2025. Questo pacchetto razionalizzerà le norme e i regolamenti che riguardano le certificazioni, le autorizzazioni, gli appalti congiunti e altre questioni.

I partecipanti si sono impegnati in discussioni costruttive su alcune aree chiave, come la garanzia degli investimenti, il rafforzamento della cooperazione industriale nel settore della difesa, la promozione dell’innovazione e del progresso tecnologico, la sicurezza delle catene di approvvigionamento e l’investimento nelle competenze e nello sviluppo della forza lavoro.

Da tempo la UE tende ad attribuire alla diversificazione di programmi e stanziamenti dei singoli stati membri le difficoltà ad attuare un ampio programma europeo: un approccio legittimo per una Commissione che punta a sottolineare il rischio di guerra con la Russia e le carenze nel settore militare come leve per progredire rapidamente verso un’integrazione militare dell’Europa che nessun trattato però prevede né si vedono all’orizzonte obiettivi perseguibili nella costituzione di una Federazione Europea che consenta la costituzione di forze armate comuni o la definizione di una politica estera comune.

In realtà i problemi strutturali che oggi rendono politicamente impossibile ed economicamente insostenibile il massiccio riarmo dell’Europa sono prettamente finanziari e industriali. Modificare l’impostazione delle industrie europee per la Difesa verso produzioni di massa è un processo che richiede forti investimenti, diversi anni, molte migliaia di nuovi lavoratori specializzati non reperibili oggi sul mercato e soprattutto un agevole e conveniente accesso a materie prime, acciaio, esplosivo e soprattutto energia a buon mercato.

Condizioni inesistenti oggi in Europa dove da quasi tre anni la rinuncia al gas russo a buon mercato ha determinato calo della produzione industriale, progressiva de industrializzazione, incremento dei costi energetici, inefficienza ed elevati costi delle linee di approvvigionamento e difficoltà a reperire materie prime sempre più costose.

Costi triplicati

Fonti militari hanno riferito ad Analisi Difesa che rispetto al 2021 il costo di quasi tutti i prodotti militari è triplicato: elemento che induce a valutare che se oggi le nazioni europee riuscissero a triplicare la quota del bilancio della Difesa e della Funzione Difesa dedicata agli investimenti, con risorse finanziarie triplicate potremmo acquistare lo stesso numero di armi, equipaggiamenti e munizioni di quattro anni or sono.

Negli ultimi mesi del 2024 fonti industriali rilevavano ad Analisi Difesa che tra il 2021 e il 2024 il prezzo medio dell’esplosivo a uso militare è lievitato del 90%, l’acciaio del 59%, l’alluminio del 50%, i circuiti stampati del 64% e la carpenteria leggera di oltre il 100%.

Un proiettile d’artiglieria da 155 mm (senza spoletta, sistema di guida e carica di lancio) prodotto in Europa costa all’acquirente tra i 2.500 e i 4.000. Se si considera che nel conflitto in Ucraina i russi arrivano sparare anche 15/18 mila proiettili al giorno e gli ucraini 5/6mila si comprende quale sforzo finanziario sia richiesto oggi per riempire i magazzini e sostenere la guerra dell’Ucraina, peraltro nei limiti delle capacità produttive europee e statunitensi.

Le bombe d’aereo Mk 82 da 227 chili sono passate, a seconda del tipo di esplosivo impiegato, da 6mila a 9mila e da 12 mila a 20 mila euro tra il 2021 del 2024. Costi che riguardano il solo “corpo bomba”, senza i sistemi di guida che le rendono precise. Allo stesso modo è cresciuto il costo delle Mk 83 da 554 chili mentre le MK 84 da 908 chili sono raddoppiate di costo, da 30 mila euro nel 2021 a 60 mila nel 2024.

Queste considerazioni aiutano a comprendere come l’incremento delle spese militari gonfierà i bilanci della Difesa ma non consentirà di acquistare maggiori quantità di sistemi d’arma o munizioni. Anzi, l’aumentato costo dell’energia, dell’esplosivo, delle materie prime in aggiunta alla difficoltà di reperimento delle stesse nelle quantità necessarie, comporta che anche stanziando maggiori risorse finanziarie si potranno acquistare meno prodotti rispetto al 2021.

Il caso della Gran Bretagna è emblematico: con una spesa militare incrementata fino a raggiungere il 2,3 per cento del PIL nel 2025, con un incremento del 15 per cento rispetto al 2023, Londra ha dovuto radiare una cinquantina di aerei da combattimento Typhoon Tranche 1, 30 elicotteri CH-47 e Puma, 55 droni e 5 navi militari oltre a trovarsi con il livello minino di effettivi dai tempi delle guerre napoleoniche. Inoltre ha radiato tutti i semoventi d’artiglieria AS 90 che verranno rimpiazzati solo dal 2030 da nuovi obici ruotati.

In Germania, dove il cancelliere Frederich Merz ha dichiarato di voler logorare la Russia costringendola a una guerra prolungata in Ucraina fino a convincerla ad accettare un cessate il fuoco, il Centro Studi Bruegel e il Kiel Institute hanno messo a confronto i costi di alcuni mezzi terrestri occidentali con gli omologhi russi e cinesi.

In tema di carri armati un Leopard 2 A8 costa oggi 29 milioni di euro contro i 17,5 di un M1A2 Abrams statunitense, i 9,2 di un più vecchio Leopard 2A6, i soli 4,1 milioni di un T90 russo e i 2,3 milioni del cinese Type 99A.

Considerato che la guerra in Ucraina ha confermato che non esistono armi risolutive o “game changer” e che nessun carro armato è invulnerabile vale la pena sottolineare che con il costo di un singolo nuovissimo Leopard 2A8 si producono 7 T-90.

Il confronto tra semoventi d’artiglieria non cambia i termini della questione: il cingolato tedesco Pzh 2000 costa 17 milioni di euro, circa il triplo dei ruotati Caesar francese e Zuzana slovacco ceco (5,9 milioni) mentre il sudcoreano K9 Thunder che tanto successo sta avendo in Europa costa 3 milioni e il russo 2S19 MSTA-S appena 1,4 milioni, meno dell’ucraino “2S2 Bohdana (2,3 milioni) che ha lo stesso prezzo del cinese Norinco PZL 05.

Il semovente russo costa ancor meno del vecchio M-109, ormai datato e consegnato all’Ucraina da molti alleati occidentali (Italia inclusa) in diversi esemplari il cui prezzo è valutato 1,6 milioni mentre con i costi di un Pzh-2000 i russi realizzano 12 MSTA-S.

L’Osservatorio dei conti pubblici italiani ha recentemente rilevato che gli aerei da combattimento occidentali più avanzati hanno raggiunto nel 2024 un costo pari a 169 milioni di euro per un Eurofighter Typhoon, 152 milioni per un F-35 e 119 milioni per un Rafale.

Difficile stabilire il prezzo di un Sukhoi Su-35 russo, che i cinesi pagarono 20 milioni di euro ad esemplare nel 2015: se oggi il suo costo fosse anche raddoppiato rappresenterebbe sempre un terzo o un quarto dei suoi concorrenti occidentali.

Certo il costo di un sistema d’arma va misurato tenendo conto di tante voci, inclusi gli armamenti e il supporto logistico, ma resta indubbia la differenza di prezzo tra i prodotti europei e occidentali rispetto ai concorrenti russi o cinesi.

Le motivazioni

Come la Commissione Europea, anche gli analisti tedeschi attribuiscono il fenomeno alla frammentazione del mercato Ue, all’assenza di un mercato unico, alle commesse dei singoli stati e all’assenza di un sistema di acquisizioni comune a tutti gli stati membri.

“I governi europei ordinano quantità relativamente piccole di armi e munizioni. Di conseguenza, è difficile beneficiare delle economie di scala, che in linea di principio porterebbero a una produzione più rapida ed economica e a volumi di produzione più elevati. Ciò è dovuto anche a un mercato frammentato per i prodotti della difesa, in cui ogni paese dell’UE ordina separatamente” si legge nello studio di Bruegel.

A queste motivazioni occorrerebbe però aggiungerne altre, come le condizioni economiche, vero fattore penalizzante per l’Europa. A differenza della Russia, che dispone di tutte le materie prime e di energia infinita a prezzo stracciato, l’Europa paga oggi l’assenza delle materie prime, il costo dell’energia più alto tra tutte le aree industrializzate del mondo al punto da aver costretto molte acciaierie a chiudere almeno parte degli stabilimenti mentre in Polonia la Huba Czestochowa è stata rilevata direttamente dal ministero della Difesa.

Vi è poi un’altra differenza non irrilevante tra il sistema produttivo russo e quello Occidentale che contribuisce a far lievitare i costi del riarmo europeo.

Dal 2022 tutte le aziende occidentali del settore Difesa, su entrambe le sponde dell’Atlantico, hanno visto gonfiarsi gli ordini, i ricavi e le quotazioni borsistiche con i relativi dividendi per gli azionisti che in Europa sono spesso anche gli stessi stati.

L’apparato industriale russo, incentrato sul colosso pubblico Rostec (800 tra aziende e centri di ricerca situati in 60 regioni per un totale di oltre 600 mila dipendenti), nel momento in cui ha ridotto le esportazioni per soddisfare le esigenze belliche nazionali ha ridotto drasticamente i profitti perché “la società ha preso più ordini dalla Difesa, con una redditività nulla o addirittura negativa”, come ha sottolineato l’amministratore delegato di Rostec, Sergei Chemezov.

Potremmo quindi affermare che l’industria della Difesa russa lavora per la Patria mentre quella occidentale per i dividendi degli azionisti.

Al tema delle armi e munizioni vanno aggiunte le difficoltà che si riscontrano in tutto l’Occidente non solo ad arruolare personale militare ma anche solo a mantenere gli attuali risicati numeri di militari professionisti in servizio.

Se anche fosse possibile incrementare sensibilmente gli organici con volontari o un ritorno almeno parziale alla leva militare, occorrerebbe istituire nuove strutture logistiche (caserme, ospedali militari, ecc.) oltre ad equipaggiare, addestrare e retribuire le nuove reclute con tempi che richiederebbero diversi anni e costi stimabili in molti miliardi di euro. Peraltro in un contesto di scarso sostegno sociale a un riarmo che drenerebbe fondi da welfare e spesa sociale e comporterebbe ulteriore indebitamento pubblico.

Per tutte queste ragioni, il massiccio riarmo dell’Europa, nella misura in cui viene oggi da più parti evocato, appare politicamente inattuabile e finanziariamente insostenibile.

Le nazioni aderenti alla NATO avrebbero dovuto iniziare a potenziare le proprie forze militari almeno dal Vertice di Bucarest che nel 2008 ufficializzò la volontà di incorporare nell’Alleanza Atlantica sia l’Ucraina che la Georgia. Quasi una dichiarazione di guerra alla Russia, da cui però abbiamo continuato a importare quell’energia in quantità infinita e a basso costo che avrebbe consentito produzioni militari a prezzi ragionevoli, oggi non più possibili.

Meglio sarebbe oggi che l’Europa contribuisse a trovare una soluzione negoziata al conflitto russo-ucraino per ritornare ad avere condizioni favorevoli di approvvigionamento e costo dell’energia oltre che di accesso alle materie prime per dare vita almeno a quei programmi di potenziamento considerati più urgenti in ambito Ue e dai singoli stati membri.

Le carenze in battaglia dei mezzi tedeschi

Circa i mezzi di produzione tedesca, oltre al costo elevato va tenuto in considerazione anche il recente rapporto della Bundeswehr, reso noto in aprile da alcuni media in Germania, che evidenzia carenze emerse dall’impiego bellico in Ucraina.

Un documento interno, trascrizione di una lezione tenuta a circa 200 giovani ufficiali a Delitzsch (Sassonia), riporta le esperienze dei soldati ucraini e i problemi riscontri nell’impiego delle forniture militari provenienti dalla Germania. I resoconti riferiscono che il semovente Panzerhaubitze 2000 (Pzh 2000) è un “sistema d’arma eccezionale”, ma mostra “una vulnerabilità tecnica così elevata che la sua idoneità alla guerra è seriamente messa in dubbio”.

Il vecchio carro armato Leopard 1A5 ha dimostrato di essere “affidabile” ma viene spesso utilizzato dagli ucraini “solo come artiglieria improvvisata a causa della sua debole corazza” mentre il più recente Leopard 2A6 presenta un costo delle riparazioni così elevato da renderle in molti casi non convenienti.

Anche i rapporti circa il sistema di difesa aerea IRIS-T sono critici: il sistema missilistico è definito molto efficace ma il costo dei missili è troppo alto e “non erano disponibili nelle quantità necessarie”.

Anche il sistema statunitense Patriot fornito dalla Germania viene indicato come un “eccellente sistema d’arma”, ma inadatto all’impiego campale perché i veicoli da trasporto prodotti dalla MAN sono troppo vecchi e non sono più disponibili pezzi di ricambio.

Paradossalmente gli elogi maggiori li hanno ricevuti il semovente antiaereo Gepard e il veicolo da combattimento cingolato Marder, mezzi rustici e da molto tempo radiati dai reparti tedeschi, definiti “efficienti e affidabili”.

Le esperienze ucraine sintetizzate nel documento valutano che “quasi nessun grande pezzo di equipaggiamento tedesco è completamente adatto alla guerra”. Spiegel ha riferito che né il Ministero della Difesa né KNDS Germania (che produce Leopard e Pzh-2000) hanno voluto commentare il documento classificato.

Negli ambienti militari tedeschi, nota sempre il giornale, è stato rilevato che le armi vengono utilizzate in Ucraina in condizioni estreme, il che comporta una forte usura mentre l’addestramento impartito in Germania al personale ucraino spesso non era sufficiente per la formazione tecnica sulla manutenzione e la cura dei mezzi e dei sistemi d’arma.

Inoltre in Ucraina mancano le infrastrutture in prima linea per garantire le catene di approvvigionamento delle riparazioni e manutenzioni i cui centri di assistenza risultano spesso ubicati lontano dalla prima linea.

 

di Gianandrea Gaiani

fonte: Analisi Difesa

Questa domenica il mondo ha assistito a un miracolo senza precedenti nella storia politica mondiale. Il secondo turno delle elezioni presidenziali, che vedeva contrapposti il “candidato-presidente” - così chiamato perché Daniel Noboa, milionario e prepotente, ha violato la norma che impedisce a un presidente ecuadoriano di restare in carica se si candida per la rielezione - e Luisa González, ha prodotto un risultato sorprendente: la candidata della Revolución Ciudadana ha ottenuto il 44,35% dei voti, una cifra quasi identica a quella ottenuta nel primo turno: 44,0%. Noboa, dal canto suo, ha raccolto il 55,65% dei voti, mentre al primo turno si era fermato al 44,17%, ed è stato rieletto presidente.

Dalle armi al commercio, passando per logistica e spionaggio, le monarchie del Golfo Persico stanno silenziosamente finanziando la guerra dello stato ebraico contro Gaza.

Il silenzio - e in molti casi la complicità - degli stati del Golfo Persico durante la guerra in corso di Israele contro Gaza non rappresenta una sorpresa. Questi governi, da tempo allontanatisi dalla causa palestinese, hanno coltivato per anni rapporti cordiali, anche se discreti, con Tel Aviv.

Circa 40 persone formano un cerchio sull'erba polverosa di fine estate. Dopo giorni di incertezza e paura, tagliate fuori dalla maggior parte dei mezzi di comunicazione, famiglie delle comunità Mapuche nella provincia argentina di Chubut si riuniscono per parlare di ciò che è accaduto l'11 febbraio.

Quel martedì, alle 7 del mattino, centinaia di agenti della polizia provinciale e federale argentina hanno fatto irruzione nelle loro case, distruggendo finestre e beni personali. Le forze speciali, armate di fucili d'assalto, hanno tenuto uomini, donne e bambini sotto la minaccia delle armi per oltre dieci ore.

Durante la giornata di terrore contro le famiglie Mapuche, la polizia ha sequestrato cellulari e computer, lasciando le comunità—sparse per miglia ai piedi delle Ande—isolate tra loro. Hanno confiscato libri e attrezzi agricoli, costretto indigeni, donne e bambini a fornire campioni di DNA, quasi denudato giovani donne e fotografato tatuaggi e altri segni corporei, maltrattato anziani e separato bambini piccoli dai genitori, obbligando i più piccoli ad assistere alla violenza contro le loro madri. Nelle dodici incursioni simultanee, la polizia ha anche fatto irruzione nella radio comunitaria Mapuche di El Maitén, Radio Petu Mogelein, distruggendo apparecchiature di comunicazione vitali.

Queste comunità, spesso composte da poche famiglie indigene sopravvissute alle sanguinose campagne di genocidio e dislocamento durante la storia coloniale dell'Argentina, sono ora nel mirino di una nuova offensiva sotto le politiche "anarcocapitaliste" di Javier Milei. La repressione mira a privarli del poco che resta del loro territorio ancestrale per consegnarlo nelle mani di alcune delle più grandi multinazionali e miliardari del mondo.

Trawun, testimonianze

Fuori da una delle case perquisite, i membri della comunità Mapuche hanno descritto la violenza subita. Alcuni giornalisti internazionali e rappresentanti di organizzazioni per i diritti umani regionali hanno osservato il trawun—un'assemblea comunitaria per condividere informazioni, ricostruire i legami e pianificare strategie. Abbiamo faticato a cogliere le parole delle loro testimonianze, mentre il vento sferzava tra i pioppi.

Un anziano di 84 anni ha tirato su la manica per mostrare i lividi lasciati dagli agenti che lo hanno gettato a terra e ammanettato. Giovani donne hanno raccontato di essere state costrette a restare a terra per ore, sotto l’intimidazione delle armi della polizia. I bambini hanno assistito a scene di brutalità che li segneranno per sempre.

Per ore, le forze di sicurezza si sono rifiutate di mostrare un ordine giudiziario o di spiegare alle famiglie indigene il motivo dell’invasione violenta delle loro case. Alla fine, le autorità hanno presentato un mandato firmato dal giudice Jorge Criado—già formalmente accusato di discriminazione razziale contro i Mapuche in un caso del 2020—per indagare su un atto di vandalismo avvenuto il 18 gennaio nell’Estancia Amancay, a 80 chilometri di distanza.

La polizia ha arrestato Victoria Núñez Fernández, una donna di 37 anni membro della Lof Pillan Mawiza, che da anni vive e lavora con la comunità Mapuche. Testimoni e dati GPS dimostrano che Núñez Fernández si trovava a chilometri di distanza quando è avvenuto l’atto, cioè delle attrezzature sono state date alle fiamme, ma il giudice ha ordinato 60 giorni di arresti domiciliari mentre le autorità continuano a dichiararla colpevole.

Gli incendi boschivi come copertura

Da quando sono iniziati a dicembre, la propaganda del governo argentino ha accusato i Mapuche degli incendi che hanno devastato oltre 50.000 ettari di terreno forestale, per lo più pubblico, in Patagonia. Si tratta di un triplo stratagemma: distogliere l’attenzione dal ruolo del cambiamento climatico e dalla negligenza governativa negli incendi, spostare il focus dagli interessi immobiliari pronti a impadronirsi dei terreni per megaprogetti e criminalizzare gli indigeni, ultimo baluardo contro lo sfruttamento massiccio e la distruzione di una delle più grandi riserve di acqua dolce e foreste al mondo.

«È così assurdo che ci accusino, quando in realtà la comunità Mapuche ha sempre fatto tutto il possibile per proteggere la vita qui. Noi siamo parte del territorio che difendiamo, e proteggeremo la vita del fiume, la vita della montagna, la vita della foresta», ha detto Evis Millán della Lof (comunità) Pillan Mawiza durante un’intervista nella sua fattoria vicino al fiume.

«Non lo incendieremmo mai. Questa montatura che il governo del Chubut sta portando avanti con quello nazionale ha un obiettivo chiaro: creare un nemico interno per occultare la criminalizzazione e lo sfratto delle comunità Mapuche».

Senza processo né indagini, il giorno dopo l’operazione, il governatore del Chubut, Ignacio Torres, ha presentato un PowerPoint accusando i Mapuche degli incendi e degli atti di vandalismo. Circondato da agenti incappucciati armati di mitra in quella che avrebbe dovuto essere una conferenza stampa, ha proiettato i volti di quattro donne indigene, definendole "le responsabili dell'attacco [ad Amancay]" e giurando che "marciranno in galera". Tra loro c’erano Victoria Núñez Fernández, ancora in custodia, e Moira Millán, attivista per i diritti della terra nota a livello internazionale, scrittrice e leader del movimento delle donne indigene.

Lo spettacolo di Torres segue un copione dettato dal governo di estrema destra di Javier Milei e dalla ministra della Sicurezza Nazionale, Patricia Bullrich. Bullrich, il cui ministero è anche responsabile della prevenzione e del controllo degli incendi boschivi, da tempo promuove l’esproprio delle terre indigene per la vendita sul mercato internazionale. Dopo i raid, ha diffuso un video con le immagini dell’irruzione nella casa di Millán, dichiarando: "Queste persone saranno dichiarate, ai sensi dell’articolo 41, TER-RO-RIS-TE".

Il governo Milei ha creato il quadro giuridico per questa misura estrema pochi giorni dopo le retate, inserendo la "RESISTENCIA ANCESTRAL MAPUCHE (RAM)" nel Registro Pubblico delle Persone ed Entità legate ad Atti di Terrorismo e al loro Finanziamento. La RAM è un’invenzione per diffamare il popolo Mapuche: le comunità hanno ripetutamente affermato di non conoscerla né di avere alcun legame con essa. L’unico nome associato alla RAM è quello di Facundo Jones Huala, che, nonostante si sia attribuito la responsabilità del vandalismo ad Amancay, non è stato arrestato e non si nasconde dalle autorità. Intanto, il governo continua a detenere Núñez Fernández con accuse infondate e a sostenere l’assurda tesi che un gruppo di donne Mapuche abbia dato fuoco alle foreste in cui vivono per vendicarsi dei tentativi di sfratto.

I Mapuche della Patagonia indicano potenti interessi economici legati al governo Milei come i veri colpevoli degli incendi.

La svendita della Patagonia

Gli incendi boschivi che hanno devastato migliaia di ettari nei mesi estivi vengono finalmente domati dalle piogge autunnali. Gli esperti avvertono che l’aumento della distruzione causata dal fuoco nella regione è legato alle alte temperature e alla scarsa pioggia, conseguenze del cambiamento climatico. Ma i governi locali e quello di Javier Milei – che nega il cambiamento climatico – preferiscono accusare i Mapuche, approfittando nel frattempo della distruzione per privatizzare un territorio ambito per i suoi minerali, l’acqua pura, la bellezza naturale e l’isolamento.

Milei ha iniziato i preparativi per svendere la Patagonia agli stranieri non appena insediato. Con decreti presidenziali, il 21 dicembre ha abrogato la legge che limitava l’acquisto di terreni da parte di stranieri, inserendola in un pacchetto di misure per deregolamentare l’economia e favorire la vendita di risorse a investitori esteri.

In mosse che sembrano voler aumentare la vulnerabilità delle riserve naturali protette, ha eliminato il Fondo per la Protezione delle Foreste e trasferito le competenze al ministero della Sicurezza, lasciando un enorme vuoto di competenze, infrastrutture e fondi per contrastare gli incendi, nonostante ogni anno il fuoco distrugga sempre più superficie boschiva. Milei ha inoltre tagliato dell’81% i fondi del Servizio Nazionale per la Gestione degli Incendi.

Il presidente argentino ha anche annunciato l’abrogazione della legge che vieta la vendita immediata di terreni colpiti da incendi per l’agroindustria e lo sviluppo immobiliare. Questo tipo di normativa esiste nella maggior parte dei paesi come salvaguardia necessaria contro gli incentivi economici a incendiare terreni pubblici. Sebbene l’abrogazione non sia ancora entrata in vigore, ha recentemente superato la commissione al Senato e rimane un elemento chiave nel piano del governo per una svendita massiccia delle terre patagoniche.

Compagnie minerarie, gruppi immobiliari, centrali idroelettriche e altri sviluppatori di megaprogetti aspettano da tempo di mettere le mani su nuove terre nella Patagonia argentina. Milei conta sulla svendita dei territori e delle risorse indigene per aiutare a ripagare l'enorme debito che spera di ottenere, sostenere il peso argentino ed evitare il collasso totale che incombe a causa delle sue politiche di libero mercato radicali.

Neocolonialismo, versione 2.0

Il governo Milei ha tracciato la strada per il futuro della Patagonia, e passa direttamente sui corpi e sui territori del popolo Mapuche. Per nascondere la propria complicità con gli interessi economici che mirano a occupare le terre colpite, il governo Milei ha lanciato una strategia mediatica e legale per distogliere l'attenzione dal legame tra gli incendi e i cambiamenti nell'uso del suolo che avvantaggiano miliardari stranieri, e per neutralizzare i Mapuche-Tehuelche che si frappongono attraverso criminalizzazione, sfratti e sterminio.

La formula non è nuova. Le crociate contro i Mapuche sono iniziate con la conquista delle loro terre ancestrali secoli fa e non si sono mai fermate da allora. L'attuale crisi ha le stesse radici coloniali delle precedenti campagne genocide: razzismo e appropriazione con la forza di terre e risorse.

A gennaio, la ministra Bullrich ha ordinato lo sfratto della comunità Lof Pailako nel Parco Nazionale Los Alerces. Per evitare spargimenti di sangue, i membri della comunità hanno abbandonato le loro case ore prima dell'arrivo delle forze di polizia. Le famiglie sono rimaste senza casa, gli animali senza sostentamento e i bambini senza accesso a abitazioni, salute o istruzione. Bullrich ha dichiarato trionfante: "Questo è il primo sfratto di una serie che segnerà la fine di un periodo in cui in Argentina ha regnato la mancanza di rispetto per la proprietà privata."

La ministra della Sicurezza agisce con il pieno sostegno dei governi federale e provinciali. Milei, ammiratore di Donald Trump ed esponente dell’estrema destra internazionale, ha lanciato l’offensiva contro i Mapuche con il suo tipico fanatismo da libero mercato e supremazia bianca. Mentre concede mano libera agli investitori, ha cancellato i programmi di registrazione delle terre indigene e abrogato la Legge 26.160, la Legge sull’Emergenza Territoriale Indigena del 2006 che almeno nominalmente sospendeva gli sfratti delle comunità nei territori ancestrali. Nonostante la firma di trattati internazionali sui diritti indigeni, i governi sia di destra che di sinistra hanno fallito nell’istituzionalizzare il riconoscimento delle terre e dei diritti, spianando la strada a Milei per annullare conquiste e tutele.

Le organizzazioni per i diritti umani hanno denunciato l’abrogazione dei diritti indigeni alla Commissione Interamericana dei Diritti Umani, alla Corte Interamericana, al Relatore Speciale ONU sui Popoli Indigeni e all’Alto Commissario per i Diritti Umani.

La festa dei miliardari

Mentre i Mapuche vengono sfrattati con violenza dai pochi ettari su cui vivono, miliardari internazionali possiedono già, spesso illegalmente, milioni di ettari in Patagonia e cercano di accaparrarsene altri. L’élite ultra-ricca ha puntato gli occhi su questa terra decenni fa, attratta dalle viste mozzafiato sulle Ande, dai laghi cristallini e dalle foreste incontaminate. La regione custodisce gran parte delle ultime riserve di acqua dolce, aria pulita e boschi primari del pianeta. Le multinazionali sono arrivate per sfruttarne le risorse, mentre i miliardari la considerano un parco giochi privato e un rifugio per quando il resto del mondo diventerà inabitabile.

Un caso esemplare è quello del Lago Escondido, proprietà del multimilionario britannico Joe Lewis. Lewis possiede tra i 12 e i 14mila ettari, incluso l'intero lago. Nonostante abbia ospitato presidenti argentini e dignitari stranieri nella sua proprietà, l'ha chiusa al pubblico con barriere fisiche e guardie armate. Altri interessi stranieri con vasti possedimenti nella Patagonia argentina includono la compagnia israeliana Mekorot, l'azienda italiana Benetton, l'attore Sylvester Stallone e società di investimento degli Emirati Arabi Uniti, tra gli altri.

Come Trump, il governo di Milei, dei ricchi e per i ricchi, ha agito rapidamente per rimuovere le restrizioni ambientali e sociali. Milei ha istituito un nuovo Regime di Incentivo per Grandi Investimenti (RIGI) lo scorso anno che offre agevolazioni fiscali, incentivi doganali e vantaggi valutari per progetti superiori ai 200 milioni di dollari avviati entro due anni. La legge promuoverà il tipo di progetti estrattivi su larga scala che i gruppi di cittadini e le comunità Mapuche hanno contrastato perché sradicano le comunità e distruggono il territorio.

Un'analisi del probabile impatto del RIGI nel Chubut indica che la provincia patagonica potrebbe assistere a un rapido boom nello sfruttamento minerario, petrolifero e del gas. Nella provincia di Chubut vige un divieto sulle miniere a cielo aperto - risultato di una mobilitazione dal basso. Gli esperti temono che una causa legale potrebbe portare a ribaltare la volontà popolare espressa nel divieto.

Il RIGI e gli altri programmi per vendere la Patagonia a investitori stranieri preparano il terreno a conflitti locali sull'uso del territorio e delle risorse. I proprietari terrieri miliardari trarranno enormi profitti dalle misure di Milei e hanno già elaborato piani per espandere i loro possedimenti e le loro operazioni.

Gli attacchi, gli sfratti e la criminalizzazione delle comunità Mapuche possono essere visti come una misura preventiva per indebolire le forze che difendono le terre native e proteggono l’ambiente.

Rafforzamento dello Stato di Polizia

Il governo federale si è preparato a reprimere ogni resistenza legalizzando la repressione violenta delle opposizioni locali e nazionali. Il 10 marzo, il Congresso ha approvato la cosiddetta "Legge Anti-Mafie", che stabilisce che tutti i membri di un gruppo possano ricevere la stessa condanna di un singolo membro. Associazioni internazionali di giuristi e organizzazioni per i diritti umani hanno definito questa legge una "legalizzazione di un virtuale stato d'assedio", concepita appositamente per colpire i più danneggiati dalle misure di Milei: i poveri, l'opposizione politica, i sindacalisti e i popoli indigeni.

Il governo di Milei ha inoltre adottato un "protocollo anti-picchetto" che criminalizza le proteste. Secondo un rapporto di Amnesty International, queste misure hanno già portato a più di mille manifestanti feriti a causa dell'uso eccessivo della forza. Recentemente, durante le proteste del 12 marzo, la polizia ha sparato direttamente un candelotto di gas contro un fotografo. Pablo Grillo, con il cranio fratturato, è ancora in terapia intensiva.

La ricostruzione di uno stato di polizia brutale in Argentina evoca immagini della dittatura militare, un periodo di terrorismo di stato durato dal 1976 al 1983. Millán avverte che il governo Milei è una dittatura e che il paese sta assistendo a un ritorno al "terrorismo di stato" che causò migliaia di assassinii e sparizioni durante la dittatura militare.

Quando difendere terra e cultura significa rischiare la vita

Non sorprende che il regime abbia posto le donne indigene al centro della sua campagna diffamatoria. Le donne sono il cuore della difesa Mapuche del loro territorio e della protezione della terra e della vita contro i progetti estrattivi e le privatizzazioni. Per decenni hanno lavorato per consolidare e ristabilire le comunità nelle terre ancestrali, insegnare alle nuove generazioni la lingua e le usanze Mapuche e costruire una resistenza pacifica. L'ultima offensiva governo-corporations ha messo gravemente a rischio la loro vita e libertà.

"Questo gruppo al potere - patriarcale, razzista - si sente minacciato dalla capacità e dalla difesa della vita che noi donne portiamo avanti", ha spiegato Moira in una recente intervista. "Lo Stato e le corporation sanno che le donne possono costruire alleanze tra settori per difendere i diritti, quindi devono indebolire questo forte processo organizzativo in questo momento storico, incluso a livello globale". In questo contesto, ha aggiunto, gli attacchi apertamente misogini del governo Milei sono strategici, vengono incorporati nelle politiche pubbliche e rappresentano il fulcro delle politiche repressive.

Nonostante tutte le forze contro di loro, le comunità Mapuche di oggi continuano a vivere e a prendersi cura della loro terra. Proteggono fiumi e laghi, gestiscono le foreste per mantenere gli alberi sani, prevenire danni da incendi e controllare specie invasive. Alcune famiglie vivono su queste terre da generazioni, altre sono tornate dalle migrazioni forzate nelle baraccopoli urbane per ricostruire le loro vite, la loro terra e la loro identità.

Quasi ogni giorno durante le settimane della nostra visita, le donne uscivano presto da casa per celebrare cerimonie tradizionali. Lingua, spiritualità e conoscenze ancestrali vengono coltivate attraverso la vita quotidiana, i legami familiari e comunitari. Nonostante le campagne genocide e i discorsi volti a negare la loro esistenza (il governo parla spesso di "pseudo-Mapuches") o a diffondere odio, queste comunità sopravvivono ancora, ed è grazie a loro che la regione conserva le sue acque dolci famose nel mondo, pesce in abbondanza e paesaggi incontaminati.

Il potere dell'esempio può essere più minaccioso di quanto si pensi per un potere illegittimo

Qui si scontrano due visioni radicalmente opposte del territorio e del rapporto tra esseri umani e ambiente. Mentre avanzano i progetti per trasformare questo capolavoro della natura in un'enclave estrattiva, Moira Millán ha riassunto così la posizione Mapuche: "Ci siamo opposti con fermezza alle mega-miniere estrattive, alle dighe, ai progetti idroelettrici che ucciderebbero i fiumi per fornire elettricità alle multinazionali, e più recentemente all'acquedotto promosso dalle compagnie petrolifere. Il popolo Mapuche recupera la terra per riaffermare il suo impegno verso la vita. Per noi la vita è la cosa più importante. E non solo la vita umana, ma la vita di tutto ciò che ci circonda".

 

di Laura Carlsen

fonte: Counterpunch


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