L’amico fedele è uno di quei film rari che ti sorprendono senza clamore, ti parlano con voce pacata ma arrivano dritti al cuore. Dietro la macchina da presa ci sono David Siegel e Scott McGehee, due registi americani che da anni si distinguono per un cinema elegante, misurato, capace di toccare le corde più profonde senza alzare mai la voce.

Con L’amico fedele, tratto dal romanzo di Sigrid Nunez, i due registi si avvicinano a un territorio più emotivo, senza però tradire il loro stile asciutto. È una storia di lutto, solitudine e legami inattesi, in cui l’anima più luminosa è, incredibilmente, un cane: Apollo, un gigantesco e malinconico alano che diventa il compagno di vita – quasi per forza – della protagonista Iris, interpretata da una intensissima Naomi Watts.

Le città di pianura, firmato dal regista Francesco Sossai, racconta la storia di Carlobianchi e Doriano, due spiantati cinquantenni, il quali hanno un’ossessione: andare a bere l’ultimo bicchiere. Una notte, vagando in macchina da un bar all’altro, si imbattono per caso in Giulio, un timido studente di architettura: l’incontro con questi due improbabili mentori trasformerà profondamente Giulio nel suo modo di vedere il mondo e l’amore, e di immaginare il futuro. Un road movie nella sterminata pianura veneta che viaggia alla velocità con cui si smaltisce una sbronza.

Tra Natura e Quota – Giovanni Storti Sopravvive alle Alpi Apuane è molto più di un documentario: è un viaggio emozionante e consapevole dentro la natura selvaggia e l’anima della montagna. Diretto con sensibilità da Giorgia Lorenzato e Manuel Zarpellon, il film affronta con chiarezza due temi oggi fondamentali: la biodiversità da proteggere e l’importanza della sicurezza in alta quota, in un contesto in cui il cambiamento climatico e l’impatto umano mettono sempre più a rischio gli ecosistemi montani.

Esordio al cinema per Luca Zingaretti, che firma il suo primo film da regista con La casa degli sguardi. È un film che parla del dolore, ma non in termini negativi, ma come ingrediente necessario per la felicità, perché dolore e gioia sono fatti della stessa materia.

Con Il quadro rubato, Pascal Bonitzer firma probabilmente il suo film più riuscito: un’opera elegante, complessa e ricca di sfumature. La sceneggiatura, finemente cesellata come un ricamo, si costruisce come un puzzle narrativo a più strati, affrontando temi molto diversi tra loro con sorprendente armonia.

Il mondo dell’arte, con le sue gallerie, le case d’asta e la competizione spietata tra mercanti per accaparrarsi le opere più ambite, è lo sfondo apparente della storia. Ma sotto questa superficie si sviluppano altri filoni tematici profondi: c’è il contrasto tra classi sociali, incarnato dal giovane operaio di provincia — interpretato con autenticità da Mathieu Lucci — che lavora di notte e conduce una vita modesta, diventando, paradossalmente, il custode di un’opera d’arte inestimabile.


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