Un cambiamento imprevisto che interviene in un contesto - destabilizzandolo - può sfociare in una crisi. Ma una crisi in atto è già una crisi, un punto culminante. Muovendosi dal presupposto che nel lessico comune, parole e locuzioni  rinviano a diverse nozioni e azioni, questo si trasforma a livello mediatico, in un elemento d'estrema importanza. Si sa che, attraverso i mezzi d'informazione, l'uso di un vocabolario ad hoc può turbare, persuadere, suggestionare e tuttavia quasi in modo implicito, si carica di una responsabilità, riferisce una situazione, una realtà complessa e oggettiva. Prendiamo un termine divenuto molto in voga che descrive una condizione per la quale, ci piaccia o meno, siamo chiamati a confrontarci: il climate change, cambiamento climatico o global warming, surriscaldamento globale.

In tutte le lingue del mondo ci sono parole usate genericamente, mode lessicali, termini ignorati. In Italia, clima e meteo ne subiscono le spese. I fenomeni atmosferici sono associati al termine e al concetto di “allarme”, mentre l'approssimazione scientifica nella comunicazione resta a dir poco, imbarazzante. Diversamente in Inghilterra, dove, conoscenza, divulgazione e informazione hanno fatto del climate change, un argomento da prima pagina.

Per The Guardian Observer la posizione del team editoriale e redazionale è chiara: sul climate change si cambia lessico, questo non è un cambiamento, è una crisi. Le terminologie hanno credito, se non altro per discernere un concetto di fondo. Il cambiamento potrebbe accadere, essere qualcosa a venire, girare intorno a una mera previsione visto i molteplici segnali, potrebbe anche rivelarsi una grossolana fesseria a sentir le campane dei negazionisti e degli scettici, ma da quindici/vent'anni come prospettato da esperti e climatologi, questo processo avanza a una velocità impressionante. Nel frattempo, ci troviamo alle porte del 2020, con decine di conferenze tenute sul clima e altrettante defezioni. E sono nazioni responsabili del massimo inquinamento su scala mondiale - vedi l'ultima prodezza del presidente Donald Trump - a non sottoscrivere accordi, perseverando in una politica miope se non addirittura criminale, un evidente  nulla di fatto mentre lo scenario paventato avviene sotto i nostri occhi.

E' già crisi, afferma The Guardian, bisogna  affrontarla con ogni mezzo, attraverso inchieste dettagliate, supportate da fonti attendibili, in una sorta di giornalismo “militante” efficace e comprensibile. Possiamo senza indugio, chiamarlo “giornalismo militante” senza rischiare un vecchio cliché? Grazie a una semplice sottoscrizione di liberi cittadini e un'iniziativa senza pari, si chiede ai lettori di sostenere economicamente la condivisione nel continuo ragguaglio su clima e ambiente, in piena coscienza e libertà, senza legami imbarazzanti, padroni e senza assoggettarsi a multinazionali. E' una giusta causa, basta un euro.

La relazione iniziale verte su un dato significativo: The Guardian raggiungerà emissioni pari a zero nei prossimi dieci anni, sviluppando un piano per raggiungere l'obiettivo. Si è stabilito un controllo completo nella priorità a ridurre l'impronta di carbonio in modo permanente. “Saremo trasparenti con i nostri progressi in campo energetico. Abbiamo annunciato di essere la prima organizzazione di stampa ad acquisire la certificazione Bcorp, il che vuol dire entrare in una comunità di aziende impegnate a guidare un cambiamento sociale in positivo. Questa è una pietra miliare nella trasparenza pubblica e nella responsabilità politica nei confronti dell'ambiente”. E si precisa:“Il giornalismo ambientale del Guardian Observer ha un forte impatto nel mondo, per il quale abbiamo ricevuto supporto e contributi finanziari da lettori divisi in 180 Paesi. Ciò ci consente di mantenere questo particolare modo di fare inchieste, accessibile a tutti...scevro da ogni subordinazione esterna. Qualsiasi forma di supporto, per quanto grande o piccola è fondamentale al nostro futuro”.
Il nuovo glossario sullo stile di scrittura divulgativa in materia di clima, si sintetizza in alcuni punti essenziali. E' stata la stessa direttrice responsabile, Katharine Viner, a fornire le linee guida a giornalisti e redattori, assicurandosi sulla veridicità scientifica nonché di fornire una chiave d'interpretazione semplice e diretta ai lettori: “Vogliamo comunicare chiaramente con loro su questo importantissimo problema”.
Pertanto, “crisi climatica” o “emergenza climatica” si utilizzeranno al posto di “cambiamento climatico”, per descriverne l'impatto in maniera più ampia. Si ricorrerà a terminologie come “disaggregazione del clima” - ossia la scomposizione di un elemento omogeneo - invece di “global warming”, non mancando di spiegarne il senso scientifico e geofisico. Per esempio: “Gli scienziati affermano che la disaggregazione climatica contribuisca a un aumento nell'intensità degli uragani”.

“Negazionista della scienza sul clima”, al posto di “scettico sui cambiamenti climatici causati da attività umane”. Si definisce uno scettico “un cercatore di verità”; un inquirente che non è ancora giunto a una conclusione certa, ma il nostro nega prove scientifiche inoppugnabili, disconosce un cambiamento del clima su larga scala, non attribuisce la crisi  all'obsoleto sfruttamento di risorse energetiche e all'inquinamento. “Emissioni di gas a effetto serra” avranno la precedenza su “emissioni di biossido di carbonio”. Difatti, tale linguaggio non comprende tutti i gas dannosi come metano, ossidi di azoto, CFC.

Sarà preferibile usare  “fauna selvatica”, non “biodiversità”, ritenendo il primo termine meno “clinico”, più giusto e accessibile in quanto si parla di “creature con cui condividiamo il pianeta”. Utilizzare “popolazioni ittiche”, invece di “stock ittici”, sottolineando che pesci e i mammiferi non esistono solo per essere raccolti e consumati,  ma dando impulso a percepirli come esseri senzienti che svolgono un ruolo vitale negli ecosistemi degli oceani.

Mi si conceda, inoltre, di stilare un secondo vademecum improntato sulla speranza che  culturalmente e grazie a buone pratiche, qualcosa possa davvero cambiare. Un lessico improntato su un nuovo modo di vivere, affrontare questa crisi con uno sforzo comune, forse, invertirne la tendenza. Innanzitutto “renewable energy”, energie rinnovabili e sostenibili; “wind power”,”geothermal energy”,“hydropower, o “biofuel”, giusto per citarne qualcuna. Le buone pratiche si riconoscono nell'asserzione di “recycle and reuse”, rigettano il “food waste”, optano per un “use public transportation”, oppure scelgono l'acquisto d'auto elettriche. La scienza è unanime anche dal punto di vista alimentare:“eat less meat”, prediligendo “locally grown vegetables and fruits”...Giusto perché il lessico conta e contano  le azioni, la consapevolezza in ognuno di noi.

 

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