Le massicce manifestazioni di protesta di questi giorni negli Stati Uniti hanno contribuito, tra le altre cose, a screditare ancora di più di quanto non lo sia già da tempo il principale quotidiano americano. La pubblicazione settimana scorsa sul New York Times di uno sconcertante articolo di propaganda fascistoide, scritto da un senatore repubblicano fedelissimo del presidente Trump, ha infatti gettato in una gravissima crisi i vertici editoriali del giornale, costretti a correre ai ripari con una clamorosa marcia indietro e un altrettanto eclatante licenziamento per cercare di contenere la crescente ondata di polemiche.

 

Il pezzo incriminato è un commento del senatore di estrema destra dell’Arkansas, Tom Cotton, apparso nella versione on-line del Times nella serata di mercoledì scorso e su quella stampata del giorno successivo con il titolo di “Send in the Troops”. Il politico vicino alla Casa Bianca lasciava pochi dubbi sulla sua visione delle proteste scatenate dall’assassinio di George Floyd per mano della polizia di Minneapolis. Cotton sollecitava un intervento dell’esercito per “disperdere, arrestare e, in ultima analisi, scoraggiare coloro che violano la legge” attraverso una “schiacciante dimostrazione di forza”. Facendo eco alle posizioni espresse da Trump, il senatore dell’Arkansas invocava l’applicazione del cosiddetto “Insurrection Act” del 1807 per ordinare il dispiegamento sul suolo americano di militari in servizio con compiti di ordine pubblico, anche in assenza di una richiesta esplicita da parte dei governatori degli stati interessati dai disordini.

Il pezzo di opinione di Cotton si basava su una considerazione che non corrisponde alla realtà sul campo, cioè che la maggior parte dei manifestanti sarebbero violenti rivoltosi. Anche per stessa ammissione dei media ufficiali americani, le proteste che stanno interessando centinaia di città americane avvengono in maniera largamente pacifica e sono piuttosto le forze dell’ordine a ricorrere spesso a metodi violenti. Nella sua “op-ed” sul Times, il senatore trumpiano attribuiva invece le violenze a “radicali di sinistra”, come il gruppo “antifa”, messe in atto per determinati obiettivi di matrice “anarchica”.

Anche senza entrare nel merito delle affermazioni di Tom Cotton, che comporterebbero considerazioni come il carattere in larga misura informale di “antifa” e le probabili infiltrazioni in esso di polizia e intelligence, la tirata ultra-autoritaria del senatore repubblicano nel pieno delle manovre della Casa Bianca, che lasciavano intravedere una spallata alla Costituzione USA, ha provocato un polverone prima di tutto all’interno della redazione del New York Times. Quella che è apparsa da subito come una rivolta, alimentata da lettori e abbonati, contro la decisione di pubblicare un commento più adatto a un network come FoxNews, se non a pubblicazioni di nicchia neo-fasciste, è culminata così domenica nel licenziamento del responsabile della pagina di opinione del Times, James Bennet.

La decisione è stata comunicata alla redazione del giornale newyorchese dal suo editore, A. G. Sulzberger, il quale ha inquadrato il provvedimento in un piano di riorganizzazione della più cruciale delle sezioni della testata di fatto più influente d’America. Sulzberger, soprattutto, ha cercato di confondere le acque circa la gestione di una vicenda che ha messo perfettamente in chiaro le tendenze degli organi decisionali di quello che dovrebbe essere in teoria un baluardo della stampa progressista d’oltreoceano.

Dalla redazione del Times è subito partita una lettera di protesta che ha raccolto 800 firme, mentre giovedì decine di giornalisti non si sono presentati al lavoro e molti altri hanno denunciato le decisioni dei loro superiori sui social media, nonostante il divieto di commentare pubblicamente i pezzi di opinione. Bennet e Sulzberger avevano dapprima difeso la pubblicazione dell’articolo del senatore Cotton, perché a loro dire sarebbe necessario dare spazio a opinioni di qualsiasi genere.

In seguito era emerso però che Bennet non aveva nemmeno letto l’articolo, così che l’editore del Times è stato costretto a intervenire nuovamente per gettare acqua sul fuoco. Sulzberger ha allora tirato in ballo un “processo editoriale affrettato” e inadeguato che avrebbe finito per tollerare “inesattezze” e “toni inutilmente duri” da parte del senatore di estrema destra. Il mea culpa aveva incluso anche la pubblicazione in fretta e furia nella giornata di venerdì di un articolo della “columnist” Michelle Goldberg che definiva “fascista” l’intervento di Cotton e criticava apertamente la scelta dei vertici del giornale.

Il tentativo della dirigenza editoriale del Times di minimizzare le proprie responsabilità e di ricondurre l’episodio a trascuratezza e scarsa organizzazione della pagina supervisionata da James Bennet è andato in ogni caso a vuoto. I vertici del giornale non sono stati spettatori innocenti, come dimostrano svariati fatti. In primo luogo, il titolo che anticipava inequivocabilmente il contenuto del pezzo è stato scelto dal Times e non dall’autore. Ancora peggio, non è stato quest’ultimo a chiedere al giornale “liberal” di avere uno spazio nella pagina di opinione, ma è la direzione editoriale del Times ad avere invitato il senatore dell’Arkansas a scrivere sulle proteste in atto.

La pretesa di Bennet e del suo editore di non avere letto in anticipo il pezzo, anche se ciò dovesse corrispondere alla realtà, non giustifica inoltre l’accaduto. Tom Cotton, entrato al Senato di Washington nel 2015, è ben noto come uno dei politici repubblicani più reazionari degli Stati Uniti. Come già anticipato, il senatore è un acceso sostenitore del presidente Trump e, se mai fosse stato necessario, prima di scrivere l’articolo per il Times aveva chiarito senza equivoci le sue posizioni sulle manifestazioni contro la brutalità della polizia. Così come Trump, Cotton aveva invocato la repressione delle proteste per mano dei militari, arrivando a equiparare i dimostranti a terroristi e nemici dell’America.

Quando James Bennet ha offerto a Cotton uno spazio sulla pagina da lui diretta le aspettative non potevano essere perciò differenti. Questa realtà dimostra ancora una volta come ai vertici del New York Times ci sia ben poco di democratico e progressista. Questo giornale è diventato da tempo e per lo più il portavoce di determinati ambienti dell’apparato di potere degli Stati Uniti ed è legittimo ipotizzare che la presenza di un’invocazione della repressione militare contro la popolazione americana sulle proprie pagine poteva rappresentare un messaggio di apertura alla Casa Bianca in caso di decisioni estreme, come il ricorso alla legge marziale o qualsiasi altro colpo di mano in senso autoritario.

Il fatto che una “op-ed” di questo stampo sia apparsa sul New York Times non è dunque un semplice invito alla discussione e allo scambio di idee. Il Times e, in particolare, la pagina di opinione dettano di fatto gli orientamenti del dibattito politico negli Stati Uniti, influenzando il punto di vista di una fetta enorme dei media e, di riflesso, il contenuto di quanto finiscono per leggere e vedere in TV decine di milioni di americani. Lo sdoganamento di un pezzo di propaganda fascista da parte della testata “liberal” per eccellenza la dice perciò lunga sulle inclinazioni e gli obiettivi della classe dirigente USA in questo frangente di crisi.

D’altra parte, l’appena licenziato James Bennet vanta un curriculum e legami famigliari che lo rendono perfettamente adeguato a questa realtà. Allo stesso tempo, il fatto che la sua influenza non gli abbia evitato una rimozione sommaria testimonia il livello enorme di rabbia e repulsione esplose tra la redazione e i lettori non solo per l’articolo del senatore Cotton, ma più in generale per la deriva del Times. Sotto la gestione Bennet, la pagina degli editoriali ha infatti ospitato un numero crescente di commentatori conservatori ed è finita più volte al centro di dure critiche, ad esempio dopo la pubblicazione di articoli con chiari riferimenti razzisti e anti-semiti.

L’ormai ex direttore della pagina di opinione del Times è il fratello del senatore democratico del Colorado, Michael Bennet, membro, come lo stesso Tom Cotton, della commissione Intelligence della camera alta del Congresso. Il padre è invece il defunto Douglas Bennet, a lungo funzionario del dipartimento di Stato e, durante la presidenza Carter, per tre anni alla guida della US Agency for International Development (USAID), organizzazione notoriamente utilizzata dalla CIA come copertura per finanziare colpi di stato e operazioni di destabilizzazione all’estero.

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