Quando un regime ricorre sistematicamente a metodi di censura e ad azioni, degne del nazismo, volte a realizzare un vero e proprio genocidio culturale, il tentativo di raffigurare questo stesso paese come un eden democratico da difendere a tutti i costi diventa un esercizio molto complicato da sostenere. Il riferimento è ovviamente all’Ucraina, che dall’inizio delle operazioni militari russe, provocate dall’Occidente e dallo stesso regime di Kiev, ha accelerato l’implementazione di misure ultra-reazionarie per cancellare la lingua e la cultura russa. Una delle ultime e più radicali iniziative annunciate è quella della distruzione fisica di qualcosa come 100 milioni di libri definiti di “propaganda russa”, tra i quali figurano anche i capolavori di Tolstoj e Dostoevskij.

 

In una recente intervista all’agenzia di stampa Interfax, la direttrice dell’Istituto Ucraino del Libro, Oleksandra Koval, ha presentato questo progetto orwelliano con parole che avrebbero potuto essere pronunciate otto o nove decenni fa da Josef Göbbels. L’istituto di cui è a capo la Koval è un organo del ministero della Cultura ucraino, impegnato a preparare le linee guida per la requisizione dalle biblioteche pubbliche del paese di una mole di volumi virtualmente senza precedenti.

Il piano prevede due fasi. Durante la prima verrà rimossa la “letteratura ideologicamente dannosa” pubblicata nel periodo sovietico, sia essa in lingua russa sia ucraina, e la letteratura russa con contenuti “anti-ucraini”. Si tratta, spiega la Koval, di opere che contribuirebbero a rafforzare un’interpretazione “imperiale” della storia oppure che “promuovono violenza” e “politiche scioviniste pro-russe”. Questo primo stadio dovrebbe essere ultimato entro la fine dell’anno, anche se Kiev auspica tempi ancora più brevi.

La seconda fase vedrà invece spostarsi l’attenzione delle autorità ucraine sugli autori russi contemporanei, ovvero pubblicati dopo il 1991. In questo caso, i generi saranno molteplici, dai libri per bambini ai romanzi gialli. In tutti i casi, alcuni libri destinati al “rogo” dovranno essere conservati almeno nelle università e negli istituti di ricerca, a disposizione di coloro che intendono studiare “le origini del male e del totalitarismo”. Anche la letteratura scientifica russa dovrà essere per il momento risparmiata, purché senza “connotazioni ideologiche”, ma solo per ragioni di opportunità, fino a quando cioè non sarà sostituita da testi ucraini o di altri paesi.

Già da queste dichiarazioni emerge la natura retrograda, repressiva e culturalmente criminale del progetto ucraino. Se ci fossero stati altri dubbi, la Koval ha poi provveduto a fugarli del tutto. A suo dire, tra le opere che meriterebbero la sorte descritta ci sono anche i classici della letteratura russa. Autori come “Pushkin e Dostoevskij” devono infatti essere banditi dal mondo culturale del paradiso democratico ucraino in quanto rappresentano le “fondamenta del mondo russofono e del messianesimo russo”. Per la direttrice dell’Istituto Ucraino del Libro, si è in presenza di una “letteratura estremamente dannosa”, in grado di “influenzare realmente le opinioni delle persone”.

La mostruosità del progetto del ministero della Cultura ucraino è semplicemente incredibile. La quantità di libri nella lista nera del regime di Kiev, pari a circa la metà di tutto il patrimonio librario conservato nelle istituzioni pubbliche ucraine, non si avvicina probabilmente nemmeno al numero di opere letterarie distrutte in passato dalle dittature più feroci. L’articolo di Interfax si chiude infine con la notizia della sorte riservata ai volumi che verranno distrutti, anche se l’agenzia di stampa ha deciso opportunamente di eliminarla dalla versione in inglese. Il ministro della Cultura ucraino, Oleksandr Tkachenko, ha fatto sapere che i 100 milioni di libri russi messi al bando finiranno al macero.

Va sottolineato inoltre che le azioni ucraine sconfinano per forza di cose nell’assurdo. Nello sforzo totalmente irrazionale di tracciare una linea netta di separazione tra due mondi che – storicamente – si sovrappongono, le autorità ucraine si ritrovano a dover prendere decisioni senza senso. È il caso ad esempio degli artisti russi con legami famigliari od origini ucraine, tra cui si possono citare i musicisti Tchaikovsky e Stravinsky, ma anche grandi scrittori e poeti come Gogol, Mayakovsky, Bulgakov e Anna Akhmatova.

Il comportamento del regime ucraino ricorda immediatamente, come già accennato, quello nazista. Nei primi anni Trenta del secolo scorso, in Germania fu attuato un piano sistematico per distruggere, attraverso roghi pubblici, le opere di una lunghissima lista di autori, da Karl Marx a Thomas Mann, da Franz Kafka a Sigmund Freud, da Alfred Döblin a Rosa Luxemburg, da Bertolt Brecht a Joseph Roth. Anche gli scrittori stranieri furono presi di mira, come James Joyce, Ernest Hemingway, Jack London, Theodore Dreiser e Oscar Wilde.

I metodi nazisti sono dunque gli stessi di quelli annunciati e già implementati dal regime di Kiev, anche riguardo ai nomi degli scrittori messi al bando. Ironicamente o, piuttosto, in modo inquietante, i libri, tra gli altri, di Dostoevskij e Tolstoj furono bruciati nei roghi nazisti allo stesso modo in cui oggi sono oggetto del genocidio culturale in atto in Ucraina. Il parallelismo non deve d’altra parte sorprendere, vista l’influenza esercitata sul regime ucraino da milizie e organizzazioni apertamente neonaziste. È del tutto possibile, anzi, che il progetto esposto da Oleksandra Koval sia stato ispirato direttamente dai roghi nazisti.

La guerra contro la letteratura russa si inserisce in un disegno profondamente autoritario di carattere più ampio e in atto da tempo per cancellare qualsiasi elemento russo dalla società ucraina, soprattutto se collegato al comunismo. Questa campagna era iniziata subito dopo il colpo di stato di estrema destra del 2014, orchestrato in collaborazione con l’Occidente, prendendo di mira i diritti della minoranza russofona, pari a circa il dieci per cento della popolazione ucraina.

Per quanto riguarda la letteratura, già nel 2015 furono vietati 38 libri pubblicati in Russia e da allora la lista nera è cresciuta progressivamente fino all’annuncio di qualche giorno fa dell’esclusione del capolavoro di Tolstoj, “Guerra e Pace”, dai programmi scolastici ucraini perché l’opera sarebbe una “celebrazione” dell’esercito russo. Per contro, questa furia anti-culturale del regime di Kiev si è accompagnata, sotto gli occhi disinteressati di media e governi occidentali, alla glorificazione di simboli ed “eroi”, come Stepan Bandera, legati al collaborazionismo nazista e all’anti-semitismo, elementi che hanno segnato drammaticamente la storia ucraina del ventesimo secolo.

È ad ogni modo complicato ricostruire le tappe dell’offensiva culturale anti-russa messa in atto in Ucraina in questi anni, poiché si tratta di un piano estremamente ramificato che tocca moltissimi ambiti. Le basi furono gettate nel febbraio del 2014 con il tentativo di abrogazione da parte del parlamento di Kiev (Verkhovna Rada) della legge che garantiva uno status speciale al russo e alle altre lingue parlate dalle minoranze che vivono dentro i confini ucraini (bulgara, romena, ungherese).

In seguito alle proteste esplose nelle regioni orientali del paese, il nuovo regime fu costretto a congelare il provvedimento. Nel 2016 la corte costituzionale ucraina bocciò tuttavia la legge che garantiva il pluralismo linguistico, aprendo la strada all’elevazione di quella ucraina a unica lingua ufficiale di fatto del paese. Poco più tardi sarebbero arrivate una raffica di misure anti-democratiche per restringere sempre di più gli spazi pubblici per le minoranze linguistiche, con particolare attenzione ovviamente al russo.

Per i programmi radiofonici e televisivi furono così stabilite “quote” che favorivano pesantemente la lingua ucraina a discapito delle altre. Nel settembre 2017 fu la volta di una legge volta a liquidare il russo dal sistema educativo ucraino. Ancora, nel maggio 2019, poco prima della fine del mandato del presidente Poroshenko, entrò in vigore un provvedimento che equiparava la campagna a favore del multilinguismo a un’azione diretta a “rovesciare l’ordine costituzionale” e imponeva l’uso della lingua ucraina virtualmente in ogni settore pubblico, così come in quello editoriale e dello spettacolo.

Di queste azioni si parla prevedibilmente poco o nulla sulla stampa ufficiale in Occidente, soprattutto dopo l’avvio della gigantesca macchina della propaganda a sostegno del regime ucraino in concomitanza con l’inizio delle operazioni militari russe. Quando invece le notizie del genocidio culturale anti-russo trapelano sui media “mainstream”, esse vengono quasi sempre trattate per lo più benevolmente, come l’abbattimento di monumenti dedicati a personalità russe o il cambio dei nomi di strade e fermate della metropolitana perché legati ugualmente ad artisti o uomini di stato russi.

In questo caso, il vergognoso atteggiamento dell’Occidente, oggettivamente complice del diffondersi dell’ideologia neo-nazista in Ucraina, può essere riassunto dal recente commento del New York Times a una delle iniziative del regime di Kiev per cancellare ogni traccia della cultura e della storia russa. Il giornale americano ha in sostanza elogiato questi sforzi da parte delle autorità ucraine come un atto di “decolonizzazione” per chiudere i conti con il passato “della Russia imperiale e dell’Unione Sovietica”.

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