di Ilvio Pannullo

All’ultima riunione del Consiglio dei Ministri europei dell’Economia e delle Finanze, tenutosi a Wroclaw, in Polonia, per la prima volta nella breve storia delle istituzioni comunitarie, erano presenti gli Stati Uniti d’America con il Sottosegretario al Tesoro statunitense Timothy Geithner. Un evento presentato come il segno di una ritrovata unità tra le due sponde dell’Atlantico, ma che in realtà evidenzia le preoccupazioni americane circa lo stato di salute dell’economia europea. Nonostante la presenza dell’ex governatore della Banca Centrale di New York, il vertice - va detto senza indugi - è stato un fallimento, perché non è stata presa nessuna delle importanti decisioni che si attendevano con ansia.

«Basta vedere quanto accaduto nelle prime ore dei lavori per trarre già le prime conseguenze», ha commentato l’economista Giacomo Vaciago. «Il rinvio a ottobre di qualsiasi decisione sulla Grecia segna di fatto il fallimento del vertice e, di conseguenza, segnala l’inutilità delle prediche di Gheitner e del governatore britannico Osborne». Proprio questa decisione rischia infatti di riportare le nubi sui cieli del Vecchio continente, dopo la boccata d’ossigeno respirata dopo la decisione della BCE di fornire liquidità in dollari al sistema bancario europeo.

La preoccupazione dell’Istituto di emissione europeo, proprietario della moneta unica nonché giudice monocratico dell’economia continentale, non potrà infatti che aumentare. La tensione del sistema bancario europeo al momento è più che evidente, alimentata dall’insoluta crisi greca. Tanto evidente che la BCE ha trovato la Federal Reserve molto ben disposta a procedere senza indugio alla manovra coordinata per fornire alle banche del vecchio continente liquidità in dollari. A ciò si aggiunga che il Sottosegretario al Tesoro Timothy Geithner, preoccupato per la situazione che si va delineando in Europa, ha deciso di portare, al vertice dell'Ecofin in Polonia, la sua esperienza nella lotta al contagio finanziario post-Lehman Brothers.

Il suggerimento americano riguarda un uso progressivo del "fondo salva-Stati". Gli americani, in sostanza, ci suggeriscono di modificare le norme che disciplinano l’utilizzo dei fondi dell’Efsf e consentirne l’utilizzo attraverso forme di leveraging, ossia di leva finanziaria, per meglio armare la crociata contro il possibile crollo dell’euro, innescabile dall’ormai prossima e inevitabile dichiarazione di fallimento della Grecia. Il modello, per il European Financial Stability Facility, dovrebbe essere il TALF - Term Asset-Backed Securities Loan Facility - il programma, cioè, gestito dalla Federal Reserve americana e assicurato da 20 miliardi di dollari del Tesoro, che mobilitò prestiti fino a 200 miliardi destinati all'acquisto di derivati del debito, rimettendo in moto un mercato paralizzato dopo il fallimento della Lehman Brothers, all’epoca una delle più grandi banche d’investimento allora operanti sul mercato di Wall Street.

Una versione europea del TALF americano - che si concretizzerebbe nell’utilizzazione a titolo di assicurazione dei fondi dell'EFSF - consentirebbe alla BCE di aumentare gli acquisti di debito sovrano e fornire maggiori finanziamenti ai paesi in difficoltà, ricevendo Bond altamente solvibili in garanzia. Considerati i tempi non sarebbe una decisione sbagliata.

Va da sé, tuttavia, che questo interessamento degli americani per le condizioni dell’eurozona sono il segno evidente dei timori degli Stati Uniti, che si sono accentuati quando la crisi del debito sovrano ha assunto contorni sistemici, coinvolgendo Spagna e Italia. L'intervento coordinato delle Banche Centrali mirava, infatti, a smorzare eventuali sintomi di crisi generati dalla difficoltà per le banche commerciali europee di trovare finanziamenti in dollari, creando una rete di sicurezza in caso di panico sul mercato interbancario.

L’intervento di Washington si è spinto ancora oltre: sono molti infatti gli incoraggiamenti a fare di più per soluzioni politiche che affrontino le sfide alla radice. Da qui la pressione per un neo-TALF targato euro zona che, ha detto Tim Geithner, "non va sottovalutato, perché può aumentare la potenza di fuoco di uno strumento, l’EFSF, che finora non sembra convincere mercato". Le nuove mosse sono infatti nate dall'inaridirsi delle risorse in dollari e dallo spettro di un calo significativo o di un inasprimento improvviso delle condizioni dell'offerta di credito, in grado di accentuare la fase recessiva. Cosa che non deve assolutamente accadere.

Se si blocca lo scambio interbancario tra le due sponde dell’Atlantico, l’Europa potrebbe ritrovarsi nel momento del bisogno senza scialuppe di salvataggio, incapace com’è di darsi delle regole politiche che spalmino i debiti di alcuni sulle spalle di tutti. Dunque di tenersi a galla da sola. La situazione non è da sottovalutare perché la necessità di dollari delle banche del vecchio continente è strutturale, legata a prestiti a clienti americani e all'obbligo di riparare debiti in divisa statunitense. "Non sono ansiosi di essere esposti".

Queste le parole pronunciate dall'economista americano premio Nobel Robert Engle, per descrive le ultime decisioni dei banchieri americani. Quando arrivano, inoltre, i finanziamenti sono erogati con scadenze sempre più brevi, segno evidente della mancanza di fiducia. Non mancano, per fortuna, dei salvagenti: le banche internazionali contano ancora 848,7 miliardi di riserve in dollari depositate presso la Federal Reserve. Ma, con l’aria che tira e con i crescenti ostacoli nel reperire il biglietto verde, gli istituti bancari europei hanno già contattato la giapponese Nomura per rastrellare dollari in Asia.

Le paure si vanno diffondendo anche a causa di un altro fenomeno: la caccia da parte di alcune aziende europee a reperire finanziamenti da istituti bancari fuori dal vecchio continente. È il caso della British Petroleum e di alcune società di trasporti e commodities. Citigroup sta inoltre discutendo una linea di credito da 1 miliardo di dollari per un gruppo energetico che teme paralisi in Europa.

Le banche francesi, tra le più discusse, sono grandi finanziatrici di queste operazioni in dollari. Insomma tira una brutta aria: chi conosce i numeri della crisi sa che il peggio deve ancora arrivare e sta agendo per tutelarsi, sin da ora. Per tutti gli altri i veri problemi arriveranno in blocco, improvvisamente, come accadde con la crisi del 2008 della quale ancora si devono assorbire le conseguenze.

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