Negli ultimi giorni si sente dire che “l’Italia riceverà dall’Europa 170 miliardi”, ma l’affermazione denota un eccesso di ottimismo. In realtà, fra il nostro Paese e quella montagna di soldi si frappongono almeno due ostacoli: uno esterno e uno interno. Innanzitutto, Bruxelles non ha ancora stanziato un euro: la Commissione ha avanzato una proposta su cui i governi si scanneranno per i prossimi mesi. Il via libera definitivo richiede l’approvazione all’unanimità del Consiglio europeo e un voto a maggioranza dell’Europarlamento. Si sa già che la trattativa sarà feroce e non potrà concludersi prima di fine luglio.

Il piano proposto dall’Esecutivo europeo si chiama “Next Generation Eu” e vale 750 miliardi, di cui 500 da distribuire a fondo perduto (come previsto dal piano Merkel-Macron) e 250 sotto forma di prestiti a scadenza lunga e tassi irrisori. I soldi saranno rastrellati sui mercati con bond emessi dalla Commissione e garantiti dal bilancio Ue 2021-2027. Quanto alla ripartizione, sarà correlata ai danni prodotti dalla pandemia nei vari Paesi e per questa ragione l’Italia incasserà più di chiunque altro: 172,7 miliardi, appunto, di cui 82 a fondo perduto e 91 in prestiti (dopo di noi c’è la Spagna con 140 miliardi). La quota destinata al nostro Paese è quindi superiore al 20%, circa il doppio dell’11% con cui Roma contribuisce al bilancio europeo.

La base del progetto è l’accordo raggiunto a metà maggio fra Germania e Francia. Una premessa solida, ma insufficiente a disinnescare le mine sulla strada del negoziato. Olanda, Austria, Svezia e Danimarca – comicamente detti “i quattro Frugali” – annunciano battaglia contro i trasferimenti a fondo perduto e, soprattutto, contro i nuovi bond europei.

Le obbligazioni garantite dal bilancio Ue hanno senso in ottica comunitaria, perché consentono a Paesi come l’Italia e la Grecia di non ingigantire ulteriormente il proprio debito pubblico e di finanziarsi a tassi molto più bassi di quelli pagati sui titoli di Stato. Per questo lo spread Btp-Bund si è abbassato negli ultimi giorni e Goldman Sachs (non proprio una comune socialista) ha vaticinato che il Recovery Fund ridurrà il rischio di default dei debiti sovrani europei.

D’altra parte, i bond comunitari renderebbero meno appetibili i titoli pubblici del Nord Europa, che quindi dovrebbero pagare interessi più alti. Una beffa insopportabile per i Paesi con debiti bassi e sostenibili. Tuttavia, dopo anni di speculazioni a danno dei concorrenti, Angela Merkel ha accettato di far pagare quest’obolo alla Germania, rendendosi conto che l’alternativa è il collasso produttivo dell’intera Unione. Purtroppo i “Frugal Four” non sono altrettanto lungimiranti, anche perché nessuno dei quattro primi ministri gode in patria di una leadership solida come quella della cancelliera. Neanche lontanamente.

Ma se, nonostante tutto, il negoziato andasse bene e l’Italia ottenesse davvero 172 miliardi, a quel punto si presenterebbe un altro problema: riuscire a spendere tutti quei soldi. Conte ha assicurato a Von der Leyen che il governo è già al lavoro sul “Recovery Plan” nazionale e che l’obiettivo è inviarlo a Bruxelles entro settembre, insieme alla Nota di aggiornamento del Def. Il piano conterrà tutte le misure da finanziare con i soldi in arrivo dall’Europa, alcune delle quali finiranno nella prossima legge di Bilancio.

Il guaio è che finora l’Italia ha sempre speso male i fondi europei, lasciando vari miliardi nel cassetto per incapacità progettuale e organizzativa. E stavolta lo sforzo richiesto è immane: il 60% dei soldi andranno impegnati entro il 2022 e il resto entro il 2024. Il tutto seguendo le priorità indicate dall’Europa (le principali sono green economy, digitale e sanità), oltre alle raccomandazioni che ogni anno Bruxelles invia ai governi. I Paesi che “non rispetteranno gli obiettivi concordati o non implementeranno le misure – ha avvertito Valdis Dombrovskis, vicepresidente della Commissione – perderanno i soldi di una rata”.

Se l’Italia riuscisse nell’impresa, entro qualche anno il tasso di crescita dell’economia risalirebbe a livelli accettabili, mettendo su una traiettoria discendente il rapporto debito/Pil. In caso contrario, torneremo alla stagnazione degli ultimi anni, ma con un debito più terrificante che mai, al 160% del Pil. E l’Europa ci imporrà di ridurlo con tagli alla spesa.

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