Ma quindi, con la riforma del catasto, le tasse sulla casa aumenteranno, diminuiranno o rimarranno uguali a oggi? Negli ultimi giorni abbiamo sentito rispondere a questa domanda in ogni modo possibile. La voce più accorata è stata quella di Matteo Salvini, che ha imposto ai rappresentanti leghisti di non partecipare al Consiglio dei ministri chiamato ad approvare la delega fiscale, il contenitore in cui è inserita la riforma del catasto.

 

Il segretario del Carroccio accusa il governo (che sostiene) di voler utilizzare questo provvedimento per alzare di nascosto la fiscalità sulla casa. Salvini si è spinto ad agitare lo spauracchio della “patrimoniale”, la parola magica che – appena pronunciata – ottunde immediatamente molti elettori. Il leader della Lega ricade così in un vecchio peccato: una volta diceva “vogliono abolire quota 100 per tornare alla legge Fornero”, e non era vero, perché quota 100 era una fregatura e non ha mai sostituito la Fornero, che è sempre rimasta in vigore; oggi finge di non sapere che, in Italia, la patrimoniale sulla casa c’è già: si chiama Imu e non è dovuta sull’abitazione principale.

Ma in fondo si sa, la precisione non è una virtù di Salvini, che da tutta la vita parla solo per slogan elettorali. Stavolta se n’è accorto anche il Pd, che giustamente accusa il segretario leghista di fare tanto chiasso solo per distrarre l’opinione pubblica dalle recenti amministrative, disastrose per il centrodestra (peraltro, anche se al ballottaggio di Roma vincesse Michetti, il dividendo andrebbe a Meloni, non certo a Salvini).

Sul piano dei contenuti, a sbugiardare il segretario leghista ci ha pensato Mario Draghi, che mercoledì dalla Slovenia ha ribadito quanto detto già in diverse occasioni: “La riforma del catasto non è una patrimoniale. Questo governo non tocca le case degli italiani, né aumenta le tasse. Quella sul catasto è un’operazione di trasparenza: perché nascondersi dietro l’opacità e calcolare le tasse sulla base di numeri che non hanno senso? Non è meglio fare luce?”.

I numeri di cui parla Draghi sono le rendite catastali, che dovrebbero esprimere il valore dell’immobile (o meglio, le cifre teoriche che si potevano ottenere anni fa affittandolo) e vengono usate per calcolare le tasse sulla casa. Ora, l’Italia ha due problemi con queste rendite, talmente gravi che l’Europa ci ha imposto d’inserire la riforma del catasto nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), il pacchetto di leggi e investimenti che ci siamo impegnati a varare in cambio di aiuti per oltre 190 miliardi di euro.

Il primo problema è che, nel nostro Paese, circa un milione di immobili non sono accatastati, in quanto abusivi: è necessario trovarli per renderli finalmente visibili agli occhi del Fisco. E questo non è un aumento delle tasse, ma recupero dell’evasione.

La seconda questione riguarda tutti gli altri immobili. In questi casi la rendita catastale esiste, ma è talmente vecchia che quasi sempre risulta inattendibile, lontana anni luce dai valori di mercato. Il sistema catastale italiano è nato nel 1939 e, da allora, è stato rivisto solo nel 1988-89. In più di trent’anni i prezzi delle case possono essere cambiati per molte ragioni: non solo per le fluttuazioni del mercato immobiliare, ma anche perché il proprietario può essere intervenuto con una ristrutturazione, o magari il Comune ha riqualificato il quartiere, aumentando il valore della casa. O ancora, al contrario, la zona e lo stabile possono essere caduti in abbandono, perdendo buona parte del valore che avevano tre decenni fa.

Infine, bisogna tenere presente che oggi, per il Fisco italiano, una casa piccola con quattro stanze vale più di un’abitazione grande divisa in tre ambienti. Il motivo è semplice quanto surreale: il criterio principale usato per determinare le rendite catastali è il numero dei vani in cui è suddiviso l’immobile. La riforma servirà quindi anche a sostituire questo parametro con i metri quadri complessivi, in modo che il valore più importante per calcolare la rendita catastale sia la grandezza della casa.

Il risultato di tutto questo caos è che il Fisco ha un’immagine distorta del patrimonio immobiliare italiano e questo produce una serie di ingiustizie. L’esempio tipico è quello della casa di pregio nel centro storico che, quando si tratta di tasse, viene trattata ancora come casa popolare, categoria in cui non rientra ormai da decenni.

La riforma del catasto punta proprio a eliminare queste assurdità, creando una mappa aggiornata degli immobili italiani. Per riuscirci, però, serve tempo: le stime parlano di cinque anni, per cui la situazione attuale non subirà modifiche almeno fino al 2026. Da quel momento in poi, però, i governi potranno decidere di usare le nuove rendite per calcolare le tasse sulla casa, che quindi potrebbero salire, ma anche scendere, a seconda che - dalla fine degli anni Ottanta - l’immobile abbia acquistato o perduto valore. L’unica certezza è che, in generale, la tassazione sarà più ancorata alla realtà e quindi socialmente più equa. Il problema è che “equità”, al contrario di “patrimoniale”, non è una parola magica che fa guadagnare voti.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy