Il vertice appena iniziato a San Francisco dei paesi della Cooperazione Economica Asia-Pacifico (APEC) sarà monopolizzato, per lo meno a livello mediatico, dal faccia a faccia previsto per mercoledì  tra il presidente americano Biden e il suo omologo cinese, Xi Jinping. L’incontro avverrà nel pieno della crisi in Medio Oriente e del peggioramento delle prospettive della “guerra per procura” americana in Ucraina. Due eventi che, assieme alle conseguenti ripercussioni economiche, stanno contribuendo ad accelerare il ridimensionamento della posizione internazionale degli Stati Uniti, a vantaggio principalmente proprio della Cina. Alla luce di queste dinamiche, sono in molti ad aspettarsi un relativo ammorbidimento delle posizioni di Washington nei confronti di Pechino, anche se dal summit APEC con ogni probabilità non arriveranno indicazioni di un cambiamento significativo nella traiettoria delle relazioni bilaterali sul medio e lungo periodo.

Le dottrine militari sono diverse, così come le strategie per il loro impiego. Quelle studiate nelle accademie delle grandi potenze si basano su concetti di guerra convenzionale e strategie per l'uso del nucleare, mentre i piccoli Paesi sviluppano dottrine e modelli militari adeguati alle loro dimensioni e al loro territorio, alla loro storia e cultura, persino alle loro idiosincrasie. Ma ciò che accomuna tutte le dottrine militari, senza eccezioni, è l'uso del termine "controffensiva". Con esso si intende un contrattacco finalizzato alla riconquista delle posizioni perdute e alla successiva parziale ritirata del nemico, al fine di liberare il territorio e rilanciare l'azione strategica.

L'Ucraina rappresenta un'eccezione, sia in termini di terminologia che di significato. La controffensiva ucraina è infatti diventata una nuova offensiva russa. Secondo il New York Times, "la Russia si è impadronita di ulteriore territorio, soprattutto nel nord-est, e ora controlla quasi 320 chilometri quadrati in più di territorio ucraino rispetto all'inizio dell'anno".

Non consideratela una frase ad effetto, quando il presidente iraniano Ebrahim Raisi avverte che, i «crimini sionisti a Gaza» avranno «conseguenze extraregionali». Lo ha ribadito l’altro giorno nel corso di un colloquio con il primo ministro indiano Narendra Modi. Gli ha fatto eco sua moglie, la scrittrice  Jamileh Alamolhoda che - informa il Tehran Times - ha inviato una lettera alle consorti di quaranta leader europei, chiedendo loro di condannare Israele perché ha ucciso donne e bambini palestinesi, facendo leva su «una politica di paura e di odio per raggiungere i suoi sinistri obiettivi nei territori occupati». 

Il drastico peggioramento della situazione nella guerra con la Russia sta alimentando un feroce conflitto interno al regime ucraino, con il presidente Zelensky in rotta di collisione sempre più aperta coi vertici militari e, in particolare, il comandante delle forze armate, generale Valery Zaluzhny. Lo scontro non promette nulla di buono per l’ex attore comico, né per le prospettive a breve e medio termine del suo paese. Un’ulteriore escalation è inoltre facilmente prevedibile, soprattutto dopo il recente probabile assassinio di uno stretto collaboratore di Zaluzhny e l’annuncio della cancellazione delle elezioni della prossima primavera da parte dello stesso Zelensky.

La decisione di ripresentare Joe Biden come candidato alle presidenziali del prossimo anno potrebbe costare molto cara al Partito Democratico americano. Anche se il probabile sfidante per la Casa Bianca sarà un Donald Trump che, denunce di brogli a parte, era risultato uno dei più impopolari presidenti uscenti alla fine del suo mandato, le prospettive per l’ultra-ottuagenario Biden e il suo partito tra dodici mesi appaiono decisamente cupe. I segnali d’allarme tra i vertici democratici si stanno moltiplicando, soprattutto alla luce della disastrosa gestione delle crisi in Ucraina e in Medio Oriente. Due recentissimi autorevoli sondaggi di opinione hanno poi aggravato la situazione per il presidente, dato in affanno in quasi tutti gli stati americani tradizionalmente decisivi per gli equilibri elettorali.


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