L’incontro tra il presidente russo Putin e il leader nordcoreano, Kim Jong-un, è avvenuto significativamente al termine di un’annuale conferenza nell’estremo oriente russo che, mai come in questa occasione, intende promuovere le opportunità di sviluppo e le prospettive strategiche di Mosca in Asia orientale. Un altro elemento logistico di rilievo è stata la scelta di una località non lontana dal confine con la Cina, quasi a ratificare il consolidarsi di una tripla alleanza tra Russia, Corea del Nord e, appunto, Repubblica Popolare Cinese di fronte alla crescente aggressività degli Stati Uniti e dei loro alleati.

 

Putin ha accolto Kim dopo avere partecipato all’Eastern Economic Forum di Vladivostok. Come di consueto, il leader nordcoreano ha viaggiato da Pyongyang su un treno blindato che ha attraversato il confine russo nella prima mattinata di martedì. I due leader si sono intrattenuti per un breve faccia a faccia privato, mentre le rispettive nutrite delegazioni sono state impegnate in “negoziati” che hanno toccato svariati argomenti. La folta presenza di alti ufficiali delle forze armate nordcoreane ha lasciato intendere che le questioni militari hanno occupato una parte importante dell’agenda, come era d’altronde già accaduto lo scorso luglio in occasione della visita a Pyongyang del ministro della Difesa russo, Sergei Shoigu.

Media e governi occidentali hanno a loro volta enfatizzato la dimensione militare del vertice, con l’accento sulla presunta “disperazione” di un Putin impegnato a mendicare armi, munizioni e, forse, soldati al regime di Pyongyang. Della possibilità di un qualche accordo per la fornitura di armi nordcoreane alla Russia ne ha parlato anche la stampa russa. La Corea del Nord ha d’altra parte uno dei più grandi eserciti del pianeta e un vastissimo arsenale di armi. I sistemi bellici di questo paese si integrano poi senza difficoltà con quelli in dotazione di Mosca. Inoltre, voci di un possibile invio di unità militari nordcoreane sul fronte ucraino sono circolate negli ultimi giorni.

Vista la realtà sul campo in Ucraina a netto favore della Russia, non hanno però nessun senso gli avvertimenti americani ed europei circa la “disperazione” del Cremlino. Le riserve di armi, munizioni e uomini di Mosca appaiono oggi superiori a quelle dell’inizio del conflitto ed è se mai la NATO a raschiare il fondo del barile per sostenere il regime di Zelensky. L’eventuale contributo nordcoreano potrebbe risultare comunque utile, ma una collaborazione in questo senso sembra avere più che altro vantaggi politici, mentre quelli strategico-militari sarebbero soprattutto per Pyongyang e non solo per quanto riguarda l’acquisto di armi russe.

Nel primo caso, il definitivo abbandono da parte russa delle politiche anti-coreane promosse dagli Stati Uniti minaccia di rompere l’isolamento del regime di Kim, prefigurando, come accennato all’inizio, una triangolazione con Pechino che, alla luce delle potenzialità della macchina da guerra della Corea del Nord, rappresenterebbe un serio problema per le manovre anti-cinesi di Washington in Estremo Oriente.

Questa prospettiva deve essere vista con apprensione alla Casa Bianca, come dimostra l’intensificazione negli ultimi giorni delle minacce da parte americana a Russia e Corea del Nord. Se, cioè, Pyongyang dovesse fornire armi a Mosca ci sarebbero nuove sanzioni per entrambi i paesi. La minaccia è evidentemente sterile, visto che la Corea del Nord è già gravata da un numero incalcolabile di sanzioni unilaterali e multilaterali, mentre l’effetto dei provvedimenti punitivi adottati contro la Russia da inizio 2022 è sotto gli occhi di tutti.

Parallelamente, non è da escludere che l’eventuale presenza di armi e militari nordcoreani in Ucraina possa essere sfruttata da Kim per testare le proprie forze sul campo di battaglia, dal momento che le ultime attività belliche condotte dal suo paese risalgono a esattamente settant’anni fa. Resta comunque l’ostacolo delle sanzioni in sede ONU. La Russia aveva infatti votato a favore delle misure dirette contro la Corea del Nord e il proprio programma nucleare nel primo decennio del nuovo millennio e poi ancora nel 2016 e nel 2017.

È comunque probabile che l’incontro di mercoledì tra Putin e Kim non determinerà cambiamenti drastici e repentini nei rapporti bilaterali. Anche da quanto è trapelato dal vertice, c’è piuttosto da aspettarsi progressi graduali e, per ora, di portata relativamente secondaria. Ad esempio, i due leader e le rispettive delegazioni avrebbero discusso della possibile assistenza russa nello sviluppo del programma nordcoreano per il lancio di satelliti in orbita. La location del faccia a faccia – il “Cosmodromo di Vostochny” – e il doppio fallimento registrato quest’anno dai lanci di satelliti spia da parte di Pyongyang sembrano supportare questa ipotesi.

La seconda visita in assoluto di Kim in Russia, che rappresenta anche la sua prima trasferta fuori dai confini nordcoreani dall’inizio dell’emergenza COVID, indica l’intenzione di diversificare le relazioni di un paese che intrattiene un legame di quasi dipendenza dalla Cina. Più che uno sganciamento da Pechino, il desiderio di Kim appare però una mossa in qualche modo coordinata con la leadership cinese. Se così fosse, il via libera cinese avrebbe importanti implicazioni.

Un commento apparso sulla testata russa on-line Vzglyad ha spiegato martedì che la visita di Kim “dimostra come Mosca e Pechino abbiano trovato un punto di convergenza circa il livello della cooperazione tra Russia e Corea del Nord”. Così facendo, continua l’articolo, la Cina ha accettato di “prendersi una serie di rischi” sul piano internazionale, ovvero di andare incontro alla reazione americana, fatta sia di nuove sanzioni sia di iniziative sul fronte militare. “Se i cinesi sono pronti per questo”, conclude l’analisi di Vzglyad, significa che “hanno preso atto che [provare a] sottrarsi alle pressioni americane è inutile” ed è quindi “ora di rispondere”, anche attraverso il passaggio a un livello superiore delle relazioni russo-nordcoreane.

Altri commentatori russi hanno sollevato il problema dei riflessi sui rapporti tra Mosca e la Corea del Sud, riferendosi in particolare alla spinta all’ulteriore militarizzazione da parte di quest’ultimo paese e al coordinamento sempre più stretto sul piano militare con gli Stati Uniti in risposta all’evoluzione della partnership russo-nordcoreana. Si tratta evidentemente di un fattore che il Cremlino ha valutato con attenzione, ma le relazioni con Seoul hanno già fatto segnare un rapido peggioramento dopo l’elezione del presidente conservatore, Yoon Suk-yeol. Quest’ultimo è tornato ad allineare totalmente il suo paese a Washington e ha partecipato da subito al delirio sanzionatorio contro la Russia dopo l’inizio della guerra in Ucraina.

La Corea del Sud sta inoltre sempre più consolidando il proprio ruolo nella triplice alleanza con USA e Giappone nel quadro del riposizionamento strategico asiatico di Washington in funzione anti-cinese. In questo quadro, e nonostante i rapporti commerciali non trascurabili tra Seoul e Mosca e soprattutto tra Seoul e Pechino, il formarsi di un blocco tra Russia, Cina e Corea del Nord è perfettamente coerente con l’evolversi degli eventi in Estremo Oriente.

La visita di Kim in Russia è comunque di estremo rilievo anche per ragioni di ordine interno per il regime di Pyongyang. Il paese sta percependo l’intensificarsi delle pressioni di Washington e Seoul e a esse risponde con gli strumenti consueti, ovvero l’impulso alla militarizzazione e alla modernizzazione del proprio arsenale bellico. Obiettivi, entrambi, che possono essere perseguiti in maniera più efficace proprio grazie alla collaborazione russa. Solo quest’anno la Corea del Nord ha eseguito oltre cento test missilistici, di cui l’ultimo, non a caso, nella mattinata di mercoledì poco prima del vertice tra Kim e Putin.

Le recriminazioni americane per il rafforzamento dei legami tra Mosca e Pyongyang hanno in ogni caso poco senso. Anche senza risalire ai falliti tentativi diplomatici dei decenni scorsi, durante la presidenza Trump si erano aperti spiragli di distensione, culminati nei tre storici incontri tra l’allora presidente repubblicano e Kim Jong-un. Il leader nordcoreano aveva mostrato di essere disposto a normalizzare le relazioni bilaterali se fossero state prese in considerazione le legittime esigenze di sicurezza del suo paese.

Prevedibilmente, gli ambienti più intransigenti del governo USA decisero invece di boicottare lo sforzo diplomatico della Casa Bianca, calcolando che l’offensiva anti-cinese richiedeva non un allentamento delle pressioni su Pyongyang ma un’intensificazione di esse. La conseguenza è stata l’irrigidimento di Kim e l’allineamento agli alleati tradizionali. La guerra in Ucraina e il rimescolamento degli equilibri globali a sfavore di Washington e dell’Occidente hanno fatto il resto, gettando le basi per l’integrazione della Corea del Nord nel vortice del multipolarismo guidato da Mosca e Pechino.

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