di Carlo Benedetti

Quella appena celebratasi é stata la quarta consultazione dal giorno della proclamazione dell’indipendenza segnata dal distacco dall’Urss, nel 1991. Ma è stata anche la prima ad assumere una portata geopolitica a livello dell’intera regione caucasica pur se valgono, soprattutto, i risultati che hanno un valore interno al Paese. Perché a vincere queste elezioni per il rinnovo del Parlamento sono stati (in una corsa che ha visto concorrere una ventina di partiti e un migliaio di candidati per 131 seggi, di cui 90 assegnati con il sistema proporzionale) due schieramenti notoriamente filogovernativi che si chiamano “Partito repubblicano” e “Armenia prospera”. Al vertice di questa vittoria (turbata da accuse di brogli e dall’acquisto di voti pagati con 40 euro) si trova, in particolare, un personaggio come Serzh Sarkisian - che si è fatto le ossa come ministro della Difesa – e che ora è il leader dei repubblicani, che contano il maggior numero di deputati in parlamento, e primo ministro. Ed è sempre lui che è accreditato come successore dell’attuale presidente Robert Kocharian (classe 1954) quando si terranno, nel 2008, le presidenziali che segneranno il limite del suo secondo ed ultimo mandato. Sempre per quanto riguarda la consultazione attuale arriva, praticamente a pari merito con i repubblicani, l’altra formazione. Quella denominata “Armenia prospera” guidata dall’ex campione di lotta libera Gagik Tsakurian, un personaggio che ha assunto negli ultimi tempi il ruolo di oligarca-capo vantando capitali che riempiono intere banche locali ed estere. E, tra l’altro, è un politico che si fa forte dei legami che ha con il presidente Kocharian. Questi, quindi, uomini e partiti che (ri)prendono il potere ad Erevan, la capitale dove ha sede, appunto, il parlamento nazionale. Ricomincia così una nuova pagina nella politica e nella gestione della società locale. Ma tutti sanno che dietro alla calma apparente delle due formazioni vincenti c’è uno stato di tensione. Nessuna critica ufficiale, ma guerriglia sotterranea per conquistare una reale leadership. Che nelle condizioni di un paese corrotto come è l’Armenia vuol dire rapporti con banche straniere e con tutto quel mare di capitali che si trovano in mano all’intraprendente diaspora armena spalmata in ogni angolo del mondo. Italia compresa.

La situazione è, quindi, in movimento. Perché ora, ad urne chiuse, ricomincia il balletto politico attorno alla figura del Capo dello Stato che svolge ancora un ruolo di tutto rilievo influenzando scelte di politica economica e di geopolitica. Uomo, comunque, che si caratterizza con molte contraddizioni: diviso tra nazionalismo e aperture con il mondo circostante; teorico dell’alternativa tra patriottismo e tradimento, fautore di politiche improntate al trasformismo.

Alle spalle ha una carriera particolare essendo stato presidente della contestata regione del Nagorno-Karabach e di essere passato poi alla poltrona di primo ministro dell’Armenia e, quindi, (dal 1998) al seggio presidenziale. Per ora Kocharian non si sbilancia. Gioca con furbizia le ultime carte operando per mantenere collegati alla sua poltrona i partiti che sono usciti a testa alta dal confronto elettorale, sapendo però che il voto di oggi è sicuramente il segnale di un’involuzione politica, ma anche la prova generale per le presidenziali del prossimo anno.

Il panorama politico armeno, comunque, è pur sempre segnato da una geopolitica che si dipana sotto quell’influenza americana che ha già messo ampiamente le mani nell’area: dall’Azerbaigjan alla Turchia, dalla Georgia all’Iran. E così Erevan – minata internamente da persistenti disuguaglianze sociali – si trova a fare i conti anche con quei “vicini” che non sono mai stati teneri con la nazione e con le popolazioni che vivono sotto l’Ararat, il monte che è il simbolo dell’intero paese. Ecco, quindi, che l’Armenia - in seguito alla sua scomoda posizione geografica – continua a trovarsi in bilico tra quell’influenza secolare russa e l’apertura culturale all’Occidente. Il tutto aggravato dalla contesa con l’Azerbaigjan per l’enclave del Nagorno-Karabach e dal duro dissidio con la Turchia in seguito alla storica questione relativa al massacro durante il primo conflitto mondiale.

Complessi sono poi i rapporti con la Georgia e con l’Iran. Con il governo di Tbilisi (filo americano e filo Nato), in particolare, gli armeni hanno una serie di conti aperti che nel periodo “sovietico” erano congelati, ma che ora riaffiorano. C’è in particolare la questione della minoranza yazidi, che vive in condizioni di estrema precarietà e che ha continui problemi relativi alle terre, all’acqua e ai pascoli. Mentre molti membri di questa comunità non hanno ancora acquisito il titolo di proprietà sui loro terreni. Tutto avviene mentre i due paesi si contestano a vicenda le responsabilità. Contenzioso aperto anche sulle questioni delle minoranze religiose e sulle leggi relative all’asilo politico. Per non parlare delle condizioni in cui vivono i rom e i migranti. Erevan accusa Tbilisi e viceversa… C’è poi l’intera vicenda religiosa che risale all’antichità – e precisamente al periodo del trattato russo-turco di Adrianopoli (1829) – quando una certa massa di popolazioni armene scappando dalle disastrose condizioni dell’Impero ottomano, preferirono cercare asilo sotto la protezione cristiana dell’Impero russo, creandovi decine e decine di nuovi villaggi e stabilendosi anche in zone georgiane come quelle – attuali – di Akhaltsikhe, Akhalkalaki e Bagdanovka-Ninodzminda.

Tutto questo retaggio storico crea problemi di difficile vicinanza. C’è, infatti, una presenza armena in territorio georgiano che non è del tutto accettata pur se la chiesa di Erevan ha in Georgia 7 grandi “regioni ecclesiastiche” con 86 parrocchie e 71 parroci distribuiti in 172 villaggi. Pesa però il fatto di una Chiesa armena cattolica che non è nata nelle montagne del Caucaso, ma si è formata in ambienti arabi della Siria e del Libano. E questo porta i georgiani a considerare gli armeni come esponenti di una religione importata, fortemente conservatrice. Tutto avviene mentre la Chiesa ortodossa georgiana nega di impedire il riconoscimento delle altre religioni ma, di fatto, oppone sempre ogni genere di ostacoli all’attuazione di tale atto. C’è, quindi, una situazione di coabitazione non sempre facile. Per non parlare del fatto che con la Georgia permangono dispute sulla definizione dei confini, a margine di alcuni posti di frontiera.

Infine, nel panorama geopolitico va messo nel conto il rapporto che l’Armenia ha ancora con Mosca. Il discorso che si apre porta al nodo del posizionamento internazionale del Paese. E qui c’è da rilevare che lo spirito nazionale guarda con simpatia e rispetto alla Russia post-sovietica. Non c’è nessuna campagna antirussa. Al contrario si stabiliscono gemellaggi e si intensificano i rapporti culturali. Le prove di questa condizione di buon vicinato si hanno quotidianamente osservando la tv di stato. Molte le trasmissioni in lingua russa e molti i film di produzione russa e sovietica. E questo è anche il frutto di una condizione economica di tipo particolare. Perché l’Armenia riceve molto – dal punto di vista economico – dalla Mosca di Putin. Ma anche in questo contesto bisogna fare molta attenzione alla situazione contingente. Prevale la necessità di ordine economico.

C’è poi l’incognita dell’Iran. Gli armeni hanno (per ora) bisogno di Teheran. E questo per il fatto che Ahmadinejad ha appena inaugurato un nuovo gasdotto che dovrebbe sottrarre il paese al suo isolamento. Inoltre, in prospettiva, si pensa a un collegamento con Mosca a nord e India a est per sviluppare corridoi alternativi a quelli Usa-Ue. Ma nello stesso tempo gli armeni che sono andati al voto in queste settimane sanno che prima o poi – visto l’isolamento dell’Iran e le impennate della Russia - dovranno guardare anche a Washington, dove l'influente lobby armena al Congresso riesce già a far viaggiare con discrezione cospicui fondi verso Erevan. Ed è ovvio che quando si muovono i dollari vuol dire che dietro seguiranno altre proposte e richieste. Ecco perché sul voto che ha dato la vittoria ai due partiti vicini al presidente gravano ancora molte incognite. Il vento dell’economia, intanto, non soffia in questa regione dove il 30% della popolazione vive con meno di due dollari il giorno. E inoltre è privato delle forniture di petrolio dell'Azerbaigjan, povero di risorse e depauperato dall'emigrazione dei giovani verso la Russia.

In sintesi si può dire che il voto armeno è stato indirizzato verso una politica nazionale, ma contro cinque realtà vicine: la Georgia, l’Azerbaigjan, la Turchia, l’Iran e la Russia. Questo il ritratto globale di una Armenia che gioca d’azzardo memore, forse, di quel suo Anastas Mikojan, leader dell’epoca sovietica, del quale si diceva che fosse in grado – quando pioveva – di passare tra le gocce per non bagnarsi.

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