di Carlo Benedetti

Ora è pace con una conseguente riunificazione. Ma c’era stato lo “strappo”, vero scisma all’interno della Chiesa ortodossa russa. Si era consumato ufficialmente nel 1927 dividendo in due diversi campi l’ortodossia. Da un lato quella moscovita, dall’altro quella con sede oltre i confini della Russia. Tutto era iniziato con la Rivoluzione comunista del 1917 quando la Chiesa russo-ortodossa aveva accettato – con i buoni uffici del Patriarca Sergyj - le regole dettate dal nuovo sistema istituzionale. Fu in quel momento che una parte del clero ortodosso abbandonò la linea scelta dal Patriarcato di Mosca. Erano gli anni delle persecuzioni religiose e di una guerra civile nella quale l'armata bianca, e con essa gli ortodossi filozaristi, avevano avuto la peggio. Tutti sconfitti e costretti alla fuga in altri paesi. Parte del clero si stabilì dapprima in Turchia e poi in Serbia nel 1921, dichiarandosi “Chiesa ortodossa russa all'estero” pur se lo scisma si consumò nel 1927. Nascevano allora una nuova Chiesa con un nuovo “Vaticano” ortodosso. E da allora si interruppe ogni legame tra le due realtà religiose. Due politiche e due vertici, quindi, ma un rito unico. Una lezione per tutti fatta di proverbiali cautele, di continue ricerche dei punti d’equilibrio. Ed è stato un distacco durato fino al 2003 quando si è registrato un contatto segnato dalla ripresa del dialogo. Ora tutto è passato e finisce negli archivi della storia di questa Chiesa russa sempre in bilico tra opposizione e fedeltà al sistema: una contrapposizione tra le diverse componenti. Prima al servizio di Stalin, poi di Krusciov, di Breznev, di Andropov, di Gorbaciov, di Eltsin… Ed ora tutti insieme con Putin. Perché il Patriarca di Mosca Alessio II e il metropolita Lavr, capo della “Chiesa ortodossa russa all'estero”, hanno firmato nella capitale russa, nella cattedrale di Cristo Salvatore, lo storico atto di riunificazione che mette fine allo scisma durato oltre 80 anni.

Alla cerimonia ha assistito, tra gli altri, anche il presidente Vladimir Putin, che può essere considerato come l’artefice laico di questa riunificazione e riappacificazione. Fu lui che nel 2003 promosse il primo passo concreto per il riavvicinamento delle due chiese consegnando al metropolita Lavr, a New York, dove ha sede la chiesa in esilio, un invito per una visita a Mosca da parte di Alessio II. Ora tutto rientra nel solco della storia. E viene celebrato con una cerimonia solenne.

Lo scenario è quello della cattedrale del Cristo Salvatore (distrutta da Stalin nel 1931 e ricostruita nei primi anni novanta da Eltsin) dove si celebra la prima liturgia comune. Che è benedetta da un Putin che assiste, accanto all’altare, alla cerimonia liturgica celebrata da Alessio II e da Lavr, che è stato il capo della Chiesa ortodossa all’estero. Pace fatta e di nuovo uniti, quindi. Perché con la firma dell'atto di comunione canonica, il Patriarca Alessio II diviene il Capo della Chiesa riunificata, ma quella che si trova all’estero manterrà pur sempre una sua autonomia: continuerà a nominare i suoi preti, manterrà il controllo delle sue proprietà e dei suoi affari quotidiani e avrà diritto ad essere rappresentata alla conferenza annuale dei prelati a Mosca.

Ma il Patriarca della capitale russa avrà tuttavia il diritto di approvare le nomine dei nuovi capi della chiesa all'estero. Inoltre i preti delle due chiese potranno concelebrare l'eucarestia. Contano – in questo contesto di riconciliazione - anche i dati relativi al numero dei fedeli. Secondo stime ufficiali, la Chiesa all’estero raccoglie 480mila fedeli solo negli Usa e per il Patriarcato di Mosca i due terzi dei 142milioni di cittadini russi è ortodosso.

Strappo rientrato quindi? Non del tutto perché tra i fedeli della chiesa russa all'estero, ci sono anche accesi oppositori dell'unione con Mosca. In molti se ne sono già andati, riunendosi intorno al metropolita Vitalij, in Canada (in tutto 3-4 parrocchie), mentre la stragrande maggioranza è indifferente o favorevole all'unione. Ma anche il Metropolita Lavr – ora rientrato all’ovile – mostra sempre aggressività ed autonomia. Ha, infatti, parole di critica per l'operato del Patriarca di Costantinopoli che, dice: "Non corrisponde alle norme canoniche della Chiesa ortodossa, tentando di allargare la propria giurisdizione nei territori della Chiesa russa".

Il problema che si pone ora al “Vaticano russo” consiste, quindi, nello studiare un sistema di coesistenza e di collaborazione tra le parrocchie delle due giurisdizioni del Patriarcato di Mosca e della Chiesa ortodossa russa all'estero, assicurando alle strutture di quest'ultima una certa autonomia amministrativa. Ma sul piano delle scelte immediate c’è sempre sospesa la questione del rapporto con la Chiesa di Roma. Si tratta di capire se il nuovo assetto dell’Ortodossia russa sarà in grado di formulare nuove proposte per il Papa di Roma.

E precisamente se si porrà fine allo spirito di crociata e si andrà alla ricerca, reale, del dialogo. Putin ha già manifestato più volte la sua disponibilità ad accogliere a Mosca Papa Ratzinger. Con lui potrebbe parlare quel tedesco che apprese alla scuola del Kgb quando era in servizio nella Rdt. E comunque sia il Cremlino dovrà convincere il vecchio Patriarca. Il nuovo metropolita, Lavr, dovrebbe essere più malleabile. Ha un’esperienza filoamericana e filovaticana. Quello che ci vuole. Forse.

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