di Agnese Licata

Venerdì scorso, il giorno stesso in cui a Milano iniziava il processo sul sequestro di Abu Omar, al Consiglio Europeo spuntava fuori un rapporto a confermare il coinvolgimento diretto dell’Italia nella pratica - targata stelle e strisce - di sequestrare terroristi o presunti tali. Secondo quanto spiegato dal relatore svizzero Dick Marty, il 4 ottobre 2001, all’indomani dell’attentato alle Torri Gemelle, Gli Stati Uniti proposero agli alleati della Nato – tra i quali anche l’Italia - una serie di accordi per garantire il via libera di tutti i Paesi aderenti alle proprie operazioni clandestine anti-terrorismo. In particolare, durante quella seduta il Consiglio Atlantico (convocato per discutere di come contrastare l’attacco di al-Qaeda) approvò un’intesa con Washington in otto punti. Unico lo scopo: garantire totale libertà di movimento ai voli della Cia. Voli definiti esplicitamente “militari”, in quanto diretti a combattere una guerra senza fronti e confini nazionali. Secondo gli accordi, il via libera era garantito non soltanto agli aerei dell’aeronautica, ma anche a qualsiasi volo civile, magari con agenti della Cia in borghese diretti a prelevare e interrogare una rendition, una “consegna speciale” come l’ex imam di Milano. Non solo. I vari Paesi Nato decisero di mettere a disposizione degli americani porti e aeroporti per rifornimento e supporto logistico. Ma si sa, gli americani non si accontentano mai. E allora, oltre a queste concessioni, chiedono e ottengono di poter costruire all’interno del territorio europeo delle prigioni dove detenere, interrogare, torturare, i presunti terroristi rapiti in giro per il mondo. Questi cosiddetti “siti neri” furono stabiliti in Romania e Polonia, in pieno accordo con i rispettivi governi. Proprio nella base polacca di Szymany fu condotto Khaked Sheikh Mohammed, la mente dell’11 settembre. In Romania, invece, su un territorio a esclusiva sovranità americana, venivano imprigionati terroristi di medio livello. I siti neri iniziano il loro lavoro verso la metà del 2003, in barba a tutte le convenzioni internazionali, ai principi più fondanti di quella democrazia che la Casa Bianca si è impegnata a esportare. Ci sono voluti anni e polemiche, prima che George W. Bush ammettesse l’esistenza di questi luoghi. Lo ha fatto nel settembre del 2006.

Ma non c’è solo il comportamento statunitense. A far rimanere senza parole è l’atteggiamento delle nazioni aderenti alla Nato, Italia in testa. In questi anni, quando progressivamente sono venute a galla situazioni come Guantanamo, come quelle delle redentions, delle torture e degli abusi, i Paesi europei hanno fatto a gara nel gridare allo scandalo, nel condannare tutto questo, nel ribadire la propria contrarietà alla logica di combattere il terrorismo mettendo da parte i principi democratici. Adesso, con il rapporto presentato al Consiglio Europeo, si scopre che gli Stati Uniti si muovevano solo dopo aver avuto il consenso dei governi nazionali. Certo, la Nato smentisce tutto, dice che “non è mai esistito un accordo”, ma ormai il coperchio è saltato. Ed è saltato soprattutto per l’Italia.

Dick Marty, durante l’esposizione del rapporto, ha definito “scioccante” il comportamento delle autorità italiane nel sequestro Abu Omar. Ad essere messo sotto accusa non è solo il governo Berlusconi, responsabile come minimo di aver fatto finta di non vedere cosa stava accadendo tra i suoi confini nazionali. Parole severe sono infatti state dedicate anche a Romano Prodi, responsabile di aver confermato il segreto di Stato istituito da Berlusconi. Un segreto di Stato che rischia di mettere seriamente in difficoltà il processo apertosi venerdì scorso a Milano, nonostante la nota con cui il premier ha precisato che il segreto è posto non sul rapimento di Abu Omar (avvenuto il 17 febbraio 2003), ma esclusivamente sugli accordi generali tra Cia e Sismi.

Così, mentre il giudice di Milano aspetta che la Corte costituzionale si pronunci sui limiti del segreto di Stato, la difesa dell’ex direttore del Sismi Nicolò Pollari chiede la sospensione del processo per “lealtà istituzionale”, perché Pollari non potrebbe difendersi pienamente senza usare alcuni documenti secretati. Questi documenti dimostrerebbero addirittura che Pollari era contrario alla pratica delle redentions. Ma anche per lui, il rapporto al Consiglio Europeo non ha parole leggere. Marty lo accusa di aver mentito “spudoratamente” di fronte all’Europarlamento. Niente in confronto a quanto ha mentito di fronte a quello italiano..

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