di Carlo Benedetti

Il grande incontro Bush-Putin è già programmato. Avverrà il 1 luglio nel Maine, nel nordest degli Usa. Qui i due affronteranno la questione dello “scudo spaziale” e la situazione del nucleare iraniano. Intanto tra Washington e Mosca non c’è una rottura, ma nemmeno un passo indietro. C’è, attualmente, solo un’ennesima situazione di stallo che blocca il dialogo. Ma non si segnalano mutamenti di pozione. Le parti si studiano a vicenda. Tutto passa per Vienna dove una conferenza straordinaria – voluta da Mosca e dagli Stati firmatari del Trattato sulla riduzione degli armamenti convenzionali in Europa (Conventional Forces in Europe, Cfe) e appoggiata dall’Osce (l'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) - si è conclusa senza risultato. “I partecipanti – ha detto un portavoce – non sono riusciti a mettersi d'accordo su un comunicato finale”. E questo vuol dire che si è ancora in alto mare, come sottolinea il capo della delegazione russa, Anatoly Antonov. L’incontro viennese, comunque, rilancia il contenzioso che caratterizza le tensioni fra Russia e Nato e, in particolare, tra Mosca e Stati Uniti, in relazione al progetto americano di difesa antimissile (“scudo spaziale”), che prevede due basi in Paesi dell'ex Patto di Varsavia (Polonia e Repubblica Ceca). Ma che comprende, indirettamente, anche la complessa questione dell'indipendenza del Kosovo, cui Mosca si oppone. Il problema esplode nuovamente sul piano della diplomazia mondiale. La Russia, che nei giorni scorsi, in risposta alle manovre statunitensi relative allo scudo spaziale, aveva minacciato l'abbandono del Trattato Cfe, chiedendo agli Stati Nato di ratificare l'accordo. La Nato invece insiste nel fatto che prima di giungere ad una tale soluzione, Mosca deve ottemperare agli impegni presi con l'accordo Cfe del '99. Che consisterebbe nel ritirare tutte le sue truppe dalle ex Repubbliche sovietiche della Georgia e della Moldova. Ma non è accaduto niente. E a Vienna ai russi non è restato altro che far protestare il portavoce Antonov. “Ci aspettavamo – ha detto l’uomo del Cremlino - un atteggiamento costruttivo dei nostri partner: comunque il mancato accordo non è una tragedia per noi che restiamo pur sempre aperti al dialogo”. Ed è questo un messaggio sul nodo dei nodi.

Ma agli americani la posizione russa non è andata giù. E il Segretario alla Difesa, Robert Gates, si è detto “sorpreso” per il silenzio mantenuto sulla questione dello scudo spaziale dal suo collega russo, il Ministro Anatoli Serdioukov, durante un colloquio bilaterale svoltosi a Bruxelles, in margine al Consiglio dei Ministri della difesa della Nato dove i temi all’ordine del giorno, appunto, erano quelli relativi alla installazione in Europa di alcuni componenti dello scudo spaziale americano e la missione in Afghanistan.


A Bruxelles l’obiettivo dei 26 ministri riuniti consisteva nel valutare se riorientare gli studi in corso per dotare la Nato di un sistema di difesa antimissile, tenuto conto che lo scudo americano dovrebbe proteggere buona parte del continente europeo dalla minaccia di missili a lunga gittata. Il progetto americano prevede, infatti, l'installazione di radar nella Repubblica Ceca e intercettori in Polonia. Ma, di fronte alle posizioni atlantiche, il russo Serdioukov è tornato a ribadire la proposta fatta dal presidente Putin al G8 di Heiligendamm, cioè quella di utilizzare congiuntamente (Usa e Russia) la stazione radar azera di Gabalin. Gates – di fronte alle posizioni russe - ha scelto la strada del silenzio. Ha solo ribadito di considerare “complementare e non alternativa” la proposta del Presidente russo.

Intanto a Mosca si continua a parlare con estrema convinzione sulla possibilità di realizzare la base comune. Putin ne ha discusso con il Presidente azero, Ilham Aliev, al quale ha ricordato che il trattato che esiste attualmente – il Cfe, appunto – è ancora valido pur se al momento della sua formulazione era attivo il Patto di Varsavia: prevedeva un bilanciamento militare riducendo le forze dei due schieramenti (Patto e Nato) in 5 categorie di armamenti convenzionali ai seguenti livelli: 20mila carri armati, 30mila veicoli corazzati da combattimento, 20mila pezzi d'artiglieria, 2mila elicotteri d'attacco, 6.800 aerei da combattimento. La situazione, comunque, è andata evolvendosi ed oggi – questo in sintesi il discorso fatto da Putin al collega azero – lo scenario è mutato.

Il Patto di Varsavia non esiste più, ma la Nato avvia la sua espansione all’Est. Tanto che nel 1999 ha inglobato Polonia, Repubblica Cèca e Ungheria e nel 2004 si è estesa ad altri sette: Estonia, Lettonia, Lituania, Bulgaria, Romania, Slovacchia, Slovenia (già parte della Jugoslavia). Ora si è alla fase che si caratterizzerà con l’inclusione dell’Albania, della Croazia e della Macedonia per passare poi alla Georgia e all’Ucraina. Putin ha così voluto coinvolgere il governo di Bakù – che in questo momento rivela tendenze filorusse - ammonendo che: “I paesi Nato stanno costruendo basi militari ai nostri confini e, per di più, stanno pianificando di dislocare sistemi di difesa antimissile in Polonia e nella Repubblica ceca”. Il contenzioso generale va quindi ben al di là del trattato Cfe. E ne consegue che la Russia non intende perdere altro terreno, militarmente e politicamente.

Da qui l'opposizione al piano statunitense di installare missili intercettori nell'Europa orientale, visto da Mosca quale tentativo degli Usa di acquisire un ulteriore vantaggio strategico sulla Russia. Ora tra le manovre che il Cremlino potrebbe mettere in campo ci potrebbe essere quella relativa al ritiro dal Trattato Inf del 1987 che permise di eliminare i missili nucleari a raggio intermedio in Europa. Ed ora – anche sulla base degli incontri avuti con la dirigenza dell’Azerbaigjan – la Russia continua a far rilevare che il mancato blocco del programma sullo scudo spaziale americano “non è un segnale positivo”. Tutto questo contenzioso, che a Vienna ha registrato un dialogo tra sordi, passerà nel Maine, a Kennenbuk. Qui, nella casa di famiglia dei Bush, si potrebbe mettere fine al contenzioso sulla base comune in Azerbaigjan che potrebbe essere operativa nel giro di quattro-cinque anni.

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