di Eugenio Roscini Vitali

Il 6 luglio, mentre si recava in visita presso le zone alluvionate dal recente uragano che ha colpito l’Asia meridionale, il presidente pakistano Pervez Musharraf avrebbe subito un attentato. La notizia, diffusa dall’agenzia di stampa Reuters, precisa che l’aereo dove viaggiava il generale è stato colpito da alcuni colpi, sparati subito dopo aver lasciato la pista della base militare di Rawalpindi, pochi chilometri a sud della capitale. L’aereo, che ha poi continuato il volo senza problemi, è atterrato nell’aeroporto di Turbat, nel sud del Paese. La settimana scorsa, il Pakistan meridionale è stato colpito dal passaggio del ciclone Yemyin, che ha causato più di 100 morti e 200 mila senzatetto, specie lungo le coste del Beluchistan. In passato, Musharraf è già scampato a diversi attentati: il 14 dicembre 2003 una bomba è scoppiata subito dopo il suo passaggio a Rawalpindi; il 25 dicembre dello stesso anno è sopravvissuto all’esplosione causata dal un camion bomba lanciato contro il suo corteo. Nell’agosto 2005, un individuo di nome Islam Siddiqui è stato impiccato dopo essere stato giudicato colpevole di aver partecipato agli attentati del 2003 e nel settembre 2006, la Corte Suprema ha condannato a morte altre 12 persone, civili e militari, accusati di aver preso parte agli stessi attentati. Secondo i militari pakistani, I principali ideatori del complotto sarebbero stati Abu Faraj Farj al Liby, numero tre di al-Qaeda, e Amjad Farooqi, militante islamico pakistano, entrambe arrestati. Nell’ottobre 2003, tre militanti islamici, appartenenti alla fazione al-Almi del gruppo estremista Harkat-ul Mujahideen, erano stati condannati a 10 anni di reclusione per un complotto ordito nell’aprile 2002 ai danni di Musharraf. I militanti erano stati inoltre accusati di aver partecipato all’organizzazione dell’attacco suicida che nello stesso anno aveva colpito il consolato americano di Karachi, nel quale erano morti 12 pakistani.

L’attacco all’aereo del presidente Musharraf è avvenuto mentre a Islamabad la moschea Rossa continua ad essere teatro di sanguinosi scontri tra gli studenti della più importante scuola coranica del Paese e le forze speciali pakistane. Negli ultimi giorni sono poi tornate al centro della cronaca anche le regioni al confine con l’Afghanistan, dove i gruppi filo-talebani hanno messo a segno tre attentati. L’ultimo, in ordine di tempo, é avvenuto a Malakand, area a forte presenza di integralisti dove un attacco suicida ha causato la morte di sei soldati e diversi feriti.

L'escalation delle violenze potrebbe essere legata proprio all'assedio della moschea Rossa, dove sono ancora asserragliati centinaia di studenti e, secondo i servizi segreti pakistani, diversi terroristi appartenenti al gruppo radicale Jaish i Mohammed, l’esercito di Maometto. Il leader degli estremisti, Abdul Rashid Ghazi, il cui fratello Aziz è stato arrestato mentre tentava di scappare dal luogo sacro vestito da donna, si è detto pronto alla resa ponendo condizioni che il governo difficilmente accetterà. La moschea Rossa è il simbolo dell’islam più radicale e da qui è partita una campagna di moralizzazione che punta a fare introdurre in Pakistan la legge islamica della Sharia.

La moschea di Lal Masjid, conosciuta anche come moschea Rossa, ospita circa 10 mila ragazzi di età compresa tra i 10 e i 20 anni, 4 mila dei quali femmine che vivono nella scuola religiosa adiacente al centro di culto, la madrassa Jamia Hafsa, Gli studenti, in gran parte provenienti dalle regioni tribali al confine con l’Afghanistan, seguono i corsi di insegnamento religioso ed aspirano al Hafiz-e-Quran, diploma rilasciato a chi sa l’intero Corano a memoria. Ultimamente la moschea, da sempre considerata il massimo centro di studi religiosi del Pakistan, è diventata il baluardo delle falangi più integraliste e radicali, da dove è partita la battaglia di moralizzazione voluta da Abdul e Aziz Ghazi, figli del fondatore della scuola coranica.

Al contrario, il presunto attentato del 6 luglio non sembra avere connessioni con i fatti di Islamabad ma, se verificato, potrebbe coincidere con un certo malcontento dimostrato da una parte delle Forze armate. Infatti, da quanto diramato dalla tv araba al-Jazeera, le esplosioni sentite nell’aeroporto militare di Rawalpindi potevano essere attribuite ad una delle batteria antiaerea della base. I colpi sarebbero stati spararti da una località vicina, Asghar, subito circondata ed isolata dalle forze dell’ordine. Sempre secondo l’emittente araba, sarebbe stato confermato l'arresto di alcuni militari. Fonti del ministero della Difesa negano comunque che l’incidente sia collegabile ala presenza del presidente sull’aeroporto.

Il governo pakistano è in grave difficoltà, stretto d’assedio dalle manifestazioni di piazza dell’opposizione e dalla crisi che coinvolge tutte le regioni al confine con l’Afghanistan: dal Kashmir al Baluchistan passando per le province nord occidentali e per i distretti tribali ad autonomia federale. Ai ribelli filo-talebani si sono uniti i movimenti uzbeki del Tahir Yuldashev e dell’Islamic Jihad Group e numerosi militanti arabi e mujaheddin ceceni e tajiki.

Inoltre, per Musharraf aver accusato di frode e sollevato dall’incarico il presidente della Corte Suprema, il giudice Iftikhar Mohammed Chaudhry, è stato un errore politico letale. Dal 9 marzo scorso, giorni del licenziamento, si sono scatenato le ire dell’ordine degli avvocati, dei giornalisti, di gran parte della società civile e delle organizzazioni politiche e gli stessi militari non sembrano aver gradito la cosa.

Chaudhry è diventato quel leader che l‘Alleanza per la restaurazione della democrazia, il movimento politico dove confluiscono i due maggiori partiti di opposizione, aveva perso. A questo si è aggiunta la rivolta della moschea Rossa che, se risolta con la forza, potrebbe diventare un trappola letale; ordinare un assalto significherebbe causare un bagno di sangue che trasformerebbe i rivoltosi in martiri e la sommossa in rivoluzione. Sarebbe un’occasione unica per i talebani del nord.

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