di Carlo Benedetti

E’ cronaca di una fine annunciata. Con Putin che, con gli Usa, ha retto il dialogo-confronto sino all’ultimo momento e ha poi deciso di passare all’attacco sospendendo la partecipazione della Russia al Trattato sulle Forze convenzionali in Europa (Cfe). Lo ha fatto con un solenne annuncio alla nazione, ricordando agli americani un vecchio detto popolare del suo paese. E cioè che quando un orso dorme è bene non fare rumore… E di rumore la Casa Bianca (la Cia e il Pentagono) ne hanno fatto già molto battendo con forza su quello scudo spaziale che dovrebbe portare i missili di Washington nel cuore dell’Europa, in Polonia (un sito per 10 intercettori di tipo Kei) e nella Repubblica Ceca (un X-Band Radar) squilibrando la mappa e la tranquillità del continente. Così la Russia - che in questi mesi sta puntando a riconquistare un ruolo mondiale, militare e politico superando la fase post-sovietica della transizione - ha deciso di rispondere colpo su colpo. Prima ha annunciato una serie di iniziative strategiche e militari con la dislocazione di sue postazioni missilistiche in nuove zone della Russia, proponendo contemporaneamente una base comune Usa-Russia in Azerbaigjan, paese più prossimo all’Iran di quanto non sia la Repubblica Ceca. Questo con l’obiettivo di venire incontro alle “esigenze” americane. Ma poi, visto il silenzio statunitense, ha deciso di passare all’attacco. E ora Putin sospende la partecipazione della Russia al “Trattato Cfe”. E questo vuol dire che quel documento epocale che era stato firmato dai paesi della Nato e del Patto di Varsavia il 19 novembre 1990 per creare un bilanciamento militare tra le due alleanze (riduzione delle forze reciproche in 5 categorie di armamenti convenzionali ai seguenti livelli: 20mila carri armati, 30mila veicoli corazzati da combattimento, 20mila pezzi d'artiglieria, 2mila elicotteri d'attacco, 6.800 aerei da combattimento) se ne va in archivio come dossier relegato alla storia della politica internazionale, diplomatica e militare.

Nelle 1300 pagine del Trattato gli storici del futuro potranno approfondire alcuni aspetti poco noti della lunga trattativa, che era arrivata in porto grazie agli sforzi comuni di Washington e di Mosca. Si vedrà così che inizialmente il Trattato prevedeva - entro il novembre del 1995 -la riduzione da parte dei paesi della Nato e di quelli dell'Est delle forze convenzionali, nel territorio tra l'Atlantico e gli Urali, entro tetti comuni stabiliti. E’ accaduto poi che con la disgregazione del blocco sovietico sono stati necessari diversi adeguamenti. Una prima modifica al trattato Cfe, il cosiddetto Cfe-1a, è stata conclusa nel luglio del 1992.

Poi la versione definitiva è avvenuta nel 1999 con nuovi tetti per ogni paese firmatario e non più sulla base dei due blocchi come nel primo Trattato. Il presidente americano Bill Clinton – in quella occasione - dichiarò però che non avrebbe sottoposto il documento a ratifica fino a che la Russia non avesse ridotto la sua presenza militare nel Caucaso (Georgia e Moldavia) e soprattutto in Cecenia. La Russia, a sua volta, sostenne che il Trattato doveva essere sottoscritto anche dalle Repubbliche baltiche.

L'accordo, ratificato solo da Ucraina, Bielorussia e Kazakhstan, fu firmato poi nel 2004 anche da Putin, dopo l'approvazione da parte della Duma. Ma il 26 aprile scorso il Cremlino ha annunciato una moratoria sull'applicazione del Trattato Cfe finché "tutti i Paesi non lo ratificheranno e non inizieranno ad applicarlo". Poi il colpo definitivo.

Il Cremlino emana ora il decreto che sospende la partecipazione di Mosca al Cfe. E subito si mette in moto la rumorosa macchina della propaganda russa. L’obiettivo consiste nel dimostrare ai russi che la dirigenza del Paese ha fatto tutto il possibile per mantenere un clima distensivo con gli americani e con l’Europa. Ma la Casa Bianca – questo si dice a Mosca – non ha rispettato i patti. "Noi – dice Putin - abbiamo firmato e ratificato l'accordo sugli armamenti convenzionali in Europa e i nostri partner cosa fanno? Riempiono con nuovi armamenti l'Europa orientale… Sistemano una nuova base in Bulgaria, un'altra in Romania, un sito per nuovi missili in Polonia e per un radar nella Repubblica Ceca… E noi cosa dovremmo fare? Non possiamo stare a guardare e rispettare gli accordi in modo unilaterale". La parola passa allo stato maggiore della Russia e ai dirigenti del complesso militare-industriale. Si riaprono le fabbriche di missili, si tirano fuori le documentazioni tecniche per nuove armi. Ed è questa una risposta pesante ai nuovi problemi che si pongono.

La Russia prende la strada del riarmo e annuncia che non limiterà la costruzione di armi convenzionali. Ed è chiaro, in questo contesto, che al Cremlino si da anche il via allo studio di una nuova concezione militare e strategica, pur se nessuno si era fatto illusioni sulla possibilità di un disarmo unilaterale. E’ chiaro ora che i piani di rilancio erano già pronti e ben rodati. E così si va allo scoperto gettando nel teatro internazionale scelte e dichiarazioni più che mai impegnative.

Gli strateghi di Mosca, e in particolare il team dei militari che si ritrovano alla direzione del Gru (il servizio segreto della Difesa), sanno bene che con la scomparsa dell'Urss e del suo blocco si è creata nella regione europea e centroasiatica una situazione geopolitica nuova. E che questa fase ha penalizzato notevolmente la Russia ponendola in condizioni di grande inferiorità rispetto alla superpotenza americana.

Tutto è andato aggravandosi in seguito al processo di espansione ad Est della Nato che nel 1999 ha inglobato i primi tre paesi dell'ex Patto di Varsavia: Polonia, Repubblica Cèca e Ungheria. E un passo successivo è stato quello compiuto nel 2004, quando si è verificata l’annessione di altri sette: Estonia, Lettonia, Lituania (già parte dell'Urss); Bulgaria, Romania, Slovacchia (già parte del Patto di Varsavia); Slovenia (già parte della Jugoslavia). Ora si è ad una nuova tappa: starebbero per entrare nell’organizzazione atlantica Albania, Croazia e Macedonia e, sicuramente, anche Georgia ed Ucraina.

Ne consegue che il problema non è più quello relativo alla quantità degli armamenti – così come prevista dal Cfe – ma è quello della loro dislocazione strategica. E mentre a Mosca la macchina politica, diplomatica e militare si è messa in moto allertando le strutture del Paese, arriva la prima riposta atlantica. Che la radio russa rende nota alla lettera. La notizia è che la Nato considera la sospensione del Trattato sulle forze convenzionali in Europa da parte della Russia come una scelta “sbagliata”. “I Paesi membri - afferma il portavoce atlantico James Appathurai - considerano il Trattato come un pilastro per la stabilità europea e vorrebbero fosse ratificato il più presto possibile”. E comunque sia, “la decisione russa rappresenta un passo nella direzione sbagliata”. Mosca per ora non reagisce. Incassa la posizione americana e continua nella sua strada.

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