di Maura Cossutta

La ricerca della verità non è separabile dalla ricerca della libertà. Con buona pace - si fa per dire - delle gerarchie vaticane. Il progresso della conoscenza umana non ci sarebbe stato senza l’insopprimibile libertà del pensiero. Quando questa libertà è stata sottoposta a coercizioni ed umiliazioni, la conoscenza si è arrestata. E il buio delle coscienze ha sempre trascinato con sé arretratezza sociale, disuguaglianze, guerre, povertà, distruzioni. Senza libertà del pensiero sono cresciute e crescono le società e i regimi autoritari. Si dovrebbe ripartire da qui; e soprattutto la Chiesa dovrebbe ripartire da qui, quando si accinge a rilanciare crociate per la Verità. Verità Assoluta, s’intende, cioè quella di Dio. Ma quando e come la Chiesa ha aiutato il progresso della conoscenza e quindi il progresso dell’umanità? E’ una semplice domanda, che però nessuno fa più. Da sempre la Chiesa ha piegato alla verità assoluta di Dio ogni campo della conoscenza, prima la filosofia, poi la scienza, oggi la biologia (l’economia no, è zona franca). L’unica possibile conoscenza doveva e deve continuare ad essere “ancilla domini”. Conoscenza “sana”, laicità “sana”: è la Chiesa a certificare e a prescrivere. Forse Galileo Galilei è tornato tra noi o comunque noi siamo sprofondati nel Seicento. La libertà della scienza è un principio iscritto nel nostro dettato costituzionale, frutto di un pensiero libero, liberato dall’oppressione di una dittatura, lungimirante e nello stesso tempo memore della sua storia. Libertà della scienza è diritto alla libertà del pensiero, diritto di cittadini liberi. Ma nessuno ne parla più. Cosa è successo in questo paese dove la modernità significa soltanto liberalizzazioni nel mercato e la libertà è solo quella della proprietà?

E’ certamente vero che le scoperte tecnologiche e scientifiche hanno avuto in questi ultimi decenni un’accelerazione straordinaria e del tutto inediti sono gli scenari che si aprono, lasciando le coscienze dei più di fronte all’incapacità a comprendere, dentro lo spaesamento delle emozioni, persino dell’immaginario. Quello che ieri era impossibile e neppure immaginabile, oggi diventa possibile; e non rispetto a campi di conoscenze specialistiche, lontane da noi, ma direttamente legate alla nostra vita concreta. La rivoluzione del pensiero attraversa l’esperienza stessa della vita, della nascita, della malattia e persino della morte. Si dilatano artificialmente i tempi della vita e cambia il modo naturale di nascere. Certezze fino ad oggi assolute non sono più tali, mutando la stessa percezione antropologica della nostra identità. Una rivoluzione, appunto, senza elaborazione sociale, collettiva, pubblica.

Questo è un problema, certamente. Che va affrontato, senza dubbio. Ma come, appunto? Dobbiamo veder tornare il tempo delle abiure, degli anatemi, delle condanne? Dobbiamo affidarci alla Verità Assoluta di Dio per non sprofondare negli abissi del Male? La Chiesa è arrogante e impaurita, perché costretta a rimettere in discussione le fondamenta del suo potere. Mai si era sentito così stridente il richiamo alla dottrina, alla certezza dei dogmi. Più che il valore dei dogmi, fondato proprio sulla libertà di scelta dei credenti, la Chiesa sceglie la forza dei dogmi, senza dubbi, senza tormenti. Persino l’evoluzionismo di Darwin viene attaccato e si rispolvera come attualissima la teoria creazionista, della Natura perfetta in quanto creata dall’Orologiaio Dio. La fede diventa il prodotto della razionalità (sempre quella “sana” ovviamente) e non c’è verità da scoprire, perché basta già quella rivelata da Dio.

Oggi la Chiesa impara e usa il linguaggio del biologismo per tentare di salvare la sacralità dei suoi dogmi. Prima la contraccezione, che ha separato la sessualità dalla procreazione; poi le tecniche di procreazione assistita, che separano la procreazione dalla nascita: non basta più il controllo delle anime, diventa irrinunciabile quello dei corpi. La difesa di quattro (quattro per davvero) cellule microscopiche di un embrione diventa più importante della difesa delle anime di quelle donne e coppie che cercano di diventare genitori superando la loro sterilità. La sacralità dell’embrione, persino del DNA, è la nuova frontiera, irrinunciabile, insuperabile, come un tempo il Sole che girava attorno alla Terra, o come - appena qualche decennio fa - il divieto ai trapianti di cuore. Ma oggi, come ieri, la verità di Dio non è più nemmeno una verità relativa.

La strada è allora un’altra, difficile e complessa, che proprio questa complessità non rimuove, né risolve con rassicurazioni identitarie o ideologiche. È necessario innanzitutto ricostruire gli anticorpi di una cultura critica, che insegni a ragionare e a discutere, che indaghi i mutamenti, i loro effetti, che interroghi i principi ispiratori di un’etica alta, collettiva e condivisa. Cioè plurale, trasparente, non piegata da interessi di profitto, rispettosa della dignità delle persone. Della loro libertà e responsabilità. Non è il bavaglio alla scienza che può impedire il baratro dell’umanità. Nelle scoperte tecnologiche e scientifiche il limite tecnico è già stata superato da tempo. E’ soltanto il limite che la società nel suo complesso si dà a garantire che l’applicazione di queste scoperte diventi progresso e non barbarie.

Occorre la forza di una cultura politica, che non rinunci a parlare, nascondendosi dietro la cosiddetta libertà di coscienza dei singoli. Una cultura politica che sia moderna e consapevole cultura del limite, che parta innanzitutto dalla consapevolezza che esiste una sfasatura temporale tra il progresso tecnico-scientifico e il pensiero etico, che occorre recuperare. Che affermi che la scienza e la conoscenza non si identifica con la tecnica, che i problemi etici esistono e vanno affrontati; che il progresso non si identifica con il profitto delle industrie biotecnologiche, che si possono brevettare le tecniche ma non la vita umana, che non si può brevettare il DNA in quanto patrimonio indisponibile della specie umana e diritto delle generazioni future. Che difenda la conoscenza ma ne sappia orientare l’uso, ponendo limiti non alla scienza in sé, ma a monte e a valle della ricerca scientifica. Che sappia promuovere scelte consapevoli e autonome delle persone e insieme produrre un senso comune condiviso. A partire dalla consapevolezza che gran parte del genere umano è sempre più esclusa dai vantaggi del progresso scientifico, che rischia di accrescere le disuguaglianze nel mondo.


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