di Bianca Cerri

Massimo D’Alema è ottimista: la battaglia per una moratoria universale sulle esecuzioni può essere vinta. Anche Romano Prodi, nel suo intervento davanti all’Assemblea Generale dell’Onu, ha parlato di “un futuro più giusto e privo di vendette fratricide”. In attesa di sapere cosa accadrà, l’Italia ha intanto messo definitivamente al bando la pena capitale dalla sua Costituzione. Un passo dovuto, dal momento che i paesi che aderiscono alla richiesta della moratoria hanno l’obbligo di ratificare un protocollo che prevede l’abolizione definitiva delle leggi capitali. L’impegno del governo italiano non ha tuttavia suscitato grandi entusiasmi negli Stati Uniti, dove le esecuzioni si susseguono l’una all’altra e dove il 12 settembre è addirittura ricomparsa la sedia elettrica, uno strumento che speravamo di esserci lasciato alle spalle assieme ai tanti altri orrori che hanno scandito il cammino dell’umanità. E’ stato lo stesso condannato, Daryl Holton, un reduce della guerra del Golfo che nel 1997 era stato incriminato per l’uccisione dei suoi tre figli e della loro sorellastra, a chiedere di essere giustiziato tramite elettroesecuzione. Molto probabilmente la scelta di morire nello stesso modo atroce dei condannati di cui aveva sentito parlare tante volte nei 19 anni trascorsi nel braccio della morte, era scaturita da un doloroso bisogno di espiazione. David Rabyn, l’avvocato che aveva difeso Holton nel processo d’appello, è rimasto accanto a lui fino alla fine. L’esecuzione è avvenuta nelle prime ore del mattino e i testimoni avevano atteso circa tre quarti d’ora prima di essere ammessi nella saletta riservata che guarda nella camera della morte. David Rabyn ha avuto un breve colloquio privato con il suo assistito ed è l’unico che possa testimoniare su come abbia vissuto le sue ultime ore. Dopo essersi congedato per l’ultima volta da Holton, è andato a raggiungere i giornalisti nella saletta attigua alla camera della morte.

Prima dell’una di notte, Holton ha recitato una breve orazione insieme al cappellano del carcere, poi si è lasciato rasare dalle guardie. Erano molti anni che la sua pelle non veniva più esposta al sole e al termine del macabro rituale è apparsa bianchissima, quasi spettrale sotto la luce impietosa delle lampade artificiali. Holton non ha fatto particolari resistenze quando le guardie gli hanno chiesto di indossare la tunica bianca prevista dal regolamento per i condannati in procinto di essere giustiziati ed è uscito tranquillamente dalla cella per avviarsi lungo “l’ultimo miglio”, quello che conduce alla camera della morte. Il suo incedere aveva un che di grave e dignitoso al tempo stesso.

Quando le guardie l’hanno assicurato alla sedia elettrica, Holton è apparso molto distaccato. David Rabyn aveva invece gli occhi velati di lacrime e non ricorda cosa abbia pensato in quei momenti. Attorno a lui, i giornalisti continuavano a prendere appunti sui loro blocchi sbirciando ogni tanto l’orologio. La madre delle piccole vittime non era presente, ma ha inviato un messaggio in cui esprimeva il suo rammarico per il dolore che stava per essere inflitto alla madre di Holton con l’esecuzione del figlio.Quando le guardie gli hanno applicato gli elettrodi che avrebbero veicolato l’elettricità attraverso il suo corpo e le spugne bagnate per “chiamare” la corrente Holton ha chiuso gli occhi ma sembrava completamente indifferente a quello che stava per accadere.

All’una e dieci circa della notte, le guardie hanno aperto le tendine per permettere ad avvocati e giornalisti di assistere all’esecuzione e tutti si sono accostati al vetro che separa la saletta dalla camera della morte per vedere meglio. Bendato e con il volto coperto da una maschera molto simile ad una museruola a coprirgli il viso, il condannato era immobile. Poi è partita la prima raffica di corrente, che ha prodotto un suono macabro come il lamento di un moribondo e il corpo di Holton ha iniziato a sussultare e a dimenarsi. Nella saletta dei testimoni è sceso il silenzio. Holton sembrava morto ma dopo una seconda scarica il suo corpo ha ripreso di nuovo a scuotersi. Solo nove minuti dopo una voce anonima ha annunciato dall’altoparlante che l’esecuzione era terminata e i testimoni sono stati fatti uscire dalla saletta. Le guardie li hanno scortati oltre il portone principale, da dove si sono avviati verso il parcheggio. Prima di salire sulle rispettive auto, si sono scambiati strette di mano ma senza mai accennare alla tragedia alla quale avevano appena assistito. Del resto, che cosa si può dire di un uomo andato dignitosamente incontro ad una fine atroce pur di espiare l’uccisione dei propri figli?

Per l’opinione pubblica americana, Daryl Holton era un assassino spietato, un mostro che non aveva esitato a sparare addosso a quattro bambini innocenti e la società “civile” doveva liberarsene a tutti i costi. E poco importa che fosse tornato dalla guerra con la mente distrutta dalla depressione post-traumatica, la condanna nei suoi confronti è stata unanime. Tuttavia, c’è un punto sul quale vale la pena di fare una riflessione. Tra i condannati a morte, compresi quelli già giustiziati, c’è un’altissima percentuale di reduci di guerra. Charles Whitman, ad esempio, che ha fatto fuoco sulla folla uccidendo sedici persone dopo aver assassinato la propria moglie o Don Corl, accusato di aver assassinato 27 bambini dopo averli attirati nella sua casa con la promessa di regalare loro dei dolci, che aveva addirittura i gradi di ufficiale.

L’elenco è ancora lungo: avevano combattuto la guerra del Vietnam personaggi come David Berkowitz, che i media avevano ribattezzato “figlio di Sam” e Manny Babbit, quest’ultimo divenuto eroinomane al fronte, aveva ucciso un negoziante durante una rapina compiuta per placare il bisogno di droga che ormai si era impadronita della sua esistenza. Babbit fu giustiziato nel 1999 in California, quando ormai tutti , compresi i famigliari, lo avevano abbandonato.. Era stato nei marines anche Timothy Mc Veigh, il presunto autore dell’attentato all’Oklahoma City Building che causò la morte di 148 persone. Ancora: veniva dall’esercito Jeffrey Dahmer, che la stampa definì “mostro di Milwaukee”, uno degli assassini più sanguinari della storia degli Stati Uniti. Era un marine in congedo Gary Heidnik, che massacrò due donne dopo averle violentate e tentò di assassinare la propria moglie.

Uomini come Randy Craft, congedato dall’aviazione militare perché pieno di fobie e ossessionato da paranoie, o Wayne Adam Ford, ex-marine rispedito a casa perché iniziava a dare segni di squilibrio, arrivano spesso ad uccidere per vendetta o perché incapaci di accettare una sessualità problematica. Kraft assassinava giovani maschi dall’aspetto efebico, Ford smembrò quattro donne dopo averle stuprate ed assassinate. Entrambi hanno avuto la pena capitale. Il nome di Ford compare oggi molto spesso sulle pagine dei giornali rosa per la storia d’amore con la bellissima attrice Victoria Redstall, che lo ha definito “un uomo gentile”.

Courtney Mathews e David Housler, entrambi ex-militari, agivano invece in coppia e in coppia uccisero quattro donne mentre Dennis Rader, ex-ufficiale dell’aviazione americana iniziò ad uccidere nel 1974 e continuò fino al 2004, anno in cui fu arrestato. Altri, come Robert Yates, avevano una buona reputazione nell’esercito ma uccidevano ugualmente. Yates commise addirittura 13 omicidi nei 19 anni in cui prestò servizio come militare. Richard Evonitz, ufficiale di marina, autore di tre omicidi, fu ucciso dalla polizia durante una fuga rocambolesca.

Con l’ondata di reduci affetti da depressione post-traumatica, gli Stati Uniti faranno probabilmente i conti con altre menti malate. Naturalmente non tutti i militari o gli ex-tali sono automaticamente dei criminali o lo diventeranno. Ma il Pentagono ha molte cose da rimproverarsi per quello che sta accadendo tra le forze armate e farà meglio a trovare al più presto una soluzione. Non si possono addestrare le truppe ad uccidere per poi abbandonarle al loro destino quando la violenza inizia a minare le loro menti.



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