di Raffaele Matteotti

Sospensione delle garanzia costituzionali, nomina d’autorità di un nuovo presidente della Corte Costituzionale, radio e Tv chiuse, stato d’assedio. Queste le ultime decisioni del dittatore pachistano Musharraf che vedono la situazione nel paese diventare di ora in ora sempre più critica. Ma non è che l’ultima delle performance alla quale il padrone del Pakistan ha abituato il mondo intero ad assistere. Negli ultimi anni, infatti, Musharraf ha dovuto superare molte difficoltà. Ma ha sicuramente le qualità necessarie per permanere al potere, visto che è riuscito a sopravvivere a più di sette attentati, alla minaccia di Bush di riportare il Pakistan all’età della pietra, all’ostilità talebana e di al Qaeda e anche allo scarso gradimento che riscuote presso il resto dei suoi compatrioti. Quest’anno Musharraf ha deciso un giro di vite contro i fanatici islamici, che si è concretizzato nell’ormai famosa distruzione della Moschea Rossa ad Islamabad. Da allora le cose per il suo governo sono decisamente peggiorate. Stretto tra gli americani che gli chiedevano durezza verso i santuari talebani in Waziristan e i partiti di ispirazione islamica che gli chiedevano conto dell’ostilità verso i correligionari, Musharraf sembrava aver accettato a malincuore un accordo per una parziale transizione del potere. Dopo estenuanti colloqui sotto l’egida americana, Musharraf si è accordato con l’ex-premier Benhazir Bhutto ed il suo partito (PPP, un vero partito popolar populista). L’accordo prevedeva la nomina a presidente di Musharraf e quella a primo ministro della Bhutto. Ad ostacolare l’accordo c’erano alcuni dettagli non secondari da sistemare, tra i quali l’essere Musharraf probabilmente ineleggibile a presidente in quanto capo dell’esercito e l’essere la Bhutto una pregiudicata ricercata, oltre ad essere a sua volta ineleggibile alla carica di premier, stante il divieto costituzionale di ricoprire la carica per più di due volte. Nelle stesse condizioni della Bhutto c’era anche l’ex-premier Sharif, il quale ha provato a tornare in patria, ma è stato rimandato indietro e in seguito si è alleato all’opposizione del dinamico duo.

Mentre la Corte Suprema pachistana rimuginava sulle ultime modifiche legislative e costituzionali poste in essere da Musharraf perché l’accordo si potesse realizzare, è montata la protesta “islamica” e sono aumentate esponenzialmente le violenze e gli attentati. Anche la Bhutto ne ha fatto le spese subendo un sanguinoso attentato appena ritornata in patria e, sebbene abbia rivolto l’indice accusatore verso i seguaci dell’ex dittatore Zia, al suo indirizzo sono piovute molte minacce da parte degli “islamici”.

Per mostrare agli americani che il suo governo è in grado di fare qualcosa di più dell’attacco ad una moschea, Musharraf ha deciso l’ennesima offensiva contro i santuari del Waziristan. Offensiva fallimentare come le precedenti, tutte conclusesi con il ritiro dell’esercito dopo sonore sconfitte. Più volte è capitato che l’esercito pachistano abbia dovuto pagare riscatti ai waziri per riavere indietro i propri soldati. Anche in questa occasione è successo un mezzo disastro e le televisioni pachistane hanno trasmesso le immagini di soldati pachistani catturati e fatti sfilare a Swat.

Qualcosa di insopportabile quanto previsto, dato che Musharraf non ha mai voluto - o potuto - organizzare campagne in grande stile contro i santuari della guerriglia. La reazione del dittatore, ora presidente eletto dal Parlamento in virtù dell’accordo con la Bhutto, è stata quella di imporre lo stato d’assedio e la sospensione delle (deboli) garanzie costituzionali. Gli americani non gradivano, la Bhutto non gradiva, ma Musharraf ha deciso di cogliere l’occasione fornita dall’episodio di Swat per imporre l’ordine marziale.

Televisioni e giornali sono stati chiusi e, visto che la Corte Suprema non aveva trovato la maggioranza per controfirmare il decreto presidenziale, Musharraf ha nominato un suo uomo al vertice della Corte. Benhazir Bhutto, volata opportunamente a Dubai a “visitare la famiglia” il giorno prima dello scatenarsi degli eventi, è appena rientrata nel paese, ma non è ancora chiaro quale ruolo potrà giocare con in vigore lo stato d’emergenza.

Musharraf appare solo di fronte a problemi insormontabili, lontano dall’amministrazione americana e lontano dal gradimento dei pachistani, quanto ancora saldamente in sella in virtù del controllo sull’esercito e su un arsenale nucleare che nessuno vuole vedere finire nelle mani degli estremisti islamici. Una situazione di pericoloso stallo che non fa piacere al Dipartimento di Stato statunitense e che preoccupa le cancellerie di mezzo mondo, ora con il fiato sospeso in attesa delle prossime mosse di un “alleato” tanto infido quanto imprescindibile.


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