di Bianca Cerri

Anche quest’anno, negli Stati Uniti, lo struggente color giallo-oro tipico del mese di ottobre è stato sostituito dal rosa di “Race for the Cure”, la maratona-simbolo della lotta ai tumori del seno che la fondazione Komen organizza da ventiquattro anni. Quest’anno, 110 città americane hanno ospitato la manifestazione permettendo alla fondazione di raccogliere donazioni maestose, grazie anche ai mille volontari che hanno generosamente prestato la propria opera. Komen Foundation nacque in sordina nel 1983, per volere di Nancy Brinken, una donna che aveva perso da poco una sorella uccisa da un tumore al seno. Da allora, molte cose sono cambiate e Brinken vanta attualmente strettissimi legami con le grandi industrie e il mondo politico. Grazie a “Race for the Cure” la sua immagine appare spesso sulle copertine delle più importanti riviste americane e il 14 ottobre scorso George Bush le ha affidato l’incarico di capo cerimoniere alla Casa Bianca. La nomina è stata festeggiata in uno dei grandi saloni della residenza presidenziale, che per l’occasione era stato addobbato con centinaia di fiori nella stessa identica tonalità dei gadgets della Komen Foundation. Si tratta di abiti, tazze da thè e altre chincaglierie creati da stilisti e designers di grido appositamente per la fondazione, alla quale andrà parte del ricavato delle vendite. Qualcuno ha definito questa produzione “l’industria del cancro al seno”, visto che, grosso modo, si parla di 140 aziende di fama internazionale che approfittano del mese dedicato alla lotta contro questa malattia per procurarsi un ritorno d’immagine. “Race for the Cure”, come qualcuno saprà, viene organizzata anche a Roma nel mese di aprile. La Komen Foundation conta infatti oggi su 125 filiali nel mondo e di una fitta rete di addetti alle pubbliche relazioni il cui compito è quello di mantenere alto l’interesse del pubblico sulle sue iniziative. Tradotto in soldoni, si parla di un giro d’affari che sfiora il miliardo di dollari l’anno senza contare annessi e connessi. Il che non significa che si tratti necessariamente di una buona notizia per molte donne americane tra i 35 ed i 49 anni, malate di cancro al seno ma prive di copertura assicurativa, il cui tasso di mortalità supera del 60% quello delle donne nella stessa fascia d’età assicurate. D’altra parte, risulta che la stessa Brinken sia un’acerrima nemica dell’assistenza sanitaria estesa anche a coloro che non dispongono dei mezzi finanziari per intraprendere terapie. Repubblicana di provata fede, chiamata alla corte di Ronald Reagan a metà degli anni ’80 e poi riconfermata durante il governo di Bush padre come consigliere per la Sanità, accettò senza discutere le politiche di entrambe le amministrazioni in materia.

Nel 2001, Brinken, che aveva generosamente sostenuto George Bush durante la campagna elettorale, si congratulò con il neo-presidente per la “forza dimostrata” nel far approvare una legge che, di fatto, toglieva ad almeno il 40% degli americani la possibilità di accedere al sistema sanitario perché privi di copertura assicurativa. Per ripagarla, Bush le conferì il ruolo di ambasciatore degli Stati Uniti in Ungheria dove, assieme al marito Norman, continuò ad organizzare maratone e a raccogliere altri fondi.

Visti i legami della Komen Foundation con le più grandi aziende farmaceutiche e con U.S. Oncology, una catena privata di centri terapeutici, è logico che ad un certo punto qualcuno abbia iniziato a domandarsi se per caso Brinken non abbia strumentalizzato il dramma delle donne ammalate di tumore al seno per promuovere la propria immagine. Il minimo che si può dire è che alla signora sono stati risparmiate molte delle difficoltà che affliggono i comuni mortali e che la visibilità di cui gode le ha permesso di accattivarsi le simpatie di sponsors come General Electric, DuPont, ecc. Ad ottobre, il mese che, come abbiamo premesso, gli americani hanno consacrato alla battaglia contro i tumori del seno, la Komen Foundation e la stessa Brinken tornano però ad indossare il vestito buono per dare vita ad una nuova campagna pubblicitaria organizzata a tavolino, incoraggiando le donne a comprare oggetti “in rosa” o a farsi fare una mammografia o (perché no?) a fare entrambe le cose. Chi non ha la possibilità di partecipare alla maratona, può mettersi in pace con la coscienza acquistando fiocchetti, spillette, berretti, candele, ciondoli, ecc. nella zuccherosa tonalità di rosa scelta dalla Komen Foundation. Del resto, il tumore al seno offre più spunti all’industria del superfluo rispetto, per esempio, a quello della prostrata.

Quello che risulta insopportabile è che “Race for the Cure” sembra quasi incitare le donne, comprese quelle malate, ad abbracciare una cultura edulcorata. Lo prova il libro - con la prefazione di Nancy Brinken in persona - che raccoglie le testimonianze di donne colpite da tumore al seno, le quali raccontano il loro dramma quasi come se fosse motivo di orgoglio e affermazione di identità. Definendosi “sopravvissute”, le testimoni non si rendono probabilmente conto di denigrare con scellerato trionfalismo le donne uccise dal tumore al seno e quelle che hanno ancora poco tempo da vivere. Abbondano le frasi (scontate) d’incoraggiamento come “Se la vita ti offre solo limoni, spremili e fai uscire un sorriso…” e i consigli di bellezza su come apparire al meglio nonostante la malattia. Tutto in linea con la logica della della Komen Foundation, che ha sempre evitato di fornire consigli sulle terapie da intraprendere in caso di diagnosi infausta preferendo concentrarsi sulla salvaguardia dell’aspetto fisico, come se il cancro al seno fosse un incentivo ad adottare un nuovo look.

Questa cultura della sopravvivenza implacabilmente ottimista rischia di spingere le donne sane a prendere sottogamba il problema e impedisce a quelle malate di abbandonarsi ad una rabbia sacrosanta, magari desiderando, soprattutto se povere, di avere a portata di mano un nastrino rosa lungo abbastanza per strangolare i politici che hanno impedito loro di curarsi. Che piaccia o no alla Komen Foundation e ai potenti che hanno contribuito a crearne le fortune, il cancro al seno è infatti un’aberrazione che non serve a rendere più belle e femminili le donne. Senza terapie adeguate e accessibili a tutte, l’inevitabile conclusione sarà una morte dolorosa che nessun orsacchiotto di peluche rosa riuscirà mai a rendere meno terribile.

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