di Eugenio Roscini Vitali

A cinque giorni dal push Pervez Musharraf è tornato di fronte alle telecamere e a sorpresa ha annunciato che le prossime elezioni parlamentari si terranno entro febbraio, aggiungendo che prima dell’investitura a Capo dello Stato lascerà il comando delle Forze Armate e la carriera militare. Il risultato della consultazione indiretta del 6 ottobre scorso, con la quale Musharraf si è assicurato un nuovo mandato presidenziale, non è ancora stato ufficializzato proprio a causa di un dubbio di costituzionalità sulla doppia carica di presidente della Repubblica e Capo delle Forze Armate. Sostituendo i giudici indipendenti della Corte Suprema con personaggi a lui fedeli, Musharraf si è però assicurato un verdetto favorevole; perché allora ha annunciato l’intenzione di lasciare il controllo dell’esercito? Lo stato di emergenza imposto il 3 novembre scorso dimostra che anche in questa occasione il presidente pakistane vuole gestire la situazione con il pugno di ferro. L’istituzione di una potenziale legge marziale, mascherata con l’auto-proclamazione a capo dello Stato esecutivo, e la contestuale sospensione della Costituzione in vigore dal 1973 sono state giustificate con l’impellente necessità di difendere la sicurezza nazionale dal terrorismo e l’infiltrazione talebana nelle regioni tribali nord occidentali; un espediente già usato altre volte per tenere sotto scacco le opposizioni ed evitare possibili rovesciamenti di regime. Sono anni che Musharraf si destreggia tra attentati, rivolte, pressioni politiche e crisi istituzionali, occupato a persuadere il mondo che il Pakistan ha bisogno di lui e impegnato a convincere gli americani che il suo regime rimanere l’ultimo baluardo contro il terrorismo. Mascherato dietro il solito sorriso, ha cercato di spiegare ai pakistani che lo stato di emergenza è un fatto necessario perchè il Paese è sotto l’incessante minaccia dell’estremismo islamico, un fenomeno in costante crescita a cui fa sponda il sommossa dell’ordinamento giudiziario, l’organo istituzionale reo di essere venuto in soccorso dei mullah che scatenarono la rivolta della Lal Masjid, la Moschea Rossa.

A questo punto, il fatto che Musharraf abbia deciso di non impedire le elezioni parlamentari di febbraio e abbia annunciato la volontà di lasciare le divisa, potrebbe essere inteso come un segnale di debolezza. Il generale infatti non teme solo la Corte di Giustizia o la flebile minaccia di una Corte Suprema ormai sotto controllo. La preoccupazione principale arriva da quei settori dell’esercito che lo hanno aiutato a prendere il potere e che in innumerevoli occasioni hanno avallato le sue decisioni, sostenendolo a costo di inimicarsi il popolo pakistano. In questi anni i militari sono diventati una parte fondamentale nella gestione del Paese, coinvolti in faraoniche commesse come la costruzione di infrastrutture o l’amministrazione di gran parte dei servizi pubblici, hanno acquisito privilegi sostanziosi ai quali è difficile rinunciare.

Proprio per rischiare di non perdere gran parte di questi benefici, i generali pakistani potrebbero decidere di abbandonare Musharraf al suo destino, scegliendo la difesa delle istituzioni democratiche e prendendo le distanze da decisioni quali la legge marziale. Una scelta sensata che raccoglierebbe i favori della popolazione e dell’opinione pubblica internazionale, ma che il presidente ha in qualche modo anticipato con l’annuncio delle sue dimissioni da capo delle Forze Armate. Ma il gesto di Musharraf viene soprattutto incontro alla richiesta di elezione democratiche fattagli dal presidente americano Bush, che appare sempre più preoccupato per il danno d’immagine causato dal sostegno a un regime che ricorda sempre di più le dittature sudamericane degli anni sessanta.

A questo punto si aprono diversi scenari: Musharraf mantiene la promessa, si dimette da Capo delle Forze Armate, abbandona l’esercito, veste i panni dell’uomo politico e affronta le elezioni di febbraio; Musharraf prende tempo e ritarda le elezioni di almeno un anno per permettere al partito che lo sostiene, il Movimento Muttahida Qaumi, di acquisire consensi, stringere alleanze e presentarsi alle urne con un ragionevole vantaggio; Musharraf mantiene lo stato di emergenza e convincere gli Stati Uniti e i vertici militari pakistani che il suo regime è l’unico in grado di contrastare il terrorismo e l’avanzate dell’integralismo islamico. Quest’ultima è sicuramente l’opzione preferita dal presidente, ma è anche la meno probabile, visto che molto dipende dal placet dei militari, ancora una volta il vero ago della bilancia nel destino politico del Pakistan.

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