di Giuseppe Zaccagni

Per il Kosovo Tirana esulta; Pristina si divide tra gli applausi degli albanesi-kosovari e l’indignazione dei serbi; Washington incassa un risultato che gli è costato soldi e manovre geopolitiche al fine di disintegrare la Serbia; i terroristi dell’Uck alzano la testa e si fanno chiamare “ex guerriglieri” pur restando militanti di un’organizzazione militare con una struttura cellulare e territoriale, modellata sui clan albanesi; Belgrado prevede tempi duri e nuove guerre; Mosca insiste nelle trattative diplomatiche; l’Europa tace e acconsente e la Nato continua a tenere aperte le porte degli hangar. E così, sull’onda delle elezioni svoltesi in Kosovo in queste ultime ore, tornano in primo piano scenari difficili, per molti versi imprevedibili. Tutto avviene in seguito alla consultazione locale che - osteggiata dalla minoranza serba che si oppone ai progetti albanesi di proclamare l'indipendenza da Belgrado - ha visto la vittoria dell’uomo dell’Uck, Hashim Thaci, chiamato “serpente” perché non va per il sottile con nessuno. Elezione contestata e osteggiata, tutto sommato invalidata, pur se dalle urne è uscito un risultato che va oltre il 35% dei voti, superando per la prima volta dalla fine della guerra nel 1999 la Lega democratica degli eredi di Ibrahim Rugova. Ed ora la parola è a Thaci, il terrorista dell’Uck che, forte della consultazione elettorale, punta a guidare l’intera regione verso l’indipendenza totale da Belgrado, cercando di formare un governo di coalizione inglobando la “Lega democratica” che fu di Rugova. Ma non è solo una questione di governo perché Thaci cerca di accelerare i tempi annunciando - con un processo di cicatrizzazione -che l’indipendenza del Kosovo sarà annunciata il 10 dicembre. C’è quindi una data ben precisa che dovrebbe segnare la nascita in Europa di una nuova nazione. Che sarebbe pur sempre un “satellite” dell’Albania e una sorta di “protettorato” americano. Thaci manda a dire all’occidente che con la sua vittoria “comincia il nuovo secolo”. Non precisa quali saranno le strategie del paese e quali i rapporti che stabilirà in Europa. Ma è chiaro che si giungerà - stando anche alle bandiere americane esposte nel momento della vittoria elettorale - ad un Kosovo legato più che mai a Washington, quindi ben disposto ad ospitare basi militari per appoggiare il Pentagono nella sua escalation verso le aree dell’Iran e dell’Iraq. Si annunciano catastrofi storiche e politiche.

Si sa, intanto, che la data del 10 dicembre rappresenta la scadenza delle trattative a oltranza fra serbi, albanesi e comunità internazionale per definire lo status della provincia. La maggioranza albanese vuole l’indipendenza subito e senza compromessi, ma la minoranza serba è pronta a opporsi con ogni mezzo a questa ipotesi. Thaci, comunque, prevede un futuro normale sostenendo anche che “i kosovari hanno mandato un messaggio al mondo, mostrando che siamo una società democratica, pronta a portare il nostro Paese nell’Unione Europea”.

La realtà è ben diversa e non si esclude che attorno al nodo dell’indipendenza si riaccenda il conflitto fra serbi e albanesi. Intanto Belgrado torna a farsi sentire dopo aver sollecitato i serbi kosovari a tenersi lontani dalle urne. Le accuse serbe sono rivolte in particolare agli americani, ritenuti da sempre colpevoli della guerra contro la Jugoslavia. La Casa Bianca - secondo la dirigenza serba - persegue ''una brutale politica di forza, apertamente ispirata alla disintegrazione della Serbia''. E Kostunica - l’attuale primo ministro che è stato l’uomo simbolo della rivolta contro il regime socialnazionalista di Slobodan Milosevic nel 2000 - interviene con una serie di dichiarazioni tese tutte a sollecitare l'orgoglio nazionale serbo. Arriva a dichiarare che quanto fatto da Washington nei confronti del Kosovo va considerato come “una provocazione”. Non solo, ma Kostunica sostiene ora che “Gli Stati Uniti e la Nato bombardarono brutalmente e illegalmente la Serbia'' nel 1999 non già per fermare la repressione del regime di Milosevic in Kosovo, ma ''semplicemente per strappare alla Serbia il 15% del suo territorio''. ''La Serbia - torna ad ammonire Kostunica - non riconoscerà mai la costituzione di un'entità illegale sul proprio territorio e insisterà ogni giorno e in ogni angolo del mondo a ricordare che il Kosovo non può essere un trofeo di guerra della Nato. E che i confini riconosciuti di uno Stato sovrano sono destinati a restare immutati fino a quando esisterà la Carta dell'Onu''. E mentre il primo ministro ribadisce la linea della fermezza sulla questione kosovara il segretario del ministero per il Kosovo e Metohija nel governo di Serbia - Dušan Prorokovi? - rilancia un’ipotesi di trattativa precisando che i negoziati sulla soluzione dello status del Kosovo non hanno alternativa.

Ma nello stesso tempo per Belgrado sembra annunciarsi un nuovo fronte, anche questo carico di incognite. Torna ad affacciarsi, infatti, sulla scena della geopolitica balcanica, la questione della regione della Vojvodina (21mila chilometri quadrati, con due milioni di abitanti) che si trova in Serbia, ma che è contesa da Budapest che insiste sulla forte presenza della popolazione magiara. L’intera zona - è noto - ha un carattere altamente strategico per Belgrado. Ha una posizione geografica che la pone al centro dell'Europa Sud-Orientale e di conseguenza come snodo di traffici fra il Nord e il Sud, l'Ovest e l'Est del continente. Da Novi Sad - capitale della Vojvodina - si raggiungono Trieste o Capodistria in sei ore, Budapest in tre, Vienna in cinque e Salonicco in otto, utilizzando percorsi interamente o quasi interamente autostradali…

Ma oltre alle questioni di carattere “ambientale” e “logistico”, per Belgrado il problema maggiore è che nella regione di Novi Sad la componente serba - pur essendo maggioritaria - si trova pur sempre a fare i conti con gli ungheresi e con le altre minoranze: slovacca, romena e rutena, quest’ultima originaria della Ucraina sub-carpatica. Il rischio è che nella Vojvodina prenda corpo un movimento secessionista alimentato dai nazionalisti di Budapest: per Belgrado si potrebbe aprire un nuovo e pericoloso fronte. Tanto più che a Novi Sad operano già attivamente formazioni neonaziste.

C’è stato, in proposito, un fatto che ha messo la regione di confine al centro di scontri che il mondo serbo non intende sottovalutare. Tutto è avvenuto nelle settimane scorse quando la comunità islamica della Serbia si è spaccata in due blocchi alla vigilia del Bairam, la più importante festività dei musulmani; nel corso dei festeggiamenti ci sono stati seri incidenti durante alcune manifestazioni a Novi Sad.

Per Belgrado la Vojvodina diviene così una regione a rischio. Tenendo anche conto del fatto che qui operano alcune Organizzazioni non governative, come l’Helsinki Committee for Human Rights, che percepiscono fondi e finanziamenti da parte di George Soros, banchiere e uomo di fiducia della famiglia Rothschild, nelle cui mani si accentrano numerose società e multinazionali che hanno colonizzato la Vojvodina. E sempre a Novi Sad ci sono forze che fomentano conflitti etnici e sociali, tanto che si arriva a pensare che la Vojvodina potrebbe rappresentare il Kosovo del futuro, essendo una terra di confine contesa da tempo con l'Ungheria e al cui interno si trovano, appunto, minoranze etniche pronte ad agire per rivendicare la propria indipendenza. E c’è anche dell’altro.

E cioè che la Vojvodina, rientra nel "Progetto Danubio", promosso dalla stessa famiglia Rothschild per creare, insieme con Croazia, Ungheria e Romania, una sorta di Regione europea. Per raggiungere tale scopo sono da tempo iniziate le acquisizioni di cooperative agricole, raffinerie di zucchero, caseifici, raffinerie di petrolio e banche. Molti degli appezzamenti di terreno della Vojvodina sono stati acquistati da società croate: “Agrokor” ha acquistato “Dijamant” e “Frikom”, il “Nekse Group” ha acquistato “Polet IGK”, “Strazilovo” e alcune partecipazioni di “Toza Markovic”, società per la produzione di materiali di costruzione. Anche Austria e Germania, stanno posizionando le loro società, come la tedesca “Nordzucker”, la “Commerce MG” , “Stada” e “VAC” , mentre la “Austrian Erste Bank”, insieme con la “OTC banking group and Metals bank” stanno prendendo il controllo di Novi Sad. Allo stesso tempo, si sta assistendo ad una massiccia penetrazione di società ungheresi in Serbia, grazie sempre all'intercessione dei Rothschild. Si è, forse, alla vigilia di nuovi sconvolgimenti nel cuore dell’Europa che potrebbero condizionare pesantemente il futuro.

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