di Elena Ferrara

Sarà un incontro forse decisivo per tutto il “contenzioso” tra Palestina ed Israele quello fissato per il 27 novembre ad Annapolis, nell’America del Maryland e definito come “Conferenza di pace sul Medio Oriente”? Un fatto è certo. Ed è che questo vertice è pur sempre tardivo ed anche notevolmente sfocato rispetto alle esigenze del momento. Comunque sia arriveranno all’appuntamento - su invito degli Usa - oltre alle due delegazioni dei paesi direttamente interessati - anche i rappresentanti di più di 40 paesi, gruppi di istituzioni, organizzazioni e istituzioni internazionali. In pratica si tratterà di una seduta di livello internazionale che giunge dopo un intervallo di ben sette anni e che vedrà riuniti attorno al grande tavolo della trattativa molti dei grandi del mondo. Ci saranno - accanto agli israeliani (il primo ministro Ehud Olmert e Tzipi Livni responsabile degli Esteri) e ai palestinesi (il presidente dell'Autorità Nazionale Mahmud Abbas) - il presidente americano George W. Bush con il segretario di stato Condoleezza Rice e il ministro degli Esteri della Russia Sergej Lavrov. Tutti interessati a fissare alcuni “paletti” di un ciclo politico di lungo periodo. Ad Annapolis arriveranno anche gli esponenti della Lega Araba, con il segretario generale, Amr Mussa. Si presenterà anche la Siria la cui partecipazione è stata sempre in forse. Ma il carattere universale dell’incontro è già assicurato nel momento che nella città americana stanno già confluendo esponenti di paesi come Algeria, Arabia Saudita, Bahrein, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Giordania, Kuwait, Iraq, Libano, Libia, Marocco, Mauritania, Oman, Qatar, Sudan, Tunisia, Yemen. All’assise sono anche invitati tutti gli altri paesi del G8: Canada, Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna, Italia, Spagna. Tra gli altri paesi sono Australia, Brasile, Cina, Città del Vaticano, Norvegia e Turchia. Infine nell'elenco delle istituzioni compaiono il Fondo Monetario Internazionale (Fmi), la Banca Mondiale (Wb) e l'Organizzazione per la Conferenza Islamica (Oci).

Quanto al tema generale dell’incontro si parla già dell’esame delle eventuali frontiere del futuro stato palestinese; dello statuto di Gerusalemme est, occupato da Israele dal 1967; del destino dei rifugiati palestinesi e quello delle colonie israeliane nei Territori occupati. Molti comunque gli scogli da superare prima di giungere all’avvio vero e proprio della discussione. La Siria, ad esempio, esige che ad Annapolis si parli delle alture del Golan, conquistate da Israele nel ’67 e annesse nell’81, di cui Damasco richiede la restituzione. Di importanza fondamentale è poi la partecipazione dell’Arabia saudita che da tempo offre a Israele un’importante proposta di pace: le relazioni diplomatiche di tutti i Paesi arabi con Israele in cambio di uno stato palestinese.

C’è poi la dura posizione dell’Arabia Saudita che denuncia l’erosione sistematica dei diritti. Con il ministro degli Esteri Saud al-Faisal che, al termine della sua recente visita a Londra, ha sostenuto che la normalizzazione tra il mondo arabo ed Israele “non è solo l’assenza di guerra”. “Vogliamo – ha detto riferendosi all’incontro di Annapolis - una seduta che sia coronata dal successo. E per questo deve trattare i principali problemi per la pace in Medio Oriente: Gerusalemme, i confini, il ritorno dei palestinesi”. Molte, quindi, le controversie che si allineano sul tavolo della trattativa. Il problema consiste anche nel vedere se l’amministrazione degli Stati Uniti sia sincera nel volere un giusto e comprensivo accordo in Medio Oriente o se l’obiettivo è quello di ottenere il pieno appoggio arabo nel confronto delle posizioni iraniane rispetto al nucleare.

Il pericolo maggiore sta nel fatto che gli Usa potrebbero approfittare dell’incontro di Annapolis (ancora una volta documenti a raffica e strette di mano) per far raggiungere ai convenuti un’intesa di sola facciata. Una sorta di parata mondiale da far scaturire in accordi vuoti gettando una cortina fumogena sulla geopolitica mondiale. Per i palestinesi, comunque, l’occasione del vertice potrebbe essere utilizzata per palesare le premesse di una futura vittoria e per mettere le basi per un ritorno legittimato di Fatah al Governo. Ma queste sono solo speranze che, per ora, non hanno una base solida. Tanto più che proprio in questi tempi si torna a contestare la “teoria” relativa ad un compromesso: due stati per due popoli. Avanzano, infatti, forze che sostengono una soluzione che dovrebbe portare alla realizzazione di uno stato democratico unico, di tipo federale: Palestina/Israele. Una “nuova” entità statale - questa l’idea che avanza - che dovrebbe andare dal Mediterraneo al Giordano, lasciando che gli abitanti godano di pari diritti.

Un progetto, ovviamente, carico di ostacoli, dal momento che i due popoli diffidano l'uno dell'altro e sicuramente, al giorno d’oggi, non desiderano convivere nello stesso Stato. Dove, tra l’altro resterebbe forte l’impronta e la natura del sionismo, che, come ideologia fondante dello Stato di Israele, punta pur sempre a creare uno Stato nazionale degli Ebrei, quindi uno stato etnicamente omogeneo in cui gli Ebrei rappresentino la vasta maggioranza. Comunque sia le idee relative ad uno stato federale potrebbero fare la loro comparsa nel vertice di Annapolis. E questo creerebbe un problema sia per Tel Aviv che per i suoi padroni americani.

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