di Carlo Benedetti

MOSCA. Il treno dell’alta velocità occidentale corre sui binari dell’Est post-sovietico in vista del summit del 2-3 aprile, convocato a Bucarest da una Nato che affretta i tempi per presentare il conto ai paesi che fanno già parte dell’Alleanza e a quelli che sono nella sala d’attesa. A Mosca arrivano i segretari di Stato americani - Condoleeza Rice e Robert Gates - per un blitz destinato a saggiare il terreno. Si incontrano con Putin (mezzo premier e mezzo presidente), con il nuovo capo del Cremlino, Medvedev (che è in attesa dell’incoronazione prevista per il 7 maggio) e con i ministri degli Esteri e della Difesa, Sergej Lavrov e Anatolij Serdiukov. Su un altro convoglio - ma questo diretto a Kiev, capitale dell’Ucraina - viaggia il presidente americano George W.Bush che con gli ucraini discuterà (il 31 marzo) del loro ingresso nella Nato. Poi tutti verso la capitale romena, compreso Putin, intenzionato (dopo aver “studiato” un documento inviatogli da Bush relativo ad alcuni punti-chiave) a presentare le future linee della politica russa nei confronti degli Usa, della Nato e dell’occidente filoamericano. Concluso il summit romeno si torna a casa, tutti meno Bush che vuole ispezionare la Croazia (in fila per essere ammessa nell’Olimpo della Nato) prima di lasciare la “sua” Europa e rientrare nella Casa Bianca. Ma le incursioni all’Est non sono finite. C’è in pista anche il banchiere George Soros, l’uomo della potentissima e ricchissima Open Society Foundation, impegnato in una sistematica opera di distruzione e smantellamenteo dei paesi post-sovietici con l’obiettivo di portare al potere forze filo-americane. E’ lui il capofila dei finanziatori delle rivolte antigovernative in Ucraina, Georgia, Bielorussia...

L’Est è, quindi, oggetto di una offensiva atlantica senza precedenti. E la Russia, in questo contesto, è l’obiettivo numero uno. Una nuova prova si è avuta proprio nelle ore scorse quando la Rice e Gates - in avanscoperta - hanno affrontato con i russi le maggiori questioni strategiche: dallo scudo spaziale alle cosiddette sfere di “cooperazione bilaterale”, dall’ingresso nell’Alleanza di paesi ex sovietici e dell’ex Patto di Varsavia alle questioni legate all’Afghanistan, all’Iraq, all’Iran e al Medio Oriente. Ma il punto più discusso al Cremlino - e sul quale le divergenze sono state notevoli - è quello che è considerato come il nodo principale del rapporto Est-Ovest: il sistema anti-misssile che Washington vorrebbe installare in Polonia e Repubblica Ceca e che la Russia considera diretto più contro di lei che contro ipotetici ordigni dei cosiddetti “paesi canaglia”, Iran in testa. E su questo punto il russo Medvedev si è espresso con cautela mostrando una certa dose di pragmaticità. Ha sottolineato che le due potenze "possono avvicinare le loro posizioni sul problema dello scudo e sui trattati Start" per la riduzione degli arsenali strategici, in scadenza nel 2009, ma che "restano divergenze". Che non devono impedire che il dialogo vada avanti. In tal senso si può notare che il nuovo Presidente comincia a fare qualche timido passo in avanti, distensivo nei confronti dell’Ovest. Tanto che qui, nella capitale russa, c’è chi ricorda che nell’ultimo incontro con gli americani - avvenuto nell’ottobre scorso al Cremlino e sempre con Rice e Gates - Putin mantenne un atteggiamento estremamente contenuto: lasciò i due in anticamera per almeno mezz'ora mentre le dichiarazioni al termine del colloquio furono di segno contrastante.

Per le altre questioni presenti nell’agenda internazionale è chiaro che Mosca va a Bucarest con una serie di posizioni che i capi di stato e i premier dei 26 paesi dell’Alleanza potranno solo ascoltare dal momento che un solo accenno di risposta polemica potrebbe causare rotture e scontri che in questo momento ostacolerebbero il cammino delle diplomazie. I temi sui quali ci saranno i maggiori distinguo verteranno, ovviamente, sulle crisi del Tibet e del Kosovo. Perchè se la Rice invita Pechino ad aprire il dialogo con il Dalai Lama, i russi rispondono che il problema é "una questione interna cinese" e che il Tibet è "parte integrante della Cina". Quanto ai giochi olimpici la diplomazia moscovita, ricordando il boicottaggio occidentale alle Olimpiadi moscovite a causa dell’Afghanistan, dichiara che Pechino "garantirà il più alto livello dell'organizzazione dei giochi". Ma è silenzio assoluto sui fatti di Lhasa.

Per il Kosovo, la crisi in atto a Kosovska Mitrovica porta Mosca a ribadire la richiesta di un passo indietro sulla "autoproclamata indipendenza da parte di Pristina" e di un ritorno al negoziato fra albanesi kosovari e Belgrado, "in una cornice di legalità internazionale". Il Kosovo - ribadiscono gli esponenti della Russia - è parte integrante della Serbia e la Nato e gli americani sono i diretti rsponsabili di quanto sta avvenendo in quella regione: hanno violato leggi e trattati internazionali...

C’è poi la qustione dell’eventuale adesione alla Nato di paesi come l’Ucraina e la Georgia. E qui i russi si fanno forti delle posizioni espresse da Angela Merkel che dopo l’incontro a Mosca con Putin nelle settimane scorse ha annunciato ai vertici militari del suo paese (alla presenza del Segretario Generale della Nato Jaap de Hoop Scheffer) che le proposte di ammissione nella Nato di Ucraina e Georgia non possono essere accettate dal momento che questi paesi sono “coinvolti in conflitti interni o regionali” e che per essere ammessi devono, di conseguenza, assicurarsi un consenso politico interno “qualitativamente significativo”. E’ chiaro che la Merkel, con queste dichiarazioni, ha dato man forte alla politica russa.

Tutto, comunque, sarà in discussione a Bucarest. E per gli americani i problemi non saranno solo quelli riferiti all’Europa dal punto di vista strategico-militare. Perchè al tavolo del vertice si trova c’è il delicato contenzioso relativo alla nuova strategia da adottare in Afghanistan. Ci sono precise richieste americane (sostenute dai canadesi) per inviare rinforzi sul fronte di Kabul. La Norvegia, dal canto suo, si è già allineata senza riserve, rendendo noto che ad ottobre partiranno altri suoi soldati che si andranno ad aggiungere ai 500 già presenti in quel teatro di guerra. Oslo ne dislocherà anche altri 50 per addestrare le forze di polizia locali. Dalla Francia potrebbero giungere novità analoghe perché Parigi sembra intenzionata ad aumentare il suo ontingente nella regione orientale afgana, per combattere al Qaeda e la guerriglia. L'annuncio ufficiale di questa esclation potrebbe venire dallo stesso presidente Nicolas Sarkozy a Bucarest.

Sempre sul fronte afgano c’è la notizia - ufficiale - che il Canada non lascerà l'Afghanistan, almeno fino al 2011. Per quanto riguarda gli altri partecipanti al summit romeno la Spagna chiede un ridimensionamento del suo impegno e l’Italia, con alcune note del governo e della Farnesina conferma che le posizioni sono immutate. Ci saranno solo alcune novità sulla composizione della forza militare. Perchè è allo studio l'ipotesi di costituire un Battlegroup composto da quattro compagnie italiane nella provincia di Herat. E affinchè ciò sia possibile, senza aumentare il numero dei militari, l'ipotesi più probabile è che venga rimodulata la presenza a Kabul con la chiusura o il drastico ridimensionamento di Italfor.

Infine, a margine del dibattito che si svilupperà a Bucarest, c’è la minaccia dell’attivizzazione di forze straniere in tutti i paesi dell’ex Unione Sovietica dove una crescente influenza americana nell’area e i continui sommovimenti politici contribuiscono a mutare gli assetti di potere precostituiti. Il discorso riguarda, in particolare, le cosiddette “associazioni culturali” finanziate da Soros tramite personaggi che figurano come esponenti delle sue fondazioni. I nomi sono noti e sono degli americani Mike Stone (che opera in Kirghisia come esperto nell’organizzazione di tipografie destinate a stampare il materiale delle forze di opposizione) e di Bruce Jackson, un ufficiale dell’esercito statunitense in pensione che ha lavorato anche per i servizi segreti militari e per la Lockheed, che dirige la Fondazione “Progetto per le democrazie in transizione” presente in Ucraina, Bielorussia e Georgia.

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