di Mario Lombardo

Tra le misure di sicurezza adottate in occasione del G-8 di questa settimana in Irlanda del Nord, potrebbero essercene alcune che rientrano a fatica in questa definizione e che, a differenza di altre utili per tenere lontane scomode manifestazioni di protesta, con ogni probabilità gli illustri ospiti del governo britannico non gradirebbero particolarmente. L’ennesima rivelazione del Guardian sullo scandalo intercettazioni ha infatti raccontato lunedì di come Londra metta sotto controllo i telefoni e i computer dei partecipanti a simili eventi, in particolare di due vertici del G-20 organizzati qualche anno fa nella capitale del Regno Unito.

La nuova esclusiva del Guardian si basa sempre sui documenti ottenuti dall’ex contractor della CIA e dell’NSA, Edward Snowden, e rivela un altro aspetto dell’apparato della sorveglianza costruito dagli Stati Uniti e al quale la Gran Bretagna partecipa attivamente, quello destinato cioè al controllo dei vertici di altri governi, indipendentemente dal fatto che essi siano considerati rivali o alleati.

La diffusione dei nuovi documenti riservati rischia di mettere in grave imbarazzo il governo conservatore di David Cameron proprio mentre quest’ultimo è impegnato ad accogliere i propri colleghi del G-8, molti dei quali già presenti a Londra nel 2009, andando ad aggiungersi alle questioni affrontate nel vertice organizzato nei pressi di Belfast.

L’operazione descritta dal Guardian è stata opera del cosiddetto GCHQ (Government Communications Headquarters), l’agenzia britannica corrispondente all’NSA americana, con la quale condivide e collabora nel controllo pervasivo delle comunicazioni elettroniche domestiche e internazionali.

Il piano del GCHQ consisteva sostanzialmente in un vero e proprio test delle “innovative capacità di intelligence per intercettare le comunicazioni delle delegazioni ospiti” del G-20 andato in scena nell’aprile 2009 e del summit dei ministri delle Finanze del G-20 del settembre successivo. Il motivo delle intercettazione di membri di governi stranieri sembra essere stato quello di acquisire informazioni sensibili che sarebbero tornate utili al governo di Londra in vista degli incontri ufficiali.

Il programma dell’operazione, secondo il Guardian, includeva in primo luogo il monitoraggio della posta elettronica dei delegati, compresa l’appropriazione dei dati di log in, da ottenere anche tramite la creazione di finti internet cafés, dei cui servizi i partecipanti al G-20 venivano incoraggiati ad usufruire. Inoltre, l’apparato della sicurezza britannico sarebbe penetrato nei sistemi di sicurezza degli smartphone personali dei rappresentanti del G-20, sempre con lo scopo di controllare e-mail e telefonate.

Le comunicazioni così intercettate sarebbero state analizzate da una squadra di 45 analisti attiva 24 ore su 24. L’intera operazione aveva l’approvazione del governo laburista dell’epoca, guidato dal primo ministro Gordon Brown. Le informazioni, infatti, erano state poi passate a quest’ultimo e ad alcuni ministri del suo gabinetto, a cominciare dall’allora ministro degli Esteri, David Miliband.

In particolare, un documento rivelato da Edward Snowden fa riferimento ad uno strumento di sorveglianza “utilizzato in molte occasioni durante recenti conferenze in Gran Bretagna” e che permette di “acquisire messaggi di posta elettronica senza rimuoverli dal server remoto”, così che gli intercettatori sono in grado di leggere le e-mail ancora prima degli intercettati. Le informazioni relative ai log in ottenute grazie alla messa in scena degli internet cafés, inoltre, hanno consentito di avere “opzioni di intelligence relativamente ai delegati anche dopo la fine della conferenza”.

Uno degli obiettivi più importanti dei servizi di sicurezza britannici era ovviamente l’allora presidente russo, Dmitry Medvedev, il quale, assieme agli altri delegati del governo di Mosca, si è visto inconsapevolmente intercettare le proprie telefonate dalla stessa NSA americana in collaborazione con il GCHQ.

I documenti relativi all’operazione indicano una durata di essa di almeno sei mesi, mentre il programma di monitoraggio nel vertice dei ministri delle Finanze del settembre 2009 a Londra prevedeva, tra l’altro, una particolare attenzione per i delegati turchi. Il ministro di Ankara, Mehmet Simsek, e altri 15 colleghi e delegati vari venivano indicati come “possibili obiettivi”, così da “appurare la posizione della Turchia in relazione agli accordi presi nel summit di aprile” e testare la disponibilità del paese euro-asiatico “a cooperare con il resto dei membri del G-20”.

Nel corso del vertice di settembre, il GCHQ avrebbe fatto ricorso anche ad una nuova tecnica, studiata per fornire ai propri analisti un resoconto in tempo reale di ogni telefonata fatta o ricevuta dai delegati, il cui contenuto veniva proiettato su uno schermo di 15 metri quadrati presso il centro operativo dell’agenzia governativa. I dati ottenuti in questo modo sarebbero stati poi tempestivamente invitati ai rappresentanti britannici al G-20, ritrovatisi perciò in una posizione di vantaggio nei negoziati.

La descrizione del programma di intercettazioni messo in atto dal governo di Londra, come afferma lo stesso Guardian, conferma dunque un sospetto di lunga data, vale a dire l’esistenza di simili attività di spionaggio nel corso di summit internazionali. Nello specifico, la più recente rivelazione dimostra come anche in Gran Bretagna questi metodi illegali condotti da agenzie di intelligence dietro le spalle della popolazione vengano usati e giustificati da governi di qualsiasi orientamento politico.

Come emerge dai documenti resi noti da Snowden, inoltre, i G-20 del 2009 sono stati un banco di prova per valutare l’efficienza degli strumenti e delle tecniche impiegate dal GCHQ, così da perfezionarli nel futuro a seconda delle esigenze della classe dirigente britannica.

La scelta dei delicati summit di Londra del 2009 da parte delle autorità britanniche, infine, appare tutt’altro che casuale, dal momento che essi avvennero a pochi mesi dal tracollo finanziario che ha scatenato la più grave crisi economica dagli anni Trenta del secolo scorso. I vertici, infatti, furono caratterizzati da profonde divergenze tra le varie potenze del pianeta su come rispondere alla situazione di panico diffuso, nonché dall’emergere di rivalità sopite e rinvigorite dalla crisi del capitalismo globale. Da qui la necessità, secondo Washington e Londra, di acquisire un vantaggio strategico in previsione delle complicate trattative con alleati e rivali.

Oltre ai partecipanti del G-20, secondo i documenti ottenuti dal Guardian, le autorità di Londra hanno spiato sempre nel 2009 anche i convenuti nell’isola caraibica di Trinidad per un summit del Commonwealth britannico, l’organizzazione che raccoglie le ex colonie del Regno Unito più il Ruanda e il Mozambico.

L’uso di sofisticati strumenti tecnologici di sorveglianza delle comunicazioni di organi di governo non beneficia però esclusivamente Stati Uniti o Gran Bretagna. Un recente articolo apparso sul quotidiano australiano The Age ha infatti rivelato come almeno anche un altro stretto alleato di Washington abbia ottenuto importanti vantaggi dai programmi dell’NSA recentemente smascherati.

Un anonimo funzionario del governo di Canberra ha cioè affermato come le attività dell’intelligence americana siano state “assolutamente decisive” per fare ottenere all’Australia un seggio provvisorio per gli anni 2013 e 2014 al Consiglio di Sicurezza ONU. Queste dichiarazioni non spiegano il modo in cui il governo laburista del premier Julia Gillard abbia tratto vantaggio dall’operato dell’NSA ma, anche alla luce dell’articolo di lunedì del Guardian, è più che lecito ipotizzare il ricorso a pratiche illegali nella campagna diplomatica che ha portato al voto dell’ottobre scorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per la scelta dei membri provvisori del Consiglio di Sicurezza.

In ogni caso, tutte le rivelazioni dei giorni scorsi sono con ogni probabilità solo la punta dell’iceberg, dal momento che gli Stati Uniti, assieme ai governi loro alleati, continuano a fare affidamento su sistemi di monitoraggio ben più invasivi di quelli resi noti da Snowden, i quali, già di per sé, indicano abbondantemente come il processo di creazione di uno stato di polizia sia giunto ormai ad uno stadio avanzato.

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