di Cinzia Frassi

Il Presidente del Consiglio Romano Prodi lo ha definito un “fatto storico” e “una grande soddisfazione per l’Italia, un riconoscimento globale alla politica italiana non solo come membro del Consiglio di Sicurezza ma proprio in quanto Paese che svolge una politica internazionale positiva”. I 186 voti con cui Roma ha festeggiato l’ingresso nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite in qualità di membro non permanente per il biennio 2007-2008, hanno offerto interpretazioni diverse, ma tutte di segno positivo. L’elemento importante della presenza italiana presso il Consiglio è sicuramente dato dal tempismo che consente al nostro Paese di sedere laddove si discuterà anche di riforma del Palazzo di Vetro. Accanto a Paesi che spingono per una allargamento dei seggi permanenti, quali Giappone, Germania, Brasile e India, ci sono i Paesi del gruppo “Uniting for consensus”, che spingono per una riforma che veda la partecipazione di una categoria più o meno ampia di membri semi-permanenti. Si parla di un ampliamento della rappresentatività con un elevata rotazione, senza scalfire ciò che i 5 membri permanenti e con diritto di veto hanno conquistato all’indomani della seconda guerra mondiale.
Il ministro D’Alema sottolinea che l’intenzione dell’Italia è quella di riempire di europeismo il suo ruolo al Consiglio di Sicurezza, “tenendo conto delle posizioni comuni europee in politica estera ed attuando uno stretto coordinamento con i partner europei in applicazione dei vigenti Trattati comunitari”. Più diretto l’ambasciatore italiano, Marcello Spatafora, quando dice che si cercherà di ”portare più Europa nell’Onu”.

Un compito niente affatto semplice, data la mancanza tra i Paesi dell’Unione di un allineamento comune nelle crisi internazionali: basti pensare al contributo di Germania, Francia e Italia nella vicenda del nucleare iraniano. Non sempre si è potuto ammirare un’attitudine univoca e quella comunità di ideali e di valori su questioni di immanente importanza per la pace e la sicurezza internazionali. Va da sé che portare al Palazzo di Vetro una politica estera europea sarebbe più semplice se in essa fosse più viva la componente politica, piuttosto che quella finanziaria.

Viene da pensare che questo portare l’Europa al Palazzo di Vetro possa contribuire ad una politica internazionale dell’Unione Europea che viaggi su binari non necessariamente paralleli a quelli del Paese che si sente padrone pure dello spazio che circonda il pianeta, che con la recente legge ideata da Bush viene vietato ai suoi “nemici”.

Ma davvero c’è più Europa? Emblematica la posizione di astensione italiana nel caso Venezuela, che in questi ultimi giorni sta tenendo impegnata l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite in oltre 20 votazioni senza successo. Il paese del socialismo possibile di Chavez non cede, nonostante fino ad ora non l’abbia spuntata sul Guatemala.
L’ultima riunione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (19 ottobre) ha visto l’ennesima fumata nera, la 35esima, con il Guatemala che arriva a rastrellare parecchi consensi sul Venezuela, ma senza raggiungere quei 2/3 necessari per accaparrarsi il seggio. Le votazioni sono state interrotte fino a mercoledì prossimo, confidando che una riunione dei Paesi Latino-americani e dei Caraibi possa sbrogliare la matassa. Il Guatemala ha manifestato l’intenzione di ritirare la sua candidatura qualora non riesca a raggiungere i voti necessari nella prossima tornata.

Bush ha sguinzagliato il suo ambasciatore all’Onu, il discusso John Bolton, per isolare il paese di Chavez, la cui presenza sarebbe proprio una spina nel fianco del “diavolo”. In questi termini infatti il Presidente Venezuelano ha definito un mese fa gli Stati Uniti davanti alla platea internazionale radunata al Palazzo di Vetro per la 61esima riunione dell’Assemblea Generale. In quell’occasione Chavez non ha avuto peli sulla lingua nel dare battaglia aperta agli Stati Uniti.
L’affrontare a viso scoperto ed in maniera frontale Washington pare però una scelta costosa. Prova ne sia che il lavoro diplomatico degli ultimi mesi attraverso gli aiuti che Chavez ha concesso anche sotto forma di oro nero a molti Paesi sud americani, non hanno visto un riscontro politico degli stessi da parte dei paesi beneficiari, vedi Haiti. Le pressioni fortissime esercitate dagli usa sembrano tutt’ora in grado di esercitare uno stop all’elezione del Venezuela. Stop che, diversamente da quanto dipinto dai media occidentali, non sarebbe un colpo alle ambizioni personali di Chavez, quanto un segnale negativo verso quella parte di America Latina che ha scelto di affrancarsi dagli Usa e di associarsi nel Mercosur. Sarebbe insomma un modo per ribadire che per le Americhe sono gli Stati Uniti a recitare il ruolo di rappresentanza politica.

Per risolvere l’empasse del voto servirebbe il ritiro del Venezuela o del Guatemala, oppure un accordo per lanciare la candidatura di un paese terzo, che si ipotizza potrebbe essere uno tra Costa Rica, Panama, Repubblica Dominicana, Uruguay oppure Messico.
L’Italia si è astenuta in queste numerosissime votazioni. Dev’essere impegnata nella ricerca di quella linea comune europeista da portare a New York.


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