di Mario Lombardo

Il riposizionamento strategico delle forze navali e degli armamenti americani in Estremo Oriente ha da tempo innescato una pericolosa corsa verso la militarizzazione di questa parte del continente asiatico, confermata nuovamente da una decisione ancora non ufficiale che avrebbe preso il governo cinese per evitare di vedere neutralizzato il proprio deterrente nucleare da parte degli Stati Uniti.

A riportare la notizia è stato qualche giorno fa il quotidiano britannico Guardian, il quale ha rivelato come Pechino intenda utilizzare per la prima volta sottomarini dotati di missili nucleari nell’Oceano Pacifico. Questa misura sarebbe dovuta alle recenti iniziative militari americane che hanno logorato a tal punto il potenziale di deterrenza cinese da non lasciare alternative alla leadership comunista.

Fonti all’interno del governo di Pechino non hanno indicato le tempistiche del dispiegamento dei sottomarini ma, a conferma della consapevolezza americana delle conseguenze delle proprie azioni in Asia orientale, un recente rapporto del Pentagono destinato al Congresso aveva previsto “a un certo punto del 2016” la conduzione del primo “pattugliamento nucleare in funzione di deterrente” da parte cinese.

La molla che ha fatto scattare la decisione di Pechino è in particolare il piano di posizionamento del sistema anti-balistico USA denominato THAAD (“Difesa d’area terminale ad alta quota”) in Corea del Sud. A livello ufficiale, il THAAD dovrebbe far fronte alla minaccia nordcoreana e la possibile installazione era stata annunciata dopo il recente quarto test nucleare del regime di Pyongyang. In realtà, esso va principalmente a compromettere il sistema di deterrenza cinese.

Sempre secondo il Guardian, le preoccupazioni che hanno portato a valutare l’opzione dell’impiego di sottomarini equipaggiati con testate nucleari sono legate anche a piani di sviluppo USA di missili “ipersonici”, in grado di colpire la Cina entro un’ora dal loro lancio. Ciò, com’è evidente, minaccia di rendere inefficaci i sistemi di deterrenza cinesi posizionati sulla terraferma. Da qui la necessità di espandere quelli navali, a cui peraltro la Cina lavora da più di tre decenni, anche se “l’impiego effettivo è stato rimandato a causa di difficoltà tecniche, rivalità interne e decisioni di natura politica”.

La notizia riportata dal giornale britannico comporta dunque un cambiamento di rotta significativo da parte di un regime cinese che si era mosso finora con estrema cautela in questo ambito. Il governo di Pechino, a differenza di quello americano, si dichiara pronto a usare armi nucleari solo in risposta a un eventuale attacco e conserva perciò separatamente le testate e i missili, entrambi sotto lo stretto controllo dei leader politici.

Il cambiamento degli equilibri determinato dalla “svolta” asiatica degli Stati Uniti avrebbe ora convinto i cinesi a dotare i propri sottomarini di missili con testate nucleari, in modo da consentire una risposta molto più rapida in caso di attacco.

La presenza di sottomarini nucleari cinesi nelle acque dell’Oceano Pacifico minaccia di portare il rischio di un aperto conflitto con gli Stati Uniti a un livello del tutto differente. Ipotizzando uno scenario probabilmente fin troppo ottimistico, un docente di Relazioni Internazionali all’università Renmin di Pechino ha affermato in un’intervista al Guardian che la presenza di sottomarini nucleari nel Mar Cinese Meridionale porterà la “marina americana a inviare navi spia”, cosa che irriterà il governo cinese, il quale a sua volta “cercherà di respingerle”, con tutti i possibili rischi del caso.

La decisione relativa ai sottomarini rivela comunque l’ansia crescente a Pechino per le disparità tuttora esistenti tra l’arsenale nucleare americano e quello cinese, stimato in circa 260 testate - contro le 7 mila degli USA - e in larga misura composto da missili posizionati sulla terraferma, quindi vulnerabili di fronte a un attacco preventivo da parte degli Stati Uniti.

In una simile eventualità, in assenza cioè del potenziale per rispondere con un secondo attacco, la Cina resterebbe di fatto senza un reale deterrente, così che la possibilità di reagire a un’aggressione potrebbe dipendere anche dalla disponibilità di sottomarini nucleari pronti a colpire in tempi rapidi.

La notizia pubblicata dal Guardian non ha avuto conferme ufficiali dal governo cinese, anche se è stata ripresa e di fatto ratificata da un editoriale della testata governativa on-line Global Times. L’articolo, apparso domenica, ha fatto riferimento alla necessità di un “deterrente nucleare reale ed efficace” affinché esso possa giocare un “ruolo importante nell’elaborazione della politica cinese da parte del governo americano”.

Inoltre, “con l’aumento delle tensioni tra USA e Cina, è necessario che Pechino rafforzi il proprio potenziale di risposta nucleare”. Ciò, continua il Global Times, “contribuirà a equilibrare [i rapporti di forza] nella regione asiatico-pacifica” e ad aumentare le probabilità che gli Stati Uniti cerchino una soluzione pacifica alla rivalità con la Cina.

Se quest’ultimo auspicio potrebbe rivelarsi drammaticamente illusorio, è evidente che la responsabilità principale dell’evolversi della situazione in Estremo Oriente è da attribuire agli Stati Uniti. L’amministrazione Obama sta infatti perseguendo un piano strategico deliberato per aumentare le pressioni sulla Cina in ambito diplomatico, militare ed economico, con l’obiettivo di limitare l’influenza e l’espansione di questo paese che minaccia il predominio degli USA nel continente asiatico.

Il ricorso a sottomarini pronti a lanciare missili nucleari da parte di Pechino è così solo l’ultima testimonianza della pericolosità delle manovre americane, a cui vanno ricondotti sia il riesplodere delle contese territoriali tra la Cina e vari paesi del sud-est asiatico sia gli incidenti sfiorati negli ultimi mesi tra le forze aeree e navali delle prime due potenze economiche del pianeta.

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