Se per i nostri politici il Darfur può essere “uno stile di vita”, per il mainstream non va tanto meglio. Quando la crisi del Darfur è cominciata, ormai tre anni fa, nessuno se ne dette conto per lungo tempo. Il Sudan stava concludendo un accordo di pace tra il Nord islamico ed il sud cristiano; il governo del Nord era accusato di essere troppo talebano, ma bisogna considerare che la compagine governativa era composta da una coalizione che era figlia di un paese reduce da oltre venti anni di guerra civile, capeggiata da un presidente tanto pragmatico che, per cercare vantaggi sui meridionali sostenuti dagli inglesi (referenti coloniali locali), non aveva esitato ad accettare gli aiuti di personaggi ostili all’Occidente come Gheddafi e Bin Laden.Dopo gli attentati del 9/11 il pragmatico al Bashir ha seguito l’esempio di Gheddafi e si è velocemente allineato ai desideri di Washington: lo certificano decine di dichiarazioni di ufficiali della Cia, dell’amministrazione Bush e di altre fonti americane, secondo le quali l’aiuto dei sevizi sudanesi è stato “indispensabile”. Tanto che i sudanesi hanno catturato parecchi qaedisti e si sono prestati come complici per le “rendition” dei nemici di Washington, che a Karthuom sono portati per le sedute di tortura lontano dagli occhi di giudici ed avvocati. Ricordando che con Iran e Siria succede lo stesso, cioè che Washington delega ad alcuni paesi un ruolo delicatissimo per la War on Terror e poi li indica pubblicamente come il male assoluto, non c’è da stupirsi che molti politici occidentali recitino ancora la parte contro il cattivo governo sudanese.
Allineandosi, il Sudan è finalmente giunto alla pace delle corporation e in pochi anni sta conoscendo un indubbio progresso economico. C’è da dire che l’accelerato sviluppo si deve molto agli investimenti cinesi. Una sussidiaria di BP (inglese) e della PNCP (gigante pubblico cinese) si è accaparrata metà dei giacimenti e spedisce il petrolio in Cina, il resto è andato per gran parte a TOTAL (francese) con gli spiccioli per altre società minori di varie nazionalità. Il petrolio però non avrebbe potuto raggiungere i mercati si i cinesi non avessero mandato settecentomila lavoratori (sì, 700.000) a completare le infrastrutture che portano il petrolio dal Sud al Mar Rosso, consentendo in questo modo la garanzia di uno sfruttamento congiunto tra Nord e Sud. Il Sud cristiano, in base agli accordi, potrà indire un referendum e chiedere la separazione. Tra qualche anno però.
Mentre questo incredibile groviglio di interessi macinava colloqui di pace patrocinati da un quartetto europeo nel quale c’era anche l’Italia, uno in particolare dei due movimenti di liberazione del Darfur, che è a Est ed è grande quasi come la Francia, ebbe la brillante idea di ribellarsi al governo centrale, attaccando alcune prefetture per reclamare di essere ignorato dal governo centrale. Il governo reagì e chiaramente non si è trattato di una reazione giustificabile, armando milizie tribali (i famosi Janjaweed), i quali, sostenuti dall’aviazione, completarono la pulizia etnica del Darfur. Il massacro (circa centomila morti nella fase principale) non fu rapidissimo, sia per le distanze che per la relativa modestia delle milizie, peraltro invincibili perché protette dall’aviazione governativa. Ma in quel tempo la comunità internazionale taceva.
Due milioni di profughi dopo, molti rifugiati nel vicino Ciad, abbiamo sentito molti politici battersi per definire “genocidio” questo atto di pulizia etnica, mentre all’opera, nell’ombra, c’era chi, come Penelope, non voleva assolutamente che accadesse. Nessuno ha interesse ad imporre al governo sudanese la presenza di truppe straniere. Il ragionevole compromesso è che hanno mandato un po’ di truppe dell’Unione Africana, senza supporto logistico, inutili dunque. Anche alcuni ufficiali sudanesi sono stati consegnati al tribunale Penale internazionale e da questo condannati: il governo sudanese collabora e ha offerto i suoi capri espiatori.
I poveri profughi peraltro non hanno guadagnato molto, nei campi non è arrivata la generosità dei commossi occidentali. In compenso è arrivata la USAID a rompere le scatole alle agenzie dell’ONU e ai pochi cooperanti in buona fede che sono riusciti a raggiungere la zona. C’è un traffico robusto di politici ed attori occidentali, che alla foto con i bimbi neri non possono rinunciare. In compenso noi italiani abbiamo mandato per un periodo dei militari nella capitale sudanese, nel quadro degli accordi Nord-Sud; circostanza che conferma come i rapporti con il governo sudanese siano distesi. Anche perché ora il governo ha un Vice-presidente cristiano nel Sud e il denaro corre insieme alla speculazione; Karthoum si sta trasformando da una città fatta di fango, in una capitale simile a quelle degli emirati. L’unica differenza è il waterfront sul Nilo, che sostituisce quello sul Golfo.
Negli anni la situazione evolve e per il profugo lo scorrere del tempo significa solamente un’agonia sempre più profonda. Le pessime novità sono che nel vicino Ciad, incapace comunque di aiutare i profughi, il vecchio dittatore Deby, ha decisamente esaurito la pazienza dei suoi sudditi. Deby è anziano, passa più tempo nelle cliniche francesi che a governare da etilista (nel senso della patologia dalla quale pare sia colpito), ma soprattutto fa sparire i soldi del petrolio che dai pozzi della EXXON corre verso gli Stati Uniti su un oleodotto costruito insieme ai francesi. Deby non potrebbe essere rieletto oltre i due mandati che stanno per scadere, ma in vista delle elezioni modifica la Costituzione per potersi ripresentare. Quelli dell’opposizione che non sono in galera organizzano una vera e propria rivolta e marciano sulla capitale contando su gran parte dell’esercito; fedele a Deby resta una parte della Guardia Repubblicana. A fermare i ribelli arrivano i jet francesi e Deby vince da solo le elezioni boicottate dall’opposizione.
In seguito la situazione militare peggiora per il regime, nonostante Deby abbia ottenuto i soldi del fondo “etico” blindato dalla Banca Mondiale per i poveri del Ciad. Ha suscitato scalpore l’episodio per il quale la Guardia Repubblicana ha sparato su un corteo di feriti dell’esercito che protestavano nella capitale. Loro, i soldati fedeli a Deby rimasti feriti in combattimento, sono semplicemente ammassati in un complesso di Ndjamena senza alcuna assistenza medica.
Allo stesso tempo nella Repubblica Centrafricana succede lo stesso: al golpista Bozize si ribellano quelle stesse forze che lo avevano portato al potere, pare per questioni di debiti mai pagati; comunque Bozize non ha alcun sostegno popolare.
In poche settimane i ribelli si impadroniscono di gran parte del Nord e dell’Ovest del paese. Qui interviene di nuovo la Francia, che bombarda in Repubblica Centrafricana mentre di nuovo aiuta Deby, al quale non sono bastati i “cooperants étrangers”, cioè i mercenari che ha arruolato e nemmeno i Toros Boros, milizie tribali armate dal governo. I Toros Boros (che, incredibile ma vero, per gran parte sono gli stessi Janjaweed sudanesi disoccupati e arruolati da Deby) hanno cominciato a colpire i rifugiati e anche le cittadine dell’Est del Ciad, fino a che le guarnigioni militari, fino ad allora controllate da Deby, non si sono unite alla ribellione ciadiana, non lasciando loro che la fuga. Da qualche giorno sono tornati gli attacchi aerei dei francesi.
In tutto questo la Francia non ha alcuna legittimità per bombardare, le leggi francesi, quelle internazionali e i trattati con quei paesi non l’autorizzano. Il governo francese si è limitato a dire che l’intervento “è stato chiesto dai due presidenti” e si è chiuso nel mutismo. In Francia nessuno sembra farci caso, in Parlamento non se ne parla e nemmeno sulla stampa. La comunità internazionale finora non aveva neanche preso in considerazione i due paesi. La Francia però è cosciente del problema e non ha trovato di meglio che proporre, durante le sedute del Consiglio di Sicurezza dedicate al Darfur, di mandare una forza in Ciad e Repubblica Centrafricana per impedire che dal Darfur il “contagio” della guerra si estenda a tutta la regione. Casualmente, la Francia si è detta pronta ad assumersi l’onere dell’intera forza, straordinariamente simile a quella che c’è già. All’ONU la cosa ha destato curiosità e qualche tremore, ricordando il recente bagno di sangue scatenato dalle truppe francesi in missione ONU in Costa d’Avorio.
E ADESSO TOCCA ALLA SOMALIA
Nello stesso tempo si stanno cercando truppe per la missione, approvata dall’ONU, in Somalia. Posto che per i francesi, in questo caso, non c’è nessun interesse, non si è ancora riusciti a trovare volontari per rilevare le truppe della dittatura etiope nel sostenere un governo che esiste solo sulla carta. In Somalia intanto le agenzie di sicurezza marittima danno di nuovo l’allarme-pirati e gli americani bombardano altri “terroristi”, il che sembra normale visto che hanno detto che con i primi bombardamenti non li avevano presi. Anche qui un governo che non ha alcuna legittimità reale è imposto alla popolazione da forze esterne, riceve il timbro dell’ONU e comincia a degenerare nella guerra civile, nel caso delle Somalia il risultato è addirittura scontato alla luce della sua storia recente. I motivi degli americani in Somalia, chiaramente, sono molto più vari della lotta al terrorismo o alla sconfitta dei guerrieri islamici in ciabatte in un paese dove tutti sono armatissimi.
All’ONU allora hanno deciso di mandare una missione a vedere com’è la situazione sul terreno in Ciad e Repubblica Centrafricana; notoriamente i picchi delle crisi umanitarie si svolgono prima che la comunità internazionale mandi ufficialmente qualcuno a vedere, specialmente in Africa. Peraltro è anche noto che “fare una commissione/missione d’indagine” è un compromesso dilatorio al quale si giunge troppo frequentemente in un’epoca dove le cose non sono difficili da sapere, specialmente se si svolgono su scale così imponenti. Per ora sono stati in Repubblica Centrafricana, dove hanno scoperto con orrore l’esistenza di oltre duecentomila profughi (sorpresa !!) in fuga dalle truppe governative. Dopo che i francesi avevano indotto alla fuga i “ribelli”, la regione visitata è stata setacciata dalla Guardia Repubblicana, che ha bruciato tutti i villaggi e torturato gli abitanti, accusati di aver sostenuto i ribelli. Comprensibilmente quelli che hanno capito in tempo cosa stesse succedendo si sono dati alla fuga, non avendo altra possibilità sono andati verso il Ciad.
Ibrahima D. Fall, del fondo Unicef per l’infanzia, ha puntato il dito senza dubbio alcuno contro la Guardia Repubblicana di Bozze e ha descritto una regione priva di tutto, nonostante il paese possieda discrete risorse e sia poco popolato e ormai anche priva di villaggi, visto che li hanno trovati quasi tutti bruciati.
Sembra difficile riuscire a capire chi siano “i buoni” in questa storia, di certo si capisce che senza alcune interferenze esterne tante violenze potrebbero essere evitate. Gli attori locali sono spesso selezionati per il loro cinismo, oltre ai dittatori e protagonisti in carica, si può ricordare il grande leader del Sud Sudan cristiano, leader della guerra contro il Nord, era una altro criminale, non certo un gentleman di guerra, un incidente aereo lo ha rimosso, insieme al suo passato imbarazzante e ai suoi legami con gli inglesi; l’ex braccio destro di al Bashir è ora la mente di un nuovo gruppo di “ribelli del Darfur”: si chiama al Turabi, è un pochino talebano. Non aveva capito il cambiamento e per questo era stato messo per al fresco per qualche tempo. Adesso ha evidentemente trovato uno sponsor e si è messo in proprio, nonostante l’età veneranda.
In zona non è difficile trovare sponsor disposti a fornire armi. Libia ed Egitto partecipano attivamente al grande gioco e anche il principale concorrente di Kabila alle prime storiche elezioni in Congo, J.P. Bemba, era sul punto di unirsi agli intrighi in Repubblica Centrafricana, nonostante da tempo in parecchi cerchino di portarlo al banco del Tribunale Penale Internazionale, per rispondere dei massacri che, soltanto pochi anni fa, ha provocato in quel paese. Pare lo abbiano dissuaso i francesi, ai quali Bozize va benissimo.
A sentire alcuni sembra che il problema siano i Janjaweed, che dal Sudan il cancro della guerra si sparga come per contagio. Ma sappiamo che la guerra non è un virus o un batterio. Sfortunatamente il problema non finisce con i Janjaweed: i profughi sono sempre di più, gli aiuti sempre meno e la sicurezza per i civili sempre più lontana. Il petrolio africano sanguina molto di più di quello mediorientale. Sempre di più.
DIETRO IL DARFUR
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