Un nuovo fronte di scontro sta alimentando le polemiche in questi giorni tra il presidente americano Trump e l’apparato di potere negli Stati Uniti. Oltre al conflitto in atto sulla questione dell’impeachment, riflesso delle divergenze attorno ai punti cardine della politica estera USA, e sul ruolo della prima potenza del pianeta in Medio Oriente, a cominciare dalla Siria, continuano a esserci scintille circa i recenti provvedimenti di grazia decisi dal presidente a beneficio di alcuni militari condannati per crimini di guerra.

 

Il caso che sta facendo più rumore riguarda il “Navy SEAL” o membro delle forze speciali della Marina, Eddie Gallagher. Quest’ultimo era accusato di avere sparato senza motivo su civili a Mosul, in Iraq, e dell’omicidio con un coltello da caccia di un giovane combattente dello Stato Islamico (ISIS) mentre era sotto custodia dei servizi medici militari americani. Gallagher avrebbe anche minacciato di morte alcuni soldati suoi compagni che intendevano testimoniare contro di lui. La corte marziale si era conclusa con l’assoluzione dell’omicidio, ma con una condanna per avere scattato un “selfie” vicino al cadavere del giovane militante, reato anch’esso considerato un crimine di guerra. La Marina americana lo aveva allora immediatamente degradato.

Gli interventi di Trump a favore di Gallagher erano iniziati già nel mese di marzo, con un ordine di rilascio dal carcere militare di San Diego in cui attendeva il processo, mentre la scorsa settimana era arrivata la decisione di annullare gli altri provvedimenti contro il “Navy SEAL” decisi dai vertici della Marina. Nonostante il perdono di Trump, i superiori di Gallagher avevano avviato una procedura di “revisione”, ugualmente bloccata dalla Casa Bianca, che avrebbe potuto privarlo dell’insegna dei corpi speciali dopo il congedo.

I provvedimenti presi da Trump avevano in precedenza riguardato anche altri due militari americani: il maggiore Mathew Golsteyn, responsabile dell’esecuzione sommaria di un membro dei talebani in Afghanistan, e il tenente Clint Lorance, condannato per avere ordinato ai soldati sotto il suo comando, sempre nel paese asiatico occupato, di sparare su tre uomini disarmati, uccidendone due. Gli interventi di Trump sono stati quasi sempre accompagnati dagli immancabili “tweet” che, nei casi in questione, hanno in sostanza espresso l’intenzione di garantire la completa impunità dei soldati americani nell’esecuzione delle operazioni dell’imperialismo a stelle e strisce.

Al centro della vicenda c’è dunque il clamoroso disaccordo tra il presidente e i vertici delle forze armate degli Stati Uniti. Il culmine dello scontro si è registrato finora nel fine settimana con il licenziamento del segretario della Marina militare, Richard Spencer, su richiesta del numero uno del Pentagono, Mark Esper. Ufficialmente, alla base della rimozione di Spencer ci sarebbe la mancata notifica da parte di quest’ultimo a Esper di un accordo che avrebbe proposto alla Casa Bianca sul caso del “SEAL” Eddie Gallagher.

Per il segretario alla Difesa, Spencer avrebbe proposto a Trump una soluzione che consentiva a Gallagher di essere congedato senza disonore, restando cioè un “SEAL” anche dopo avere lasciato i reparti speciali della Marina. Così facendo, Spencer avrebbe assunto una posizione diversa da quella ostentata pubblicamente, oltre ad avere tenuto all’oscuro della proposta di accordo il suo superiore civile.

Che questa ricostruzione corrisponda al vero sembra piuttosto improbabile, anche perché il segretario alla Marina uscente non ne ha fatto parola nella dichiarazione ufficiale in cui ha confermato le sue dimissioni. Spencer, invece, ha tenuto a evidenziare sia la totale diversità di vedute con il presidente sui “principi fondamentali di ordine e disciplina” sia la pericolosità, se non, velatamente, l’illegalità, del comportamento dello stesso Trump.

Il segretario uscente ha affermato che la sua “coscienza” non gli consente di “obbedire a un ordine” che, a suo dire, “viola il sacro giuramento… di rispettare e difendere la Costituzione degli Stati Uniti”. L’accusa indiretta al presidente americano di avere agito in violazione della Costituzione rappresenta un attacco gravissimo da parte di uno dei massimi esponenti dei vertici militari contro il più alto ufficio civile del paese, a cui i primi dovrebbero evidentemente sottostare.

Da questo punto di vista, la vicenda rappresenta l’ennesima conferma di come il principio del controllo civile sull’apparato militare negli USA sia ormai estremamente logoro sotto la spinta di ripetute avventure belliche negli ultimi due decenni, svincolate dal controllo e dall’approvazione dell’autorità civile. L’altro aspetto di rilievo, come accennato all’inizio, è l’aggravarsi dei segnali di conflitto tra l’amministrazione Trump e determinate fazioni dei poteri forti, in questo caso quella rappresentata dai militari.

Lo scontro attorno alla sorte dei “Navy SEAL” responsabili di crimini di guerra è esploso a causa del tentativo, da parte della Casa Bianca e degli alti ufficiali delle forze armate americane, di utilizzare il caso per ragioni differenti. La concessione della grazia è un altro modo per Trump di stimolare gli istinti retrogradi della sua base ultra-reazionaria nel paese e all’interno della classe dirigente, inclusi gli stessi ambienti militari, in vista delle presidenziali del 2020 e in risposta al procedimento di impeachment in atto al Congresso.

La strumentalizzazione politica del caso Gallagher è confermata anche dagli intrecci tra lo stesso membro delle forze speciali, nonché criminale di guerra condannato, e alcuni ambienti legali e dei media di estrema destra vicini allo stesso presidente. La decisione di Trump sarebbe stata consigliata da un ex ufficiale dell’esercito che conduce un programma per il network FoxNews e condivide l’avvocato di Gallagher. Un secondo legale di quest’ultimo lavora inoltre per la “Trump Organization” e un altro ancora è stato uno stretto collaboratore di Rudy Giuliani, ex sindaco di New York e attualmente avvocato personale del presidente.

Dal punto di vista dei militari, l’apparente durezza mostrata nei confronti dei soldati incriminati e condannati serve invece a mostrare un’intransigenza che torna utile a vendere all’opinione pubblica un’immagine di forze armate che garantiscono disciplina e procedure “democratiche”. Questa illusione, messa in pericolo da Trump, è necessaria per giustificare aggressioni militari, operazioni su scala sempre più vasta in ogni angolo nel pianeta e, in definitiva, crimini di guerra di gran lunga più gravi di quelli commessi individualmente dai singoli soldati americani.

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