La tendenza alla guerra appare sempre più irrefrenabile, principalmente per effetto del declino della potenza statunitense che, sempre più in crisi da vari punti di vista, economicamente indebolita, socialmente disgregata, culturalmente devastata, cerca rifugio nel terreno militare, l’unico nel quale continui a mantenere una certa, seppure sempre più relativa, superiorità.

L’assassinio del generale Suleimani costituisce senza dubbio una manifestazione di questa tendenza, ed al tempo stesso una violazione evidente del diritto internazionale, un atto di terrorismo di Stato e un crimine gravissimo contro la pace.

 

Sono sempre più frequenti e insistenti le voci secondo le quali il presidente statunitense Trump sarebbe affetto da varie forme di follia. E’ nota del resto la lettera di trentacinque luminari della psichiatria statunitense secondo i quali  la personalità di Trump presenta tratti molto inquietanti quali l’“incapacità di gestire la sua rabbia, di tollerare visioni diverse dalla sua e una instabilità emotiva che lo rendono inadatto a fare il Presidente”.

Purtroppo i destini degli Stati Uniti e del mondo sono in mano a una personalità malata, che sta destabilizzando la pace e minando il futuro stesso del Pianeta, anche con le sue famigerate posizioni negazioniste del cambiamento climatico. Non sarebbe del resto la prima volta che ai vertici del potere mondiale si trovano personaggi affetti da sindrome psichiatriche varie, basti ricordare Adolf Hitler, che con Trump ha più di un tratto psicologico in comune, oltre all’origine tedesca.

Bisogna però riconoscere che c’è del metodo in questa follia, condivisa del resto anche da altri personaggi della sua amministrazione, primo fra tutti il Segretario di Stato Mike Pompeo.

Gli obiettivi che Trump intende perseguire mediante la sua strategia apparentemente sgangherata sono abbastanza evidenti. In primo luogo evitare l’impeachment e rilanciare forme di patriottismo imperialista ed aggressivo per dare maggiore respiro alla sua campagna elettorale, coinvolgendo anche determinati settori del Partito repubblicano che appaiono estremamente freddi nei suoi confronti.

In secondo luogo, rilanciare il caos nella zona medio-orientale, nell’illusione che la destabilizzazione della stessa giovi in ultima analisi agli Stati Uniti e ai loro più stretti alleati, soprattutto Israele ed Arabia Saudita. Certo, non si può dire che la strategia del caos sia un’invenzione di Trump, ma mai, neanche ai tempi di Bush junior, essa aveva assunto tratti così evidenti. L’obiettivo è quello di rilanciare l’ISIS, oggi in crisi, e per farlo liquidare coloro che si sono opposti sul terreno alla sua espansione, e cioè da un lato le forze kurde siriane e dall’altro lo stesso Suleimani. Il rischio da scongiurare ad ogni costo, per Trump, come per Netanyahu e l’altro serial killer a capo dell’Arabia Saudita, è quello della pace. Su questo obiettivo converge anche Erdogan, anch’egli affetto da seri problemi di stabilità politica e che condivide con Trump la scelta della guerra per evitare di affrontare i problemi interni, espandendosi pericolosamente in Libia dove pare aver ottenuto la luce verde da Washington.

Sconfortante, data la drammaticità del quadro, l’incapacità dell’Unione europea, ma soprattutto del governo italiano, di prendere posizione in modo efficace in questo quadro di estrema tensione e pericolosità. I principali partiti politici italiani, dal PD alla Lega, passando per i Cinquestelle e Forza Italia, si schierano in sostanza al fianco di Trump rifiutandosi di mettere minimamente in discussione non solo la NATO in quanto tale, ma anche il ruolo delle cinquantanove basi NATO e statunitensi presenti sul territorio nazionale e i contingenti che operano al fianco delle forze di Washington in vari teatri di guerra, a cominciare da Iraq e Afghanistan. Con “Giuseppi”, Renzi, Salvini e Zingaretti in testa, i personaggi del teatrino politico italiano dimostrano di essere anche e soprattutto delle marionette e ribadiscono una fra le peggiori tradizioni nazionali, quella di cui alla “serva Italia di dolore ostello” di dantesca memoria.

Un quadro di subalternità politica e culturale deprimente fortemente agevolato dalla pessima stampa, con l’eccezione di Alberto Negri e pochi altri. Basti citare un penoso articolo di Repubblica di ieri dove un anonimo redattore evidentemente a digiuno delle più elementari nozioni del diritto internazionale cercava di inventarsi, letteralmente, le possibili motivazioni “legali” dell’assassinio.

Queste non esistono da nessun punto di vista. Si è trattato come si diceva di un atto di terrorismo di Stato. E certamente sapere che un terrorista psichicamente squilibrato è a capo dello Stato dotato del principale arsenale militare convenzionale e nucleare esistente sulla faccia della Terra, non è affatto tranquillizzante.

Fabio Marcelli, dirigente di ricerca dell’Istituto di studi giuridici internazionali del CNR. Giuristi democratici

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