Invece di combattere per gli inglesi, Boris Johnson ha deciso di abbandonarli al coronavirus. “Moriranno molti dei nostri cari”, ha detto la settimana scorsa in conferenza stampa. Parole drammatiche, a cui però non ha fatto seguito l’annuncio di misure per restringere il contagio e limitare i decessi.

Il motivo? Tutto nasce da una teoria di Sir Patrick Vallance, consigliere scientifico del primo ministro britannico. L’idea è di un cinismo senza precedenti: secondo il Baronetto, quando il 60% dei cittadini avrà contratto il coronavirus, il Paese svilupperà un’immunità di gregge che limiterà i danni nel lungo periodo. Vallance ritiene inoltre che contenere l’epidemia sia impossibile, perciò tanto vale arrendersi in partenza e lasciare che la malattia faccia il suo corso, sterminando centinaia di migliaia di inglesi.

 

Risultato: a parte il rinvio delle elezioni amministrative, la sospensione del campionato di calcio e lo slittamento della partita di rugby fra Inghilterra e Galles, il Paese resta aperto. Aperte le scuole, aperti i collegamenti internazionali, aperti bar, ristoranti, pub e negozi. Chiunque può andare dove vuole. In sostanza, l’esatto contrario di quello che stanno facendo tutti gli altri governi europei (chi più, chi meno).

Nel fine settimana è arrivata poi la notizia di una “fase due”, anticipata dal giornalista Robert Peston e poi confermata dal ministro della Salute, Matt Hancock. La novità è clamorosa: il governo si appresta a mettere in quarantena per un massimo di quattro mesi tutti i britannici con più di 70 anni, anche quelli che non presentano alcun sintomo di coronavirus. Forse arriveranno anche misure analoghe a quelle prese in altri Paesi, come la chiusura di scuole, pub e ristoranti.

Sembra un cambio di rotta, un rigurgito d’umanità, ma non è così. L’obiettivo è ritardare il picco dei contagi all’estate per alleggerire la pressione sul sistema sanitario, massacrato a suon di tagli dagli stessi Conservatori, che da anni puntano alla completa privatizzazione del welfare.

La strategia di fondo però rimane la stessa, ossia lasciare che il 60% della popolazione s’infetti per arrivare a una fantomatica immunità di gregge. Il progetto è già stato sommerso dalle critiche: da quelle di Richard Horton, direttore della prestigiosa rivista scientifica The Lancet, a quelle dell’ex ministro della sanità Jeremy Hunt, passando per una lettera aperta firmata da 200 scienziati britannici.

Ma quali sono i punti più controversi della teoria di Vallance? Innanzitutto, si basa sul presupposto che il nuovo coronavirus diventerà stagionale e si ripresenterà quindi una volta all’anno, come l’influenza. Questo assunto presenta giù due problemi. Primo, nessuno oggi può avere la certezza che il coronavirus diventerà stagionale: potrebbe anche rimanere endemico o scomparire. Secondo, se davvero fosse un virus stagionale, potrebbe comportarsi proprio come quello dell’influenza, che muta in continuazione e ci costringe a un vaccino diverso ogni anno.

Molti medici sottolineano poi che la soglia del 60% di contagiati non ha nulla a che vedere con l’immunità di gregge. Si tratta piuttosto del punto in cui – in presenza di un virus impossibile da fermare – un’epidemia inizia a rallentare.

La vera immunità di gregge prevede una soglia molto più alta (95%), da raggiungere solo con l’utilizzo dei vaccini e non lasciando che l’epidemia divampi. Peraltro, al momento non siamo nemmeno sicuri che chi ha è guarito dal Covid 19 non possa infettarsi di nuovo. Se lo stesso soggetto potesse contagiarsi più volte, la teoria di Vallance sarebbe completamente da buttare.

Ma anche se il consulente di Johnson avesse ragione, è impossibile non pensare con orrore al costo in vite umane. I britannici sono 67 milioni e il 60% fa circa 40 milioni. Il coronavirus ha un tasso di mortalità variabile dall’1 al 6%, per cui il numero di morti dovrebbe oscillare fra 400mila e due milioni e 400mila. Un’ecatombe. E anche, probabilmente, un crimine contro l’umanità. 

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