di Elena Ferrara

Come singoli, forse, si può essere cinicamente favorevoli, contrari o indifferenti. Ma un dato è invece certo: lo Stato non può consentire di decidere le sorti di una persona. Si dice: tertium non datur. E così l’uso della “pena di morte” diviene il punto centrale, nodale, della civiltà umana. Ma ora l’Onu con tutta la sua forza ed autorevolezza che interviene nel dibattito prendendo una posizione netta: un “no”. Questa dichiarazione di civiltà acquista ora una dimensione planetaria grazie al fatto che a Parigi si è riunito un “Congresso mondiale contro la Pena di morte”, che ha adottato una dichiarazione che, per la prima volta nella storia del movimento abolizionista, contiene l'unanime riconoscimento dell'importanza di una moratoria universale. E così dopo aver reiterato la richiesta a tutti i Paesi di abolire la pena di morte e di fermare tutte le esecuzioni, il Congresso, "riconoscendo il grande valore che avrebbe per l'abolizione della pena di morte nel mondo il successo di una risoluzione dell'assemblea generale, invita i Paesi membri delle Nazioni Unite a fare tutto quanto è loro possibile per assicurare l'approvazione di una risoluzione che chieda una moratoria immediata e universale delle condanne a morte e delle esecuzioni in vista dell'abolizione universale". Si è, quindi, al giro di boa dell’intera vicenda anche per il fatto che la partita tra abolizionisti e mantenitori ha, nel tempo, cambiato campo di gioco. Con gli abolizionisti che per scongiurare un inutile scontro frontale, hanno cercato altre vie; limitando il più possibile l'applicazione della pena di morte agendo dall'esterno, pur nel rispetto delle singole autorità statali, attraverso delle efficaci barriere soggettive (sulle persone imputabili), oggettive (sui reati commessi) e procedurali (garanzie sul corretto procedimento e divieto di punizioni crudeli e inusuali).
Ebbene, proprio in conseguenza di questo nuovo clima e della relativa comprensione planetaria, sono già aumentati anche i paesi firmatari della Dichiarazione contro la pena di morte: da 85 sono passati ad 87 con l'adesione recente della Kirghisia, della Namibia e sono in arrivo altre firme come ad esempio quelle dell'Azerbaijan, del Gabon, del Mozambico.... Ed entro questo mese di febbraio l’Unione Europea si è data l'obiettivo di far aumentare le adesioni per giungere a quota 97, cifra che rappresenterà la maggioranza assoluta dei paesi membri dell'ONU. Intanto due sono le adesioni di rilievo al “no”. Vengono da paesi estremamente diversi quanto a collocazione geografica e politica. Due aree lontane. La Kirghisia, ad esempio, che adotta una nuova Costituzione (il 16 gennaio 2007) stabilendo, all’art.14, che “Nella Repubblica la vita è diritto inalienabile di ogni persona” e che “Nessuno può essere privato della vita”. Ed è sulla base di questo nuovo dettato costituzionale che il Parlamento di questa repubblica sta ora lavorando a modifiche del codice penale che prevedano la sostituzione della pena di morte con lunghe pene carcerarie.

Altro “no” recente è quello che viene dall’Assemblea nazionale francese che ha deciso (all’unanimità) di eliminare la pena di morte dalla Costituzione: “Nessuno può essere condannato alla pena di morte” è detto nell'articolo che revisiona un capitolo della Costituzione. Si va così affermando sempre più quel concetto che deve portare la Comunità internazionale ad istituire una moratoria universale delle esecuzioni, in vista, appunto, della completa abolizione della pena di morte. Tutto questo perché dopo l’abolizione della schiavitù e l’interdizione della tortura, il diritto a non essere uccisi a seguito di una misura giudiziaria può essere un altro comune denominatore, una nuova e irriducibile dimensione dell’essere umano che fa di tutti noi un’unica comunità. E non è un caso se queste affermazioni – già contenute in un appello all’Onu – portano firme di valore mondiale, di personaggi che hanno segnato e segnano le vicende della vita attuale. Si sono pronunciati per il “no” il Dalai Lama e Gorbaciov, Nadine Gordimer e Dario Fo, Rita Levi Montalcini e Rigoberta Menchu, Isabel Allende e Bernardo Bertolucci, Norberto Bobbio e Noam Chomsky, Umberto Eco e David Grossman, Luis Sepulveda e Gore Vidal…

Per restare in Italia, ricordiamoci che il primo Stato ad abolire la pena di morte fu il “nostro” Granducato di Toscana che nel novembre del 1786 eliminò la tortura e la pena capitale. Oggi, nell’arena della morte decisa a livello “statale”, dominano due grandi paesi: la Cina che la applica come sanzione prevista dal codice penale e gli Usa che, per ora, l’applicano in vari stati federali. Ed è chiaro che per un’esatta “comprensione” della dignità e dei diritti della persona - primo fra tutti il diritto alla vita – la lotta, come si dice, continua.


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