Gli eventi dei giorni scorsi in Michigan e l’insistenza del presidente Trump sul rischio di una trasformazione degli Stati Uniti in una sorta di inferno socialista, in caso di vittoria di Joe Biden, continuano a tenere alta la temperatura elettorale oltreoceano a ormai appena tre settimane dal voto. Particolarmente preoccupante è stata la notizia del tentativo di organizzare il rapimento e l’esecuzione della governatrice democratica del Michigan, Gretchen Whitmer, da parte di un gruppo di estremisti di destra, quanto meno incoraggiati dalla retorica avvelenata dell’inquilino della Casa Bianca.

 

Questo complotto, intercettato e reso pubblico dall’FBI giovedì scorso, si inserisce in un clima pre-elettorale segnato dalle manovre di Trump per delegittimare il processo elettorale e preparare il terreno a un possibile colpo di mano nell’eventualità di una sconfitta o di un esito incerto del voto. Uno degli elementi chiave di questa strategia sembra essere appunto la mobilitazione di milizie e organizzazioni “suprematiste” o comunque della galassia dell’ultra-destra americana, in modo da seminare il caos e soffocare le proteste popolari che scoppierebbero in risposa al tentativo di Trump di restare alla Casa Bianca.

Dalle carte che hanno accompagnato l’incriminazione di 13 persone per l’operazione che stava per essere messa in atto nello stato del Michigan risulta che l’obiettivo iniziale era non solo di rapire la governatrice Whitmer e sottoporla a un processo per “tradimento”, ma anche l’occupazione della sede del Congresso statale nella capitale, Lansing, grazie all’impiego di 200 uomini. L’impresa era stata poi abbandonata per le difficoltà che essa implicava. Gli ideatori della congiura avevano così deciso di concentrarsi sulla governatrice, prelevandola dall’abitazione in cui trascorre le vacanze per poi trasportarla con un’imbarcazione in una località del Wisconsin, dove sarebbe stata con ogni probabilità uccisa.

Gretchen Whitmer è al centro delle invettive dell’estrema destra e dello stesso presidente Trump almeno dalla primavera scorsa, quando il Michigan decise la chiusura delle attività economiche e commerciali per frenare la diffusione del Coronavirus. Proprio Trump aveva rivolto vari tweet molto duri contro la governatrice di questo stato e in un’occasione era sembrato indirizzarsi direttamente alle milizie di estrema destra, esortando la “liberazione” del Michigan.

Di alcuni degli individui incriminati settimana scorsa per il progettato rapimento della Whitmer esiste d’altra parte la prova della loro presenza a manifestazioni anti-lockdown durante l’estate. In Michigan, queste proteste avevano raggiunto livelli a dir poco inquietanti, fino a far registrare, alla fine di aprile, l’irruzione di dimostranti armati nella sede del parlamento statale.

Precisamente questi ambienti sono il principale punto di riferimento delle manovre di Trump, assieme ad alcune sezioni delle forze armate e di polizia USA. Gruppi neo-fascisti, anarco-fascisti, ultra-nazionalisti e suprematisti bianchi, quasi sempre armati, hanno infatti partecipato in molti casi alle manifestazioni degli ultimi mesi, spesso incoraggiati e appoggiati da Trump, con l’intenzione di contrastare quanti si battevano contro la brutalità della polizia americana.

Scontri armati con morti e feriti sono stati talvolta il risultato dell’intervento di queste organizzazioni, i cui membri risultano essere quasi sempre sostenitori dell’attuale presidente. Trump, da parte sua, ha lanciato messaggi di approvazione per il loro operato e, ad esempio, nel corso del finora unico dibattito televisivo con Biden si era rifiutato di condannare uno di questi gruppi, finendo anzi per trasformare il suo intervento in un invito a suoi membri a tenersi pronti per combattere contro gruppi e formazioni di sinistra.

Non è inoltre da escludere che il complotto del Michigan abbia qualche collegamento con la Casa Bianca o, quanto meno, con ambienti legati al presidente. Indagini giornalistiche dei mesi scorsi avevano ad esempio documentato il contributo a organizzazioni mobilitatesi contro le misure di lockdown in vari stati da parte di entità riconducibili a finanziatori e consiglieri vicini a Trump o a membri della sua amministrazione.

Lo stesso presidente, subito dopo che era circolata la notizia dell’arresto dei 13 individui accusati di voler rapire Gretchen Whitmer, era intervenuto sulla vicenda non per esprimerle la sua solidarietà o per condannare gli estremisti di destra, bensì per attaccare nuovamente la governatrice del Michigan. Trump ha scritto domenica a questo proposito su Twitter che la Whitmer non ha fatto che “lamentarsi” e “piangere” per la minaccia emersa nei suoi confronti.

Che Trump non intenda abbassare i toni, ma punti piuttosto ad alimentare ancora di più il clima tossico attuale è confermato anche dal discorso che ha tenuto sabato dalla Casa Bianca, vale a dire pochi giorni dopo la diagnosi di positività al Coronavirus. Ancora una volta gli attacchi più duri sono stati contro i presunti “socialisti” e “comunisti” che – assurdamente – sarebbero pronti a impadronirsi degli Stati Uniti in caso di vittoria di Joe Biden e della candidata democratica alla presidenza, Kamala Harris.

I responsabili della campagna elettorale di Trump hanno poi fatto sapere che comizi con personalità di spicco, come il figlio del presidente, Eric, e il vice-presidente, Mike Pence, si terranno nei prossimi giorni proprio in Michigan. Queste iniziative, assieme alle uscite di Trump, sono un altro segnale del sostanziale appoggio della Casa Bianca alla galassia di estrema destra americana, particolarmente attiva in Michigan, stato oltretutto tra quelli decisivi per l’elezione del prossimo presidente.

Lo spettro di una possibile iniziativa anti-democratica di Trump alla chiusura delle urne appare dunque molto concreto, anche se i media “liberal” e il Partito Democratico continuano a minimizzare il rischio. Una conferma del pericolo e del possibile caos che potrebbe esplodere negli Stati Uniti dopo il voto del 3 novembre è però arrivata in questi giorni, anche se da una fonte non americana.

L’agenzia di stampa Reuters ha cioè rivelato l’esistenza di un piano, redatto dal governo canadese, per far fronte a uno scenario post-elettorale caratterizzato da disordini e situazioni destabilizzanti oltre il confine meridionale. Ottawa, addirittura, avrebbe già discusso con gli altri governi dei paesi del G-7 per prendere “iniziative in risposta ai risultati delle elezioni” negli USA, prevedendo chiaramente circostanze tutt’altro che normali, soprattutto se il voto dovesse favorire i democratici.

Le ansie del Canada riguardano in particolare una potenziale interruzione dei traffici commerciali con gli Stati Uniti, provocata in primo luogo da un eventuale stato di emergenza che porterebbe alla chiusura dei confini, come accadde all’indomani dell’11 settembre 2001, ma anche da una mobilitazione e da scioperi dei lavoratori americani in segno di protesta contro un possibile colpo di mano di Trump.

Se i leader canadesi, a cominciare dal primo ministro Justin Trudeau, sono comprensibilmente riluttanti a discutere delle misure che potrebbero essere adottate, è innegabile che la sola esistenza di un piano specifico per far fronte alla confusione che rischia di scoppiare negli USA è la dimostrazione del pericolo incombente su Washington.

Per quanto riguarda Biden e i democratici, però, non c’è da aspettarsi un invito alla mobilitazione degli americani che, come dimostrano i sondaggi, sono in grande maggioranza ostili a Trump. Al contrario, se quest’ultimo dovesse cercare di mettere in atto un qualche piano eversivo per restare alla presidenza anche in caso di sconfitta, tutto ciò che il Partito Democratico sarà in grado di fare è appellarsi a esercito e servizi di intelligence per costringere il presidente repubblicano a farsi da parte. Dopotutto, questi ultimi sono i reali riferimento politici dei democratici, i quali temono molto di più un movimento popolare dal basso che una spallata autoritaria dell’occupante della Casa Bianca.

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