Donald Trump è stato escluso a tempo indeterminato da Twitter (così influente nella sua candidatura e per tutto il suo mandato) e da Facebook. La cosa in sé non fa perdere il sonno a nessuno: chi ha chiamato i latino-americani "sterco", ha promosso colpi di stato, ha strappato i figli di migranti alle madri e li ha chiusi in gabbia, non può ottenere alcuna simpatia o comprensione. Semmai diverte la nemesi che colpisce chi ha voluto censurare Tik Tok e colpire Huawei per diventare ora uno che rischia di dover comunicare a voce.

Le decisioni di Twitter e Facebook sembrano legate all’assalto a Capitol Hill dei suoi seguaci e, ancor di più, al suo rifiuto di riconoscere i risultati elettorali, inserendo per la prima volta gli USA nella classifica degli stati con un sistema elettorale dubbio, sottoponendoli allo scetticismo internazionale e mettendo in crisi la presunta superiorità del sistema. Poco a che vedere con la mancanza di rispetto per la legalità e ancor meno con il rispetto della sovranità.

 

A ben vedere, infatti, questa improvvisa impennata di responsabilità democratica da parte di Zukemberg è quanto meno strana, visto che Facebook si è prestato con entusiasmo a tutti i colpi di stato promossi dagli Stati Uniti negli ultimi anni. Dalle cosiddette "primavere arabe" all'Ucraina e alla Georgia, dal tentato colpo di stato in Nicaragua a quello riuscito in Bolivia, per finire con la Bielorussia, Facebook è stato uno strumento decisivo del golpismo e Zukemberg non si è mai posto il problema dell'uso che ne hanno fatto i suoi utenti.

In Nicaragua, per esempio, su Facebook si vendevano menzogne e morte, i golpisti pubblicavano i video in cui torturavano e uccidevano sandinisti e poliziotti. Zukemberg non ritenne necessario bloccare i troll che si trovavano in Cile e Costa Rica, né gli utenti golpisti che hanno usato le loro pagine per indicare gli obiettivi da raggiungere agli "studenti pacifici". Evidentemente, per i social media USA ci sono colpi di stato che sono accettabili e altri che non lo sono.

Lasciamo da parte, per ora, il ruolo dei giganti della Rete ma, pur tuttavia, l'utilità delle sanzioni contro l'ormai ex presidente offre l'opportunità di sollevare la questione dell'uso e dell'abuso di uno strumento divenuto insostituibile per miliardi di persone. Infatti, la censura dei social media viene applicata quotidianamente a migliaia e migliaia di utenti che non incitano all'attacco in Campidoglio. È sufficiente pubblicare foto o testi che contrastano gli interessi degli Stati Uniti per rischiare sanzioni sui social media.

Ci si può indignare per la censura a Trump, o è meglio guardare molto più in profondità, cioè alla censura di chi non ha né il potere politico e mediatico, né le risorse economiche, né la capacità di persuasione di un presidente degli Stati Uniti, ma è cancellato dalla mera incompatibilità politica con i social media? Dire che gli Stati Uniti promuovono colpi di stato o istigare un assalto al Congresso degli Stati Uniti non è la stessa cosa e non può generare la stessa sanzione. Nel primo caso si tratta di un'opinione abbondantemente provata, nel secondo caso di istigazione al crimine. Eppure ambedue le espressioni sono state censurate.

Ci sono due aree che nessuno può unificare. Quando un utente viene censurato per aver diffuso l'orrore (dalla pornografia infantile al linguaggio dell'odio, dall'incitamento alla violenza alle minacce, alla diffamazione, alla violazione della privacy è giusto censurare ed intervenire con il rigore delle leggi. Questo in nome dell'incompatibilità tra le loro pubblicazioni e il codice penale, civile e persino etico che governa le nostre organizzazioni sociali. Molto meno corretto, invece, è essere censurato per aver espresso opinioni politiche che non coincidono con la società che possiede il mezzo.

È fuorviante ridurre o esaltare i problemi rendendoli molto seri o irrilevanti a seconda del profilo di chi è vittima dell'intervento. È piuttosto utile rendersi conto di come le libertà costituzionali, così come quelle espresse dall'ordinamento giuridico e dalla legge, possano essere silenziosamente aggirate dall'amministratore delegato di una società. Ciò è particolarmente grave se si considera che i media non sono un dettaglio insignificante, un elemento secondario della nostra presenza in una società di massa.

Il problema c'è ed è bene non distrarsi. Un'azienda privata decide, abusando del suo potere, di censurare, nascondere, alterare o limitare il diritto di espressione dei suoi utenti, come se questi fossero una loro proprietà di cui disporre a piacimento.

Si può sostenere che, essendo società private e non pubbliche, non ci sono obblighi da rispettare, che abbiano un proprio codice di condotta che ogni utente, al momento della registrazione, accetta e che quindi, violandolo, si incorrerà in una sanzione. Ma anche qui c’è un problema: la sanzione è un diritto esclusivo di chi possiede il mezzo e l’applicazione e l'entità della sanzione dipendono dal giudizio insindacabile del sanzionatore, non c'è possibilità di opporsi o di rispondere ad essa, né di essere risarciti per i danni eventualmente subiti dall'oscuramento ordinato. La questione è chi stabilisce se è stata violata e quali possibilità ci sono per la parte sanzionata di rispondere.

Si obietterà che se non si vuole riconoscere questo potere ci si può facilmente sfilare, abbandonando i social media; ma, fuori da ogni ipocrisia, bisogna riconoscere come l'uso dei media, per l'interconnessione globale che attraversa le nostre società di massa, sia ormai un elemento indispensabile per la riproduzione sociale di ciascuno di noi. Non c’è solo la già fondamentale libertà di comunicare, si pensi anche alle applicazioni professionali, alla definizione della propria funzione, alla possibilità di esprimere i propri valori senza dover dipendere dai media ufficiali. I quali, molto prima e ancor più di Facebook o Twitter o Instagram o Wathsapp, censurano, nascondono e mentono per difendere gli interessi degli editori determinando la "formazione" a loro utile invece di diffondere le informazioni reali.

Come i media classici, i grandi social media rappresentano un potere immenso, poiché gestiscono oltre il 90% della comunicazione globale tra individui e gruppi: la loro gestione, piegata alla volontà politica dei loro proprietari, oltre a salvaguardare esclusivamente i rispettivi interessi, crea una dipendenza del discorso pubblico dall'interesse privato.

Quando si è in presenza di libertà assoluta e discrezionale, avviene il trionfo definitivo del capitalismo neoliberista, che vede la sovranità delle corporazioni come superiore a quella delle società, il primus inter pares del profitto sull'accesso ai diritti universali, il tribunale del Grande Fratello che si erge e sostituisce il giudice legittimo. Non è più il Parlamento di un Paese che detta le leggi che regolano le libertà e i divieti, i poteri o gli impedimenti, i diritti e i doveri della nazione che lo elegge. C’é un CEO di una società a stabilire gli standard e la condotta da seguire.

La minaccia è diretta alla democrazia. La cui prima regola di funzionamento è quella di garantire l'equilibrio tra i poteri e i loro contropoteri. Nella produzione della comunicazione e della conoscenza, indipendentemente dalla qualità del prodotto, il controllo sul mercato della circolazione delle idee viene esercitato come mai prima d'ora nella storia dell'umanità. Per questo motivo le grandi società di comunicazione e le loro strutture di supporto devono essere soggette a una qualche forma di controllo pubblico, che è l'unica garanzia di limitare la loro discrezionalità.

Una struttura così importante non può vivere senza gli strumenti pubblici di controllo e devono essere le autorità pubbliche nazionali ad avere gli strumenti di controllo e di vigilanza per garantire che siano utilizzati in modo legale, equo e il più neutrale possibile.

È legittimo aprire società per realizzare profitti; non è legittimo realizzare profitti per controllare e sostituire il potere politico e governare la società. Eleggere ed essere eletti continua ad essere l’unica forma accettabile di delega nelle società democratiche: pensare di porsi al di sopra di essa apre la strada al governo del censo, al dominio tecnocrate, al pensiero unico che si fa norma, non più solo consuetudine. Ristabilire il primato tra la Società e le società appare tema di straordinaria attualità.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy