La guerra scatenata dall’Arabia Saudita e dai suoi alleati contro lo Yemen ha già provocato la peggiore catastrofe umanitaria del pianeta, ma le recenti decisioni prese dal governo americano uscente potrebbero rendere a breve ancora più tragica la situazione nel paese della penisola arabica. Con una decisione riconducibile alla strategia di “massima pressione” contro l’Iran, il dipartimento di Stato USA ha aggiunto questa settimana alla propria lista delle organizzazioni terroristiche i “ribelli” Houthi sciiti che controllano buona parte del territorio yemenita, mettendo in serio pericolo il flusso di aiuti destinati a una popolazione da tempo allo stremo.

 

Il provvedimento è stato annunciato lunedì ed entrerà in vigore il prossimo 19 gennaio, cioè il giorno prima dell’insediamento di Joe Biden alla Casa Bianca. La designazione degli Houthi, noti ufficialmente col nome di Ansar Allah, era allo studio da mesi a Washington, anche se le organizzazioni umanitarie e buona parte dello stesso Congresso americano avevano chiesto all’amministrazione Trump di astenersi da un’iniziativa di questo genere.

Gli Houthi, che hanno legami difficilmente definibili con l’Iran, sono dal 2014 la principale forza politica e militare dello Yemen, dopo che in quell’anno avevano rovesciato il governo fantoccio di Stati Uniti e Arabia Saudita guidato dal presidente Abd Rabbuh Mansur Hadi, oggi in esilio a Riyadh. Per tutta risposta, il regime saudita aveva messo assieme una coalizione di paesi sunniti, appoggiati per quanto riguarda le forniture logistiche e di armamenti soprattutto da USA e Regno Unito, per scatenare nel 2015 una sanguinosa guerra di aggressione con l’obiettivo di reinsediare Hadi e impedire all’Iran di allargare la propria influenza nello Yemen.

Nonostante la sproporzione teorica delle forze in campo, gli Houthi continuano a resistere e controllano oggi una parte considerevole del paese, inclusa la capitale Sana’a. Essendo questa milizia/partito il governo di fatto in un’area dove vive la maggioranza della popolazione yemenita, milioni di persone ricevono beni di primissima necessità dagli organi dello stato controllati dagli stessi Houthi. Nel caso questi ultimi e la loro amministrazione fossero bollati come terroristi, qualsiasi interazione tra di essi e i gruppi umanitari, ma anche con compagnie private e banche, sarebbe a rischio di sanzioni da parte degli Stati Uniti.

Se si pensa che già prima dell’aggiunta degli Houthi alla lista nera del dipartimento di Stato le Nazioni Unite avevano avvertito che circa l’80% della popolazione yemenita, vale a dire più di 24 milioni di persone, era dipendente dagli aiuti alimentari, è facile immaginare ciò che potrà accadere nel caso di un’ulteriore stretta. La crisi che interessa questo paese è difficile da sovrastimare. Più di cinque anni di guerra hanno distrutto gran parte delle infrastrutture civili, degli ospedali e del già fragile tessuto industriale.

Sul fronte sanitario la definizione di “catastrofe” rende a malapena l’idea della realtà dello Yemen. Prima dell’arrivo del Coronavirus, svariate altre epidemie avevano fatto più morti anche delle bombe saudite, compresa la diffusione del colera in misura mai vista in epoca moderna. Decine o forse centinaia di migliaia sono i morti per malnutrizione, con un’incidenza drammatica soprattutto per i bambini al di sotto dei cinque anni.

Gli scenari che si prospettano devono essere valutati anche tenendo presente che già nel corso del 2020 si è verificata una notevole riduzione degli aiuti internazionali destinati allo Yemen. Per colmo di beffa, sono stati proprio gli Stati Uniti a provocare un arretramento a cascata dei donatori dopo che nel marzo del 2020 l’amministrazione Trump aveva sospeso 73 milioni di dollari in aiuti. Washington aveva accusato gli Houthi di dirottare il denaro stanziato per motivi umanitari e la mossa americana era stata seguita da altri governi occidentali, causando una grave carenza di fondi per assistere la popolazione yemenita.

L’ultima iniziativa annunciata dal segretario di Stato americano Pompeo minaccia così di mettere fuori legge gli operatori umanitari nel paese arabo in guerra. Questi ultimi dovranno scegliere se rischiare di essere perseguiti dalla giustizia USA o sospendere le loro attività, da cui dipende la sopravvivenza stessa di milioni di yemeniti. Secondo il responsabile delle operazioni umanitarie dell’ONU, Mark Lowcock, già le sole voci sulla possibile designazione degli Houthi come terroristi avevano generato gravi preoccupazioni tra gli operatori attivi in Yemen, tanto che nel mese di novembre le forniture di cibo erano diminuite del 25%.

Quello deciso questa settimana dall’amministrazione americana uscente è dunque, nelle parole del presidente della ONG International Rescue Committee, David Miliband, un “atto di puro vandalismo diplomatico”. Pompeo, oltretutto, ha ammesso che ci potrebbero essere conseguenze disastrose per lo Yemen, ma a prevalere è la volontà, da un lato, di punire i “ribelli” Houthi e una popolazione che resiste all’aggressione saudita-americana e, dall’altro, di intensificare le pressioni sull’Iran. Inoltre, come tutte le misure prese in relazione alla Repubblica Islamica nelle settimane seguite alle presidenziali, Pompeo e Trump intendono fare quanto ancora in loro potere per legare le mani alla nuova amministrazione democratica, visto che Biden si era impegnato a riaprire un qualche negoziato diplomatico con Teheran.

Le parole di Pompeo toccano comunque livelli di cinismo difficili da eguagliare anche per gli standard americani. Il segretario di Stato USA ha spiegato che l’aggiunta degli Houthi all’elenco delle organizzazioni terroristiche serve a “promuovere gli sforzi per fare dello Yemen un paese in pace, sovrano e unificato, libero dall’influenza iraniana e in pace con i propri vicini”. Questo obiettivo dovrebbe quindi essere ottenuto facendo letteralmente morire di fame milioni di yemeniti, senza considerare poi che le responsabilità maggiori per la distruzione del paese ricadono proprio sugli Stati Uniti, che continuano ad assicurare assistenza logistica e un flusso ininterrotto di armi all’Arabia Saudita per condurre una guerra criminale.

Anche volendo poi considerare il merito delle accuse di terrorismo rivolte ad Ansar Allah, le tesi sostenute da Pompeo non hanno alcun fondamento. Per cominciare, gli Houthi hanno spesso combattuto efficacemente i terroristi affiliati ad Al-Qaeda in Yemen (AQAP), mentre USA e Arabia Saudita si sono ritrovati a combattere dalla stessa parte di questi ultimi, favorendone direttamente o indirettamente l’avanzata in alcune parti del paese. Le ragioni più immediate del provvedimento sarebbero poi da ricercare in una serie di azioni condotte dagli Houthi soprattutto negli ultimi mesi e che hanno colpito depositi petroliferi in territorio saudita. Washington e Riyadh attribuiscono poi agli stessi “ribelli” sciiti un attacco avvenuto lo scorso 30 dicembre contro l’aeroporto di Aden, la seconda città dello Yemen, uccidendo 27 persone.

Il bombardamento era coinciso con l’arrivo di esponenti del governo a cui partecipano le fazioni appoggiate dall’Arabia Saudita e quelle separatiste dello Yemen meridionale sponsorizzate dagli Emirati Arabi Uniti. Le due parti sono coinvolte a loro volta in un violento conflitto e non è da escludere che il blitz di fine anno contro l’aeroporto di Aden sia opera dei secessionisti del cosiddetto Consiglio Meridionale di Transizione. Infatti, subito dopo l’attacco, le forze saudite avevano arrestato uno dei leader di quest’ultima organizzazione.

Resta ad ogni modo il fatto che le incursioni “oltre confine” dirette contro le popolazioni civili, a cui ha fatto riferimento Pompeo per giustificare le misure punitive nei confronti degli Houthi, sono da considerare una strategia difensiva e, soprattutto, risultano del tutto trascurabili se confrontate al livello di distruzione provocato dai bombardamenti sauditi a partire dal 2015. In questi anni, gli episodi documentati di incursioni deliberate contro scuole, ospedali, riunioni civili come funerali o matrimoni sono stati numerosi e appaiono a tutti gli effetti come atti di terrorismo perché puntano a terrorizzare e colpire i civili per piegare la resistenza mostrata contro l’aggressione saudita.

La gravità della situazione nello Yemen e il rischio che essa peggiori ancora di più nei prossimi mesi ha provocato reazioni di condanna nei confronti della decisione del dipartimento di Stato anche da parte degli ambienti politici americani. Già nel recente passato, il Congresso aveva approvato risoluzioni per interrompere le forniture di armi all’Arabia Saudita con l’obiettivo di mettere fine a una guerra imbarazzante per l’immagine degli Stati Uniti. Il presidente Trump si era però sempre opposto ricorrendo al potere di veto.

Le preoccupazioni sono perciò comprensibilmente aumentate dopo la recente iniziativa dell’amministrazione uscente. Anche perché nel corso delle audizioni al Congresso, durante le quali sono state esposte da rappresentanti del governo le motivazioni dietro alla designazione degli Houthi, sarebbero emersi elementi inquietanti. In primo luogo, l’amministrazione Trump non ha preso nessun provvedimento concreto per garantire che il flusso di aiuti umanitari verso lo Yemen non venga interrotto. Inoltre, la Casa Bianca e il dipartimento di Stato non sono stati nemmeno in grado di proporre una giustificazione formale riconducibile a ragioni di sicurezza nazionale per la nuova aggiunta alla lista del terrorismo.

Non è perciò sorprendente che siano già state rivolte richieste esplicite al presidente eletto Biden per annullare la decisione di Trump e Pompeo. I futuri responsabili della politica estera USA non hanno per ora preso alcun impegno a questo proposito, ben sapendo che un’inversione di rotta comporterebbe comunque dei rischi politici alla luce del clima di isteria anti-iraniana che domina a Washington.

L’iniziativa che colpisce gli Houthi e lo Yemen potrebbe invece essere facilmente neutralizzata con un voto contrario proprio del Congresso entro il 19 gennaio, come previsto dalla legge a cui ha fatto riferimento il segretario di Stato per la sua recente decisione. Di questa opzione se ne è parlato poco sui media ufficiali negli Stati Uniti, probabilmente perché, nonostante l’apparente indignazione, non esiste particolare appetito neanche tra gli oppositori di Trump per una mossa che danneggia gli interessi degli alleati sauditi.

Il Congresso, infine, rischia di non avere nemmeno il tempo materiale necessario a evitare il precipitare della situazione umanitaria nello Yemen, visto che nei prossimi giorni potrebbe essere impegnato interamente nel secondo procedimento di impeachment contro il presidente repubblicano uscente.

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