La partita tra Stati Uniti e Iran per rimettere in piedi l’accordo sul nucleare del 2015 (JCPOA) sembra assumere sempre più le sembianze di un vero e proprio gioco delle parti. Ognuno dei due governi cerca di arretrare il meno possibile di fronte all’altro, nel tentativo di ricavare un vantaggio negoziale in previsione del raggiungimento di un obiettivo auspicato in qualche modo da entrambi. Tra proposte, contro-proposte e ultimatum, i tempi per arrivare a una soluzione si stanno comunque restringendo e l’ostacolo principale rimane la posizione americana, con l’amministrazione Biden che, nonostante gli impegni pre-elettorali, continua a evidenziare un approccio non troppo diverso da quello di Donald Trump.

 

Dopo le due prese di posizione perentorie dei rispettivi leader nei giorni scorsi, che sembravano lasciare poco spazio ai compromessi, la situazione è tornata a muoversi a inizio settimana con un possibile rilancio proveniente da Washington. La Reuters ha citato fonti anonime all’interno del governo USA che descrivono un presidente Biden impegnato a valutare una nuova offerta in grado quanto meno di far prendere tempo e arrestare il precipitare dei rapporti tra i due pesi nemici.

Quello che viene caratterizzato come un “approccio modesto” consisterebbe nel concedere a Teheran alcuni trascurabili benefici economici, nettamente inferiori rispetto a quelli derivanti dall’eventuale cancellazione delle sanzioni reintrodotte da Trump, in cambio del ritorno al rispetto integrale dei termini sul programma nucleare stabiliti dall’accordo di Vienna. In questo modo, per lo meno nelle intenzioni di Washington, gli USA non sarebbero costretti ad allentare preventivamente le sanzioni, evitando a Biden un’umiliante marcia indietro, e l’Iran vedrebbe soddisfatta la richiesta di ottenere un primo passo verso il disgelo da parte americana.

Dopo l’uscita unilaterale degli Stati Uniti dal JCPOA nel maggio 2018 e l’applicazione di nuove misure punitive, l’Iran aveva legittimamente messo da parte i limiti all’arricchimento dell’uranio a scopi civili imposto dall’accordo stesso. Il livello è così salito dal 3,67% previsto dal JCPOA a circa il 20%, cioè ben al di sotto del 90% necessario per l’impiego militare, mentre allo stesso tempo sono sta riavviate centrifughe con tecnologia avanzata e rimesso in funzione il sito di Fordow. Queste ultime due iniziative sono anch’esse in violazione teorica del trattato di Vienna.

Joe Biden aveva promesso di riportare il suo paese nel JCPOA, ma a partire dal suo insediamento ha insistito affinché fosse la Repubblica Islamica a fare il primo passo. Se Teheran decidesse cioè di tornare ad adeguarsi ai termini dell’accordo, Washington invertirebbe immediatamente le decisioni dell’amministrazione Trump. Dall’Iran la proposta è stata però respinta, poiché si ritiene – e a ragione – che la responsabilità del naufragio dell’accordo di Vienna sia tutta americana e devono essere di conseguenza gli Stati Uniti a rientrare per primi e senza condizioni nell’accordo prima di un gesto reciproco di Teheran.

Le manovre per arrivare a una soluzione diplomatica, quanto meno provvisoria, si sono dunque arenate su chi debba fare la prima mossa per sbloccare la situazione. È evidente che per Biden esiste un problema di immagine e di opportunità politica nel fare qualsiasi concessione preliminare all’Iran, se non altro per non tirarsi addosso le critiche dei “falchi” non solo repubblicani al Congresso. Dietro alle esitazioni americane ci sono tuttavia anche le questioni strategiche riguardanti il Medio Oriente, prime fra tutte quelle della gestione del file iraniano nel quadro dei rapporti di forza regionali e delle resistenze degli alleati, da Israele all’Arabia Saudita.

Tornando a quanto scritto lunedì dalla Reuters, sembrerebbe che la Casa Bianca abbia preso atto del vicolo cieco in cui si è infilata con la linea dura ostentata da Biden e dal suo segretario di Stato, Anthony Blinken. Un discorso tenuto domenica dalla guida suprema della Repubblica Islamica, ayatollah Ali Khamenei, aveva infatti chiuso la porta agli Stati Uniti. Gli americani, per Khamenei, non sono nella posizione di “dettare condizioni perché sono loro ad avere violato gli impegni presi con il JCPOA”. È piuttosto l’Iran a “dovere imporre le condizioni”, visto che ha sempre “rispettato i propri impegni”. Khamenei ha poi aggiunto che il suo paese “tornerà nell’accordo [sul nucleare] quando gli Stati Uniti rimuoveranno tutte le sanzioni in vigore e non solo sulla carta o a parole”. La Repubblica Islamica, ha concluso la guida suprema, si riserverà anche di “verificare l’effettiva cancellazione delle sanzioni” prima di prendere qualsiasi decisione in merito al JCPOA.

Lo stesso giorno delle dichiarazioni di Khamenei e poco prima del Super Bowl, anche Biden aveva affrontato la questione iraniana in un’intervista alla CBS. Il presidente americano aveva risposto affermativamente alla domanda sulla necessità dell’Iran di fermare l’arricchimento dell’uranio prima della sospensione delle sanzioni. La perentorietà di Biden è stata poi rettificata da un portavoce che ha spiegato come il presidente intendeva riferirsi allo stop dell’arricchimento al di sopra del livello permesso dal JCPOA. Anche in questo modo, tuttavia, non è seguito alcun segnale di un possibile superamento dello stallo.

Per non iniziare il suo mandato con un muro contro muro, che potrebbe sfociare facilmente in un conflitto armato, Biden starebbe quindi studiando una proposta basata su alcuni piccoli passi. Sempre la Reuters ha ipotizzato possibili iniziative favorite indirettamente da Washington, come lo sblocco di un prestito all’Iran del Fondo Monetario Internazionale o il via libera degli USA a uno strumento finanziario creato dall’Europa per facilitare gli scambi commerciali.

Altri segnali l’amministrazione Biden potrebbe già averli inviati a Teheran. In questa prospettiva, almeno per alcuni osservatori, andrebbero lette iniziative recenti come lo stop alla fornitura di armi all’Arabia Saudita da utilizzare nella guerra in Yemen o, sempre riguardo quest’ultimo paese, l’inversione di rotta sull’aggiunta alla lista nera dei terroristi da parte di Trump dei “ribelli” Houthis sciiti, secondo Washington finanziati e armati dall’Iran. È ad ogni modo improbabile che, come ha scritto martedì Alberto Negri su Il Manifesto, “gli iraniani possano abboccare agli zuccherini di Biden”. A Teheran, ormai, “si guarda alla sostanza” e, se mai, l’atteggiamento di apertura agli USA resta prerogativa dei “moderati”, come il presidente Rouhani e il ministro degli Esteri Zarif, che saranno però messi probabilmente fuori causa nei prossimi mesi.

A giugno sono in programma le elezioni presidenziali che vedranno quasi certamente la vittoria di un conservatore e fautore della linea dura contro l’Occidente. Ancora prima entrerà invece in vigore una recente legge promossa sempre dai conservatori nel parlamento iraniano. Tra una decina di giorni, se non ci saranno progressi diplomatici per la rimozione delle sanzioni, il governo sarà costretto a prendere decisioni che violano ancora di più i termini del JCPOA, come la cessazione delle ispezioni intrusive dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (IAEA) e l’ulteriore accelerazione delle attività di arricchimento dell’uranio.

Un messaggio di impazienza è arrivato infine martedì, con una insolita dichiarazione del capo dell’intelligence iraniana, Mahmoud Alavi, che ha avvertito come la Repubblica Islamica potrebbe cambiare rotta e intraprendere in futuro un programma nucleare militare. Questa svolta, contraria alla “fatwa” della guida suprema che vieta armi atomiche, diventerebbe realtà se l’Iran non avesse altra scelta un volta messo all’angolo dai suoi nemici. Nella attuali circostanze, ha comunque chiarito Alavi, non è prevista nessuna decisione in questo senso.

La palla, al di là dell’arroganza ostentata da Washington, è quindi nel campo americano e nei prossimi giorni si comprenderà forse se Biden intende muoversi davvero sulla strada della diplomazia o se finirà per cedere alle pressioni dei “falchi”, dentro e fuori il suo paese. Qualunque sia l’evoluzione della crisi nell’immediato, le prospettive su un piano più generale restano cupe. Gli obiettivi di fondo degli Stati Uniti sono infatti poco incoraggianti, dal momento che puntano quanto meno a ridimensionare l’influenza e il peso dell’Iran, così da annullarne la minaccia sia in chiave regionale sia per il ruolo cruciale svolto da questo paese nelle dinamiche di integrazione euro-asiatica promosse da Cina e, in misura minore, Russia.

Infatti, come ha già anticipato la Casa Bianca, se anche il JCPOA dovesse tornare a pieno regime, si aprirebbe subito un nuovo fronte nello scontro con Teheran. Biden e Blinken continuano cioè a ritenere indispensabile una trattativa, seccamente respinta da Teheran, sui freni da imporre allo sviluppo del programma balistico difensivo iraniano e alle cosiddette attività “maligne” della Repubblica Islamica nel teatro mediorientale.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy