Nel pieno della catastrofe provocata dalla seconda devastante ondata di COVID-19, nel fine settimana sono stati resi noti in India i risultati delle elezioni tenute tra marzo e aprile in cinque stati per il rinnovo dei rispettivi parlamenti locali. Proprio la gestione criminale della pandemia è stata al centro di gran parte delle campagne elettorali e ha influito in maniera determinante sul risultato nel complesso decisamente deludente del partito di governo di estrema destra BJP (“Bharatiya Janata Party” o “Partito del Popolo Indiano”).

 

Il primo ministro, Narendra Modi, aveva puntato in particolare sullo stato del Bengala Occidentale, il quarto per numero di abitanti e situato nell’est del paese. Qui, i vertici del BJP avevano dispiegato tutti i pezzi grossi del governo centrale, incluso lo stesso premier, intervenuti in una lunga serie di accesissimi comizi, quasi sempre in totale violazione delle norme di sicurezza anti-Coronavirus. Modi intendeva dare seguito alla solida prestazione del suo partito in questo stato nelle elezioni generali del 2019, nel tentativo di estromettere la presidente del governo statale, Mamata Banerjee, e il suo partito populista del Congresso Trinamool.

La campagna nel Bengala Occidentale aveva avuto toni molto duri, con attacchi personali diretti contro Mamata Banerjee e, soprattutto, l’incitamento di sentimenti ultra-nazionalisti e anti-musulmani, argomento particolarmente sensibile in uno stato al confine con il Bangladesh e che ospita un numero importante di immigrati di fede islamica provenienti da questo paese. Il voto nel Bengala Occidentale aveva anche implicazioni a livello nazionale, viste le ambizioni di Banerjee e l’ipotesi che attorno alla sua figura possano coalizzarsi i principali partiti di opposizione in tutta l’India.

Modi cercava anche un’affermazione in uno stato tradizionalmente difficile per il suo partito, in modo da ottenere uno slancio in grado di superare le resistenze e le proteste degli ultimi mesi contro il suo governo. Le mobilitazioni popolari, spesso oceaniche, contro Modi e il BJP sono state parecchie. Ad esempio, nel novembre scorso decine di milioni di lavoratori avevano partecipato a uno sciopero generale contro le misure di liberalizzazione dell’economia e a favore di provvedimenti a sostegno delle categorie colpite dalle restrizioni anti-COVID, implementate in maniera dissennata nei mesi precedenti dal governo.

Sempre sul finire del 2020 era andata in scena anche una marcia di centinaia di migliaia di contadini indiani, accampatisi a lungo alle porte di Nuova Delhi per chiedere il ritiro di una legge che rivoluzionava in senso ultra-liberista il settore agricolo nel paese asiatico. Altre proteste e scontri erano scoppiati infine anche dopo l’approvazione di una legge reazionaria e anti-democratica, particolarmente sentita nel Bengala Occidentale, che modificava le regole per l’ottenimento della cittadinanza indiana e diretta in primo luogo contro la minoranza musulmana.

Nel Bengala Occidentale, il partito del Congresso Trinamool ha ottenuto 213 seggi su 294, due in più dell’ultima tornata elettorale. Il BJP ne ha conquistati appena 77, una quota cioè inferiore ai livelli delle elezioni nazionali del 2019, anche se nettamente superiore rispetto alle precedenti elezioni statali. Sempre in questo stato è da sottolineare il tracollo del Partito del Congresso, presentatosi all’interno di un’alleanza con i due partiti comunisti indiani (CPI(M) e CPI) che ha complessivamente raccolto solo una manciata di seggi. Il risultato della sinistra e del centro-sinistra nel Bengala Occidentale è particolarmente pesante se si considera che qui ha dominato il CPI(M) per 34 anni consecutivi fino alla prima affermazione di Mamata Banerjee nel 2011.

Nello stato meridionale di Tamil Nadu, il BJP ha assistito alla sconfitta del suo alleato (AIADMK) e al ritorno al potere dopo un decennio del partito Dravida Munnetra Kazhagam (DMK), a sua volta alleato con il Partito del Congresso e dei due partiti comunisti indiani. Uno di questi ultimi, il CPI(M), ha invece dominato in un altro stato del sud, quello di Kerala. Il Fronte Democratico della Sinistra ha qui incassato 99 seggi sui 140 totali dell’assemblea statale, strappando anche l’unico seggio che deteneva il BJP. In questo stato è la prima volta da in quarant’anni che un’alleanza di governo ottiene due mandati consecutivi e a risultare decisivi sono stati probabilmente i programmi di welfare ampliati in concomitanza con la crisi sanitaria e, in precedenza, con le devastanti inondazioni del 2018 e 2019.

Le uniche notizie positive per Modi e il BJP sono arrivate dallo stato nord-orientale di Assam, dove si è confermato alla guida di una coalizione di governo, e nel cosiddetto “Territorio dell’Unione” di Pondicherry. Quest’ultimo è composto da quattro enclavi non contigue, è popolato da appena 1,25 milioni di abitanti e il BJP si è imposto assieme a un partito locale formato da una scissione da quello del Congresso.

In totale, i cinque stati chiamati alle urne nelle scorse settimane contano circa 255 milioni di abitanti, cioè poco meno del 20% del totale dell’India. Le indicazioni che ne sono derivate rappresentano perciò un messaggio importante per le prospettive del partito suprematista indù del primo ministro Modi. Il BJP è apparso peraltro in affanno a livello locale a partire almeno dall’inizio del 2018, quando ottenne una vittoria storica nello stato di Tripura, considerato una roccaforte della sinistra. Da allora le prestazioni nelle elezioni locali sono state quasi sempre insoddisfacenti, soprattutto negli stati più importanti.

La situazione in India è oggi segnata dalla preoccupante avanzata del Coronavirus, di fronte alla quale il governo continua a respingere l’implementazione di misure restrittive per non danneggiare le attività economiche. Solo un paio di settimana fa, Modi aveva pubblicamente affermato che era necessario “salvare l’India da un nuovo lockdown totale” nonostante l’ondata che già si stava abbattendo sul paese.

Dopo che le autorità indiane avevano lasciato intendere che il COVID-19 era stato in pratica sconfitto, i contagi hanno iniziato a esplodere. Nel mese di aprile, i casi tracciati sono passati da una media giornaliera di 100 mila a oltre 300 mila, fino a raggiungere punte in questi giorni di 400 mila. I morti sono più di tremila ogni giorno ormai da tempo, ma i dati ufficiali, anche se drammatici, danno con ogni probabilità solo una minima idea della catastrofe in corso. Stime precise sono impossibili, ma secondo alcuni esperti i decessi e i contagi potrebbero essere anche cinque volte superiori ai numeri forniti dal governo.

Carenza di ossigeno e medicinali, scarsità di vaccini, una sistema sanitario già precario in tempi normali e ormai sul punto di essere travolto dalla pandemia disegnano una realtà spaventosa, di fronte alla quale le scelte del governo non hanno fatto che peggiorare la situazione. L’approccio criminale al virus di Modi riflette gli orientamenti in ambito economico e sociale che hanno caratterizzato questi anni di governo, con il costante smantellamento di ciò che resta del welfare indiano e della rete di protezione dei lavoratori, in nome dell’apertura del paese agli investimenti dall’estero.

I risultati delle ultime elezioni locali danno così un’indicazione molto chiara dell’ostilità che attraversa l’India per le politiche di ultra-destra del governo del BJP, anche se la tenuta di Modi a livello nazionale resta, almeno per il momento, fuori discussione. Ciò è dovuto in primo luogo al persistente discredito e alla crisi in cui continua a dibattersi il Partito del Congresso. L’opposizione al BJP si manifesta perciò principalmente a livello locale, dove spesso sono soltanto i partiti che non hanno un peso nazionale a essere in grado di capitalizzare il malcontento sempre più diffuso verso il governo centrale.

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