La mediazione egiziana sembra riuscire a mantenere il cessate il fuoco su Gaza ma l’ennesima avventura israeliana a Gaza non sembra poter coinvolgere le Nazioni Unite, bloccate dal veto USA. Da parte palestinese la triste conta dei morti non rappresenta un inedito. Nella bilancia internazionale dell’indignazione di comodo arrivano molto prima i rimbrotti cinesi agli uiguri.

 

Alcuni l’hanno chiamata nuova Intifada ma c’é chi lo ritiene inappropriato, giacché Intifada si riferisce ad una battaglia di popolo, strada per strada, quasi sempre in reazione ad una delle innumerevoli invasioni israeliane di terra. Questa in corso, sospesa solo da una tregua effimera, sembra essere piuttosto una risposta disperata ad una aggressione continua, che ormai anche nell’oltraggio religioso esprime terrore. Ma certo è che, come che si voglia definire questa nuova pagina dolorosa della tremenda storia di sangue e martirio dei palestinesi, il prezzo alto che Gaza paga anche in questa occasione definisce senza equivoci la matrice dell’orrore.

La stampa occidentale, notoriamente sponsor di Israele, preferisce ovviamente tacere. Quando proprio non può fare a meno di raccontare, decide all’unisono che è di Hamas la colpa dell’inizio delle ostilità. La verità dei fatti è però diversa.

Tutto ha avuto inizio con le provocazioni che hanno oltraggiato Gerusalemme durante il Ramadan, periodo sacro per l’Islam. Dall’inizio del mese di Ramadan, Israele, quasi sempre con la scusa di evitare assembramenti vietati dalle norme anti-COVID, ha deciso il costante dispiegamento della polizia nella Spianata delle Moschee a Gerusalemme, vietato dal diritto internazionale. Le inevitabili proteste hanno avuto come risposta la violenta repressione da parte delle forze di sicurezza israeliane.

Dapprima l’irruzione nella moschea di Al-Aqsa attaccando i palestinesi in preghiera e ferendone centinaia. Poi la repressione delle proteste contro la manifestazione degli ultra-nazionalisti israeliani che festeggiavano l’occupazione di Gerusalemme Est nella guerra del 1967. Infine, le proteste a Gerusalemme Est contro gli ordini di sfratto emessi illegalmente dalla giustizia israeliana per decine di famiglie palestinesi che dovrebbero lasciare le loro case e le loro terre ai coloni ebrei.

La situazione è poi precipitata con l’ultimatum lanciato da Hamas a Israele per ritirare le forze di sicurezza dalla Spianata delle Moschee. Un ultimatum al quale Israele avrebbe dovuto cedere, non certo per la minaccia militare in sé, praticamente inesistente - quanto perché le forze di sicurezza israeliane dovrebbero comunque ritirarsi dalla spianata delle Moschee. Niente da fare, una nuova guerra era quello che voleva Netaniahu. Al rifiuto israeliano sono partiti i razzi da Gaza in direzione dello stato ebraico e Israele ha reagito con la solita violenza spropositata, possibile come sempre grazie all’appoggio incondizionato degli Stati Uniti e dei governi europei che fanno finta di non vedere e di non sentire, in perfetta comunione d’intenti e metodi con Tel Aviv.

 

L’aggressione per superare la crisi

Nel pieno di tante omissioni e facendosi largo tra le innumerevoli menzogne, è necessario rimettere la verità delle cose al loro posto. L’aggressione di questi giorni non si fonda solo sull’odio per i palestinesi ma risente dell’ennesima crisi di governo, che vede l’ipotesi di un governo senza il Likud. Netanyahu, uscendo di scena dovrebbe affrontare il processo in corso a suo carico per corruzione senza alcuna protezione governativa. Per questo la nuova spirale di guerra: perché la questione della “sicurezza” in una situazione di emergenza assicurerebbe la permanenza di Netanyahu al potere, con l’appoggio per convinzione o per opportunità politica di tutti i leader dell’opposizione. In questo modo il processo avrebbe un atterraggio morbido perché il Premier rimarrebbe al suo posto. La poltrona di Netanyahu la pagano i palestinesi.

Ci troviamo di fronte, dunque, ad una indecente manovra politica che si somma all’odio atavico e che insieme costituiscono il senso di uno scenario che in questi anni si è andato configurando con lo spostamento illegale della capitale dello stato israeliano a Gerusalemme, con il rifiuto di vaccinare i palestinesi contro il Covid, con i missili e l’aviazione contro le case dei palestinesi. Lo spostamento alla destra estrema del governo israeliano, che da Trump ebbe il maggior sostegno militare, politico e finanziario mai ricevuto prima, si è celebrato sulla pelle di  Gaza.

E desta davvero sconcerto vedere come in molti, anche a sinistra, prestino ascolto alla propaganda sionista secondo la quale Hamas sarebbe responsabile di quanto avviene. Hamas non è certo il meglio che i palestinesi possono attendersi, ma se oggi governa è per gli errori commessi dalla casta dei notabili dell’Olp; e, comunque, se gli ebrei ortodossi e l’ultradestra non sono un problema per Tel Aviv, non si capisce perché mai dovrebbe esserlo Hamas per Gaza.

Non è Hamas la questione, non bisogna farsi trarre in inganno. Quando Hamas non era nemmeno nata ci furono Sabra e Chatila, l’assedio di Tunisi, due Intifada, furti di terra e di acqua, espropri, decine di esecuzioni di leader palestinesi, bombardamenti e missili, innalzamento di muri elettrificati, l’occupazione militare di Gaza. Per scatenare la violenza israeliana non sono mai stati necessari motivi precisi, a parte l’esistenza dei palestinesi. Da numerosi decenni Tel Aviv si è specializzata in esercizio asimmetrico del conflitto, lanciando missili e tanks contro pietre e fionde, proiettili di artiglieria contro case di civili, bombardando ospedali e centri di studio e ricerca. Come ogni esercito di occupazione usa l’abuso e il terrore come sistema di relazione con l’occupato.

L’assenza di giustificati motivi non è un deterrente, al contrario si fa diritto de facto. Gli aerei e i missili si alzano in volo per rappresaglia e , come in ogni rappresaglia, servono a terrorizzare i civili e non a colpire i militari. E che la rappresaglia arrivi per mano di chi proprio nella rappresaglia ha avuto una delle espressioni dello sterminio subito, appare un triste quanto vergognosa nemesi storica.

 

Quo usque tandem Israele?

Non si possono continuare a fornire giustificazioni all’operato israeliano dietro la questione della sicurezza di uno stato circondato da nemici. Non si tratta solo di Gaza, che mai è stata una minaccia alla sicurezza israeliana. Da decenni le monarchie maghrebine come gli emirati del Golfo, come l’Egitto e la stessa Siria, non hanno rappresentato più un problema per Israele. Vuoi per la schiacciante superiorità militare e l’infinito sostegno politico occidentale, Israele non teme nulla dagli arabi.

Il tema, infatti, non è quello della difesa di, bensì della difesa da Israele, che continua ad essere l’unico Stato al mondo senza confini definitivi ed accettati dalla comunità internazionale e sparge il terrore su tutto il Medio Oriente. Invade il Libano, bombarda l’Iran, attacca la Siria e invade Gaza, colpisce le installazioni iraniane e i dirigenti palestinesi, aiuta Ryad nella guerra in Yemen.

Agisce forte del sostegno praticamente unanime dell’Occidente, ma non sempre tutto fila liscio. Proprio sul Libano si è infranto il mito della presunta invincibilità di Thesal, che ha dovuto ritirarsi per ben due volte cacciata da Hezbollah. Identico smacco in Siria, dove i suoi ripetuti raid aerei si sono rivelati un flop grazie alla risposta del sistema antimissilistico SS-300 russo in dotazione all’esercito di Assad.

Non c’è una minaccia arabo-islamica di una qualche concretezza su Israele; non a caso tutto il fronte sunnita, fino all’Isis, non ha mai esploso nemmeno un proiettile contro lo Stato ebraico. Anzi, Israele ha dato il suo contributo di intelligence alla campagna dell’Isis in Siria. La convergenza di obiettivi con il regime feudale e criminale saudita e il sultanato turco indica proprio l’assenza di conflitto religioso, mentre evidenzia il comune obiettivo politico: la distruzione dell’Iran e della Siria dopo quella dell’Irak e della Libia.

L’obiettivo di Tel Aviv e dei suoi alleati del Golfo è la riduzione degli stati arabi ad una massa informe, con una idea della stabilità politica mutuata dal modello somalo, ora applicato in Libia: popolazioni allo sbando e ostaggio dei mercanti di schiavi; territori privi di governabilità e, dunque, di forza militare, economica, diplomatica e politica. Così si applica la presa di possesso dell’intero Medio Oriente da parte degli Emirati e dell’Arabia Saudita: eliminazione dei paesi a guida sciita contro i quali si batte la setta wahabbita regnante a Ryad.

La Palestina è la palestra dell'orrore, la nuca sotto la spada. A Israele non basta esercitare il dominio su una terra non sua. La potenza occupante invade la cittadella occupata perché gli occupati, nonostante tutto, non diventano inermi. Il sogno di un passaporto con su scritto “Stato di Palestina” è più forte di ogni paura.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy