Lo schiaffo rimediato da un attivista di estrema destra da Emmanuel Macron in campagna elettorale è sembrato essere poca cosa rispetto alla batosta incassata dal suo partito LREM (“La République En Marche”) nel primo turno delle elezioni amministrative francesi. I risultati sono stati condizionati in parte da livelli stratosferici di astensionismo, che la dicono lunga sulla predisposizione degli elettori nei confronti della politica d’oltralpe, ma la pessima performance dell’inquilino dell’Eliseo, assieme a quella non molto più esaltante dei neo-fascisti di Marine Le Pen, potrebbe aprire scenari inaspettati nelle presidenziali del prossimo anno.

 

Paradossalmente, le due forze che negli anni più recenti hanno approfittato della decomposizione di un sistema sostanzialmente bipolare – il Raggruppamento Nazionale (ex Fronte Nazionale) e, appunto, LREM – sono state penalizzate da uno spostamento dei consensi a favore di quelle tradizionali, il Partito Socialista (PS) e i gollisti di LR (“Les Républicains”). Questi ultimi sembrano essersi in qualche modo avvantaggiati dalla lontananza forzata dal potere, per lo meno a livello nazionale, in una fase storica straripante di conflitti sociali e segnata da una gravissima crisi economica e sanitaria.

Questi fattori hanno prevedibilmente pesato sulla popolarità di Macron, mentre il suo partito ha confermato la sostanziale mancanza di radici sul territorio e di essere un esperimento creato a tavolino da determinate sezioni dei poteri forti francesi. In generale, l’astensionismo, che ha sfiorato addirittura il 70%, ha penalizzato proprio i partiti lontani dal centro o teoricamente non identificabili con l’establishment, come conferma un’indagine che ha evidenziato i livelli maggiori di apatia tra gli elettori dell’estrema destra di Marine Le Pen e della sinistra di “France Insoumise”. Significativa è anche la percentuali di astenuti per fasce di età, all’87% tra i 18 e i 24 anni e all’83% tra i 25 e i 34.

Su base nazionale, il voto locale di domenica ha visto così il centro-destra gollista risalire al 29%. I socialisti, la sinistra di Jean-Luc Mélenchon e i Verdi (EELV), che potrebbero in teoria presentare un candidato unico alle presidenziali, hanno complessivamente raggiunto circa il 34%. Il RN della Le Pen ha perso più di 7 punti percentuali rispetto alle amministrative del 2015, attestandosi poco sopra il 19%. Molto peggio ha fatto LREM di Macron, appena oltre l’11% e, in varie competizioni locali, i suoi candidati non hanno nemmeno raggiunto la soglia del 10% necessaria ad assicurarsi l’accesso al ballottaggio di domenica prossima.

I dati del primo turno vanno in ogni caso presi con le molle in previsione delle presidenziali dell’aprile 2022, anche se alcune indicazioni relativamente all’astensionismo e alla relativa ripresa di gollisti e socialisti potrebbero avere qualche riflesso nazionale. Per quanto riguarda l’ex Fronte Nazionale, non sembra avere pagato il tentativo di dare al partito una facciata più moderata. Anzi, la base più “dura” dell’elettorato di riferimento dell’estrema destra ha fatto segnare un alto tasso di diserzione e, al contrario, il bacino dei moderati ha preferito i gollisti.

Molto dipenderà tuttavia dall’esito dei ballottaggi e se il RN sarà in grado di conquistare almeno una regione, dando così un impulso alla futura campagna di Marine Le Pen. L’attenzione di tutta la Francia sarà in particolare sulla regione Provenza-Alpi-Costa Azzurra (PACA), dove a sfidarsi saranno il presidente uscente Renaud Muselier di LR e Thierry Mariani per l’ex Fronte Nazionale. Mariani ha chiuso il primo turno con il più alto numero di consensi (36%), ma ben al di sotto di quanto indicavano i sondaggi. Muselier, che aveva scelto rischiosamente di coalizzarsi con il partito di Macron, si è fermato al 32%.

La competizione resta aperta, anche se il ritiro del candidato dei Verdi, Jean-Laurent Félizia, potrebbe favorire Muselier. Félizia, terzo in Provenza con il 17%, aveva inizialmente annunciato l’intenzione di partecipare al ballottaggio, ma ha alla fine ceduto a pressioni e minacce per farsi da parte, in modo da riproporre il cosiddetto “fronte repubblicano” tra le forze “democratiche” francesi in funzione di argine contro l’estrema destra.

Questa strategia è in sostanza quella del “male minore” per evitare che il governo regionale finisca in mano al partito di Marine Le Pen ed è già stata in passato impiegata anche nelle presidenziali. La stessa situazione si è verificata nella regione Alta Francia, dove il partito del presidente farà convergere i propri voti sul candidato gollista, Xavier Bertrand, in netto vantaggio dopo il primo turno, per impedire l’affermazione di Sébastien Chenu del RN. La scelta dei vertici di LREM deve essere stata in questo caso sofferta, poiché Bertrand viene dato come uno dei possibili sfidanti di Macron nella corsa all’Eliseo del prossimo anno.

A sorpresa, poi, i partiti di centro-sinistra si sono ritrovati con l’opportunità di conquistare alcune regioni dove sembravano non avere possibilità. La strada verso l’eventuale successo passa però attraverso accordi per la presentazione di un unico candidato al secondo turno. In alcuni casi ciò è avvenuto, come nell’Ile-de-France, ovvero la regione di Parigi, dove il verde Julien Bayou, giunto domenica al terzo posto, ha incassato l’appoggio delle candidate del PS e dei comunisti. Complessivamente, queste forze hanno superato il 34% al primo turno, insidiando teoricamente la candidata favorita, la presidente uscente Valérie Pécresse di LR (36%). Al ballottaggio andrà anche il candidato del RN, Jordan Bardella (13%).

Altrove le cose sono andate invece diversamente, come in Bretagna. Nella regione nord-occidentale, cinque candidati sono separati da nemmeno sette punti percentuali, ma le trattative per raggiungere un qualche accordo sono naufragate. In testa c’è il presidente uscente, il socialista Loïg Chesnais-Girard, che rischia di vedersi sottrarre voti dalla candidata dei Verdi e di quello appoggiato da Macron. In corsa ci sono anche i gollisti in un ballottaggio affollato nel quale si è conquistata un posto anche l’estrema destra grazie al 14% ottenuto da Gilles Pennelle.

Stesso discorso vale per la regione sud-occidentale della Nuova Aquitania. Al secondo turno andranno in questo caso in cinque candidati dopo che le trattative per una fusione tra Verdi e socialisti sono fallite in fretta. I casi descritti evidenziano dunque come l’unità nel centro-sinistra francese, soprattutto in previsione delle presidenziali, rimanga per ora un cantiere aperto.

Dopo i risultati del ballottaggio del 27 giugno ci saranno ad ogni modo maggiori indicazioni utili in chiave nazionale. Ciò che risulta chiaro fin da ora è il terreno precario su cui poggiano le ambizioni di rielezione del presidente in carica. Allo stato attuale delle cose, Macron rischia seriamente di non qualificarsi nemmeno per il secondo turno, così che, se i suoi numeri non dovessero migliorare in maniera significative nei prossimi mesi, non è da escludere che possa anche diventare il secondo presidente francese, dopo François Hollande nel 2017, a prendere la decisione clamorosa di non ricandidarsi per un secondo mandato all’Eliseo.

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