La rivolta che sta infiammando il Sudafrica era esplosa come protesta contro la carcerazione dell’ex presidente Jacob Zuma, ma è rapidamente mutata in una quasi sollevazione popolare contro l’intera classe dirigente dell’African National Congress (ANC). Le immagini trasmesse dalle televisioni locali hanno mostrato una situazione vista raramente dalla fine dell’apartheid nel 1994, con saccheggi di negozi, veicoli dati alle fiamme, arresti e violenze, che hanno spinto il presidente, Cyril Ramaphosa, a ordinare l’intervento dei militari per cercare di ristabilire l’ordine nel paese.

 

I guai legali di Zuma risalgono alle ultime fasi del suo mandato e avevano avuto un ruolo decisivo nel durissimo scontro interno all’ANC, risoltosi nel 2017 con l’elezione alla guida del partito di Ramaphosa e con la sua ascesa alla presidenza l’anno successivo. Zuma è implicato in svariati casi di corruzione e la settimana scorsa era stato colpito da un ordine di arresto emesso dalla Corte Costituzione sudafricana per non essersi presentato a testimoniare davanti a una commissione d’inchiesta.

Il 79enne ex presidente si era ugualmente rifiutato di consegnarsi alle autorità, ma dopo un negoziato con la polizia ha alla fine ceduto ed è finito in carcere il 7 luglio scorso, teoricamente per scontare una detenzione di 15 mesi. I legali di Zuma hanno subito fatto ricorso davanti allo stesso tribunale, sostenendo che il loro assistito era impossibilitato a presentarsi per la testimonianza a causa di motivi di salute. Inoltre, l’ordine di carcerazione sarebbe incostituzionale, poiché imposto senza nemmeno un processo. La Corte ha deciso lunedì di accettare il ricorso di Zuma, riservandosi di emettere un nuovo verdetto.

Alla luce delle gravi tensioni che esistono tra le due principali fazioni dell’ANC, la mobilitazione iniziale dei sostenitori di Zuma non è arrivata di sorpresa. Quest’ultimo gode oltretutto di una certa popolarità residua, soprattutto nella sua provincia di origine, KwaZulu-Natal. Il periodo della presidenza di Zuma è stato segnato da corruzione e clientelismo dilaganti, ma il riferimento formale a un vago radicalismo e la promessa di mettere fine allo strapotere bianco in ambito economico hanno rappresentato un appeal non indifferente in un paese che continua a far segnare livelli altissimi di povertà ed esclusione sociale, prevalentemente tra la maggioranza di colore.

La provincia di KwaZulu-Natal si è ritrovata così quasi paralizzata dalle proteste, diffusesi in fretta anche in quella vicina di Gauteng, la più importante del Sudafrica dal punto di vista economico, e in quella del Capo Orientale. Nei quartieri popolari di città come Durban e Johannesburg la scintilla è stata l’arresto di Zuma, ma la rivolta ha assunto ben presto contorni più ampi e, in molti casi, si è allargata alla classe media sudafricana.

L’importante arteria stradale che collega le due metropoli è stata addirittura chiusa temporaneamente dopo l’incendio di alcuni mezzi pesanti. Le filiali delle principali banche e molti negozi di catene internazionali sono rimasti chiusi per giorni, ma è stata la grande distribuzione e, in particolare i supermercati, a risultare la più colpita. Scene di saccheggi hanno provocato la ferma condanna di media e politici. Alcuni commentatori, invece, hanno fatto notare come i disordini abbiano messo in evidenza le condizioni disperate di milioni di sudafricani e il conseguente assalto ai negozi per accaparrarsi cibo e beni di prima necessità.

I disordini sono stati accolti con estrema durezza dalle forze dell’ordine. I dati forniti dalle autorità provinciali parlano di 45 morti, mentre per il governo sarebbero solo dieci. Tra i morti ci sarebbe un ragazzo di 15 anni, secondo i media locali colpito al torace da proiettili di gomma sparati dalla polizia. Il primo ministro della provincia di Gauteng ha dato invece notizia di un assalto a un centro commerciale di Soweto, dove nella calca sono morte dieci persone. Gli arrestati sarebbero invece poco meno di ottocento.

Lunedì sera, dopo giorni di silenzio, il presidente Ramaphosa ha parlato in diretta televisiva per annunciare un’intensificazione della repressione con l’invio di circa 2.500 soldati nelle strade di Durban e Johannesburg. Ramaphosa ha ammesso che la situazione attuale del Sudafrica è “senza precedenti”, per poi minacciare pesanti conseguenze legali per “rivoltosi e saccheggiatori”, senza fare però alcun accenno alla gravità della situazione economica e sociale del paese.

La condanna dei fatti di questi giorni, tralasciando anche una minima analisi del contesto nel quale si stanno verificando, serve in primo luogo a nascondere le tracce dell’amministrazione del presidente Ramaphosa. Quest’ultimo è d’altra parte intervenuto pubblicamente per rassicurare i grandi interessi economici sudafricani e gli investitori internazionali, sempre più preoccupati dalla prospettiva che l’ANC non sia più in grado di contenere tensioni sociali esplosive. Dopo l’avvicendamento alla guida del partito e alla presidenza del Sudafrica, Ramaphosa e la fazione dell’ANC che a lui fa riferimento hanno abbracciato apertamente un modello di sviluppo ultra-liberista, grazie anche al discredito del suo predecessore, come già ricordato invischiato in vicende legali per svariati episodi di corruzione.

Con queste premesse, la gestione dell’emergenza Coronavirus ha prevedibilmente sprofondato ancora di più nella disperazione milioni di sudafricani. Le restrizioni imposte inizialmente per limitare la circolazione del virus non sono state accompagnate da significative misure di sostegno economico e, oltretutto, le forze di polizia le hanno spesso implementate col pugno di ferro. Le modeste iniziative di supporto al reddito hanno raggiunto solo un numero minimo di persone e sono state abrogate prematuramente.

L’esplosione della rabbia in Sudafrica rappresenta quindi il culmine di una crisi che è la dimostrazione inequivocabile del fallimento del progetto post-apartheid dell’African National Congress. Un recente durissimo editoriale del commentatore sudafricano Andile Zulu sul quotidiano Mail and Guardian ha riassunto le dinamiche degli ultimi tre decenni, collegandole agli eventi di questi giorni. “Da quando ha ottenuto il potere”, scrive il giornalista, “l’ANC ha sottoscritto l’ortodossia neoliberista e da essa non si è mai allontanato”. Le politiche economiche promosse dal partito che governa ininterrottamente dal 1994 “hanno abbattuto il carico fiscale per grandi aziende e redditi più alti, favorito il contenimento delle retribuzioni e le privatizzazioni, ridimensionato i servizi pubblici e mantenuto l’impegno all’implementazione di misure di austerity”.

In definitiva, sostiene Zulu, “la sconfitta dell’apartheid ha lasciato all’ANC una contraddizione tuttora irrisolta”, da un lato la conquista della “libertà politica” e dall’altro il persistere di “un’economia ancora basata sullo sfruttamento della manodopera nera a basso costo”. Questa attitudine contraddistingue tutta la classe dirigente dell’ANC, incluse le fazioni che fanno capo all’attuale presidente e al suo predecessore oggi in carcere. Ciò che fa la differenza è soltanto il modo con cui raggiungere lo stesso risultato, attraverso l’opzione dichiaratamente neo-liberista di Ramaphosa o dietro l’illusione progressista e “radicale” di Jacob Zuma.

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