La pessima gestione dell’emergenza Coronavirus è costata politicamente carissimo al primo ministro giapponese, Yoshihide Suga, costretto di fatto ad abbandonare il proprio incarico, assieme a quello di numero uno del Partito Liberal Democratico (LDP), dopo il crollo dei consensi registrato negli ultimi mesi. La decisione di Suga è arrivata relativamente a sorpresa e apre una corsa alla successione all’interno del partito di governo che si annuncia ferocissima. Tanto più se si considera che il prossimo leader dopo poche settimane dovrà guidare il LDP in un’elezione che potrebbe diventare la più incerta dell’ultimo decennio.

 

L’impopolarità sempre più evidente di Suga e lo scarso entusiasmo suscitato in generale dalla sua condotta pubblica erano fatti accertati da tempo e l’ipotesi di un suo passo indietro alla vigilia della rielezione del capo del LDP non poteva essere scartata. Ancora alla vigilia della notizia della sua rinuncia a correre per la leadership, però, i giornali giapponesi riportavano la notizia della sua ricandidatura, supportata dal sostegno che sembrava avere incassato da alcuni esponenti di spicco del partito conservatore.

Giovedì scorso, il premier aveva confermato la sua intenzione di restare in sella al segretario generale del LDP, Toshiro Nikai, ma il giorno successivo è arrivata la decisione di farsi da parte. Suga ne avrebbe dato l’annuncio durante una riunione improvvisata dei vertici del partito e la notizia è stata alla fine resa pubblica non dallo stesso capo del governo ma dal segretario Nikai. Le motivazioni ufficiali del ripensamento sono state spiegate da quest’ultimo e successivamente anche da Suga in una conferenza stampa.

La ragione sarebbe da ricondurre all’impegno contro la pandemia, che sta ancora dilagando in Giappone e lascerebbe poco spazio alla campagna elettorale. Questa giustificazione è apparsa subito poco credibile e l’impressione è stata confermata da alcuni commenti riportati dalla stampa. La testata on-line Asia Times ha assicurato che Suga è stato in sostanza liquidato dai vertici del LDP, perché la sua immagine era ormai logora e avrebbe rischiato di danneggiare seriamente il partito nelle prossime elezioni.

Secondo una fonte anonima, sarebbe stato in particolare il potente vice-primo ministro Taro Aso a fare pressioni sul premier per convincerlo a dimettersi. Un altro retroscena vorrebbe che Suga intendeva procedere con un rimpasto di governo per consolidare la propria posizione sempre più precaria. A questo scopo era in previsione la liquidazione di personalità influenti, come lo stesso segretario generale Nikai. Di questa revisione della compagine di governo e dei vertici del partito si sarebbe dovuto discutere nella già citata riunione del LDP di venerdì, ma il risultato è stato alla fine l’uscita di scena di Suga.

Nel momento in cui la sua posizione è diventata quasi disperata, Suga non ha potuto contare nemmeno sull’appoggio di una delle fazioni che compongono il LDP. Il fatto di non avere una corrente di riferimento, come hanno invece le altre personalità più importanti del partito, gli è stata fatale. Suga è considerato una sorta di burocrate che ha operato dietro le quinte per quasi tutta la sua carriera politica, iniziata oltretutto in maniera autonoma e non grazie a legami o tradizioni famigliari.

Per molti anni, il premier uscente è stato il braccio destro dell’ex primo ministro Shinzo Abe, il quale gli aveva in pratica lasciato l’incarico nel settembre del 2020 dopo essersi dimesso per motivi di salute. Proprio la natura della personalità e dello status politico di Suga ne avevano fatto in quel momento il candidato preferito dal partito alla luce della fluidità della situazione del paese.

Suga era insomma una scelta con pochi rischi e più o meno facilmente sacrificabile in caso di fallimento. Le difficoltà nel lancio della campagna vaccinale, l’estremo affanno del sistema sanitario di fronte all’incremento dei contagi e la decisione di far disputare Olimpiadi e Paralimpiadi nonostante la pandemia e la contrarietà della maggioranza dei giapponesi hanno alla fine segnato la sorte di Yoshihide Suga. Costretto a cercare sostegno dentro al partito per provare a restare al suo posto, il premier si è ritrovato isolato. Secondo indiscrezioni non avrebbe infatti ottenuto neanche l’appoggio dei venti parlamentari del LDP necessari per ricandidarsi alla guida del partito.

Le elezioni interne per decidere il nuovo leader del LDP sono fissate per il 29 settembre e la competizione sembra molto aperta, soprattutto perché per la prima volta a esprimersi non saranno solo i deputati del partito ma tutti i suoi iscritti. Questo sistema diluisce il vantaggio dei candidati più legati al sistema, favorendo quelli maggiormente in grado di proiettare un’immagine di efficienza e rinnovamento.

Secondo i media giapponesi, a essere in vantaggio sia grazie ai livelli di popolarità sia agli agganci nel partito è l’ex ministro degli Esteri e della Difesa, Taro Kono, attualmente responsabile della campagna vaccinale anti-Covid. Anche se se ne discute poco, l’eventuale vittoria di Kono potrebbe imprimere una pericolosa accelerazione alle politiche anti-cinesi prevalenti a Tokyo negli ultimi anni, visto che è ascrivibile alla fazione dei “falchi” per quanto riguarda i rapporti con il potente vicino.

Un altro candidato di spicco è l’attuale ministro degli Esteri, Fumio Kishida, uno dei primi a lanciare la sfida per la leadership del partito e deciso a puntare su proposte “populiste”. Kishida ha infatti promesso un massiccio piano di spesa pubblica per combattere gli effetti della pandemia e per rafforzare il sistema sanitario nipponico messo a dura prova dalla crisi in atto. Un certo gradimento popolare sembra averlo inoltre l’ex ministro della Difesa, Shigeru Ishiba, mentre l’ex ministro degli Interni, Sanae Takaichi, potrebbe essere l’opzione preferita se la corsa alla leadership dovesse orientarsi verso le questioni di genere e attorno alla necessità di installare per la prima volta un capo del governo donna. La Takaichi ha tuttavia precedenti non esattamente edificanti, essendo stata in passato accostata a simpatizzanti neo-nazisti.

Quello che la classe dirigente giapponese chiede al futuro leader del LDP e capo del governo è comunque una stabilizzazione del clima interno per cercare di risolvere l’ondata pandemica e rilanciare i piani del governo Abe, basati da un lato sulla riforma dell’economia del paese in senso liberista e dall’altro sul rafforzamento della partnership strategica con gli Stati Uniti in funzione anti-cinese. Suga, evidentemente, non poteva più servire per questo scopo e, infatti, venerdì dopo le sue dimissioni l’indice di borsa giapponese Nikkei ha fatto segnare un’impennata del 2,5%.

Resta da vedere comunque quale sarà la risposta degli elettori. Vista la posizione dominante a livello nazionale del LDP, il nuovo leader che verrà selezionato a fine settembre assumerà la carica di primo ministro fino al voto per il rinnovo della camera bassa del parlamento (Dieta), da tenere al più tardi il 28 novembre prossimo. Se i liberal democratici dovessero ottenere un risultato deludente, anche se riusciranno con ogni probabilità a conservare la maggioranza assieme al Partito Komeito, loro tradizionale alleato di governo, la posizione del premier appena installatosi diventerebbe subito precaria. In tal caso rischierebbe di ripresentarsi una situazione tipica del Giappone, fatta di gabinetti di breve durata e di instabilità politica, che sembrava essere stata invece superata dal lungo periodo di governo di Shinzo Abe.

L’opposizione, da parte sua, non sembra ancora in grado di rappresentare una seria minaccia al LDP, anche se alcune recenti elezioni a livello locale hanno mostrato più di un fattore di debolezza del partito al potere a Tokyo. Il Partito Democratico Costituzionale (CDP) di centro-sinistra paga ancora la disastrosa esperienza di governo tra il 2009 e il 2012, ma potrebbe comunque far segnare significativi passi avanti, assieme al Partito Comunista giapponese con cui sta discutendo la possibilità di coordinare la propria campagna elettorale e la possibile presentazione di candidati comuni.

Il discredito del CDP è ad ogni modo ancora molto diffuso nel paese e una recente notizia pubblicata dal quotidiano Asahi Shimbun ne ha chiarito in parte i motivi. Mentre i leader e i deputati del principale partito di opposizione continuano ad attaccare pubblicamente il governo Suga perché incapace di far fronte all’emergenza pandemica, dietro le quinte hanno espresso rammarico per le imminenti dimissioni del premier.

La linea del CDP, in altre parole, non è determinata dalla crisi sanitaria e dal desiderio di salvare vite, teoricamente grazie alle dimissioni di un governo ritenuto non in grado di farlo, ma da un calcolo politico. Con l’impopolare Suga ancora alla guida dell’esecutivo nelle prossime elezioni, infatti, l’opposizione avrebbe avuto maggiori possibilità di allargare i propri consensi. In presenza di una nuova leadership, al contrario, il CDP dovrà rivedere la strategia elettorale, dal momento che i giapponesi potrebbero dare una possibilità al governo entrante e mettere da parte qualsiasi proposito di punire i liberal democratici per dare una chance all’opposizione di centro-sinistra.

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