Su richiesta del governo israeliano, la Gran Bretagna ha deciso qualche giorno fa di aggiungere l’ufficio politico di Hamas alla lista delle organizzazioni ritenute di natura terroristica. Il provvedimento verrà con ogni probabilità ratificato a breve dal Parlamento di Londra e renderà possibile l’arresto o il congelamento dei beni eventualmente detenuti in Gran Bretagna dei membri del partito/organizzazione islamista palestinese che governa la striscia di Gaza, nonché l’incriminazione di chiunque esprima una qualche forma di sostegno per quest’ultimo.

 

Il ministro dell’Interno britannico, Priti Patel, ha decretato la messa al bando del braccio politico di Hamas in base alla legge sul terrorismo del 2000, mentre questa misura era già stata adottata nel 2001 per l’ala militare del movimento palestinese, le brigate Izz ad-Din al-Qassam. Nonostante le pesanti accuse che hanno accompagnato l’annuncio del provvedimento, negli ultimi due decenni i governi del Regno Unito si sono macchiati di crimini infinitamente più gravi di quelli che vengono attribuiti a Hamas, soprattutto se si considera il suo ufficio politico. Lo stesso discorso vale per il governo a nome e in difesa del quale è arrivata la decisione della ministra Priti Patel, ovvero Israele.

Questa realtà conferma, se mai fosse necessario, che la scelta di bollare Hamas come organizzazione terroristica risponde soltanto a esigenze di natura politica e strategica. Dal punto di vista della lotta al terrorismo o, come ha sottolineato il ministro dell’Interno di Londra, contro l’anti-semitismo, la decisione non ha alcun senso, come non ne aveva quella del 2019 che aveva colpito allo stesso modo il braccio politico di Hezbollah in Libano. Hamas resta di fatto il movimento più popolare tra i palestinesi, governa la striscia di Gaza e prende parte al processo democratico in Palestina, per quanto ridotto all’osso, come conferma il successo a valanga nelle elezioni del 2006, le ultime concesse dall’Autorità Palestinese appoggiata dall’Occidente.

La Patel ha definito Hamas “fondamentalmente e ferocemente anti-semita”, così da rendere necessario il bando per “proteggere la comunità ebrea in Gran Bretagna”. Lo stesso ministro del governo conservatore ha spiegato poi che risulta “impossibile distinguere tra l’ala politica e quella militare di Hamas”. Il provvedimento non avrà probabilmente alcuna conseguenza di rilievo su Hamas, visto che l’organizzazione non ha una base di appoggio significativa in Gran Bretagna, né da punto di vista finanziario né da quello politico.

La pretesa necessità di difendere gli ebrei britannici è anch’essa assurda. Hamas non prende di mira individui o interessi ebraici al di fuori del territorio in cui conduce la propria battaglia di resistenza. Come ha spiegato in un recente commento pubblicato sulla testata on-line The New Arab il ricercatore palestinese Emad Moussa, la lotta di Hamas contro il sionismo non ha implicazioni razziali o religiose in sé, ma dipende esclusivamente dai crimini “dell’occupazione e dello sradicamento del popolo palestinese”.

Delle presunte attività terroristiche in Gran Bretagna che avrebbero giustificato la messa fuori legge di Hamas non è stata dunque presentata alcuna prova dal governo di Londra. Nella decisione del ministero dell’Interno hanno giocato evidentemente un ruolo decisivo le pressioni di Israele e gli ottimi rapporti bilaterali. La Patel è poi notoriamente un’accesissima sostenitrice dello stato ebraico, tanto da restare invischiata in uno scandalo qualche anno fa, quando era vice-presidente dei Conservatori Amici di Israele. L’attuale ministro dell’Interno aveva tra l’altro sollecitato lo stanziamento di fondi tramite il dipartimento per lo Sviluppo Internazionale a un ospedale israeliano, situato nel Golan occupato illegalmente, che aveva curato militanti di al-Qaeda feriti nel corso della guerra in Siria contro il governo di Assad.

La stampa israeliana ha in ogni modo scritto che il primo ministro Naftali Bennett aveva chiesto al premier Boris Johnson di bandire Hamas durante la recente conferenza sul clima a Glasgow. La questione, assieme a quella del possibile rinnovo dell’accordo sul nucleare iraniano, è stata certamente discussa anche nella visita in Gran Bretagna iniziata domenica scorsa del presidente israeliano, Isaac Herzog.

Oltre a quello dei rapporti con Israele, a spiegare la presa di coscienza da parte del governo Johnson della natura terroristica dell’ufficio politico di Hamas ci sono altri fattori, alcuni dei quali da ricondurre all’ambito domestico. Per cominciare, la criminalizzazione di Hamas, così come quella già ricordata di Hezbollah, rafforza l’orientamento filo-sionista di buona parte della classe dirigente britannica e, contemporaneamente, aggiunge sostanza alla campagna ultra-repressiva, di fatto da caccia alle streghe, di qualsiasi voce, ancorché moderata, a difesa dei diritti del popolo palestinese.

Basti pensare alla guerra vera e propria condotta dal Partito Conservatore e dall’attuale leadership di quello Laburista contro i simpatizzanti della causa palestinese nella società civile e dentro a quest’ultimo partito. Una delle vittime più illustri di questa campagna anti-democratica è stato l’ex leader laburista Jeremy Corbyn, le cui passate dichiarazioni legittimamente distensive nei confronti di Hamas, a breve potenzialmente passibili di una condanna a svariati anni di carcere, sono state ricordate in maniera minacciosa da un recente commento del Daily Mail alla decisione del ministro Priti Patel.

In questo modo, il governo Johnson intende screditare ulteriormente il Partito Laburista, anche se sono state numerose le prove emerse negli ultimi tempi di un anti-semitismo strisciante proprio nello stesso Partito Conservatore. Il già citato Emad Moussa spiega inoltre che, per quanto limitato possa essere l’impatto della designazione di Hamas come organizzazione terroristica sia in Gran Bretagna sia a Gaza, il provvedimento del governo di Londra implica la criminalizzazione di “qualsiasi forma di sostegno” al popolo palestinese che, a sua volta, può condurre a un indebolimento del “movimento di solidarietà nei confronti della Palestina nel suo insieme” in Europa.

Questa considerazione mette anche l’accento sull’aspetto forse più inquietante della decisione britannica. L’aggiunta alla lista delle organizzazioni terroristiche comporta cioè il divieto di “manifestare ogni forma di sostegno” a Hamas, con una definizione volutamente generica che, com’è diventata consuetudine negli ultimi due decenni, permette alle autorità di limitare anche drasticamente la libertà di espressione e di opinione.

In quest’ottica, va ricordato che l’attività legislativa in Gran Bretagna procede anche per altre vie sulla strada dell’autoritarismo. In discussione in parlamento c’è ad esempio in questo periodo una misura che, tra l’altro, introduce nuove restrizioni alle manifestazioni di protesta. Sempre per quanto riguarda invece la difesa di Israele e dei suoi crimini contro i palestinesi, il governo intende presentare una legge per impedire alle istituzioni pubbliche, come ad esempio le università, di promuovere iniziative di boicottaggio di beni provenienti da altri paesi “per ragioni politiche”. Questa proposta prende di mira specificatamente il movimento BDS (“Boycott, Divest and Sanctions”) che punta, attraverso appunto una campagna di boicottaggio economico e non solo, a fare pressioni su Israele per cessare le discriminazioni e la repressione del popolo palestinese.

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