Con il clamoroso attacco subito lunedì ad Abu Dhabi, gli Emirati Arabi Uniti (EAU) hanno improvvisamente scoperto che l’aggressione contro lo Yemen, condotta dal 2015 assieme all’Arabia Saudita, comporta un prezzo sempre più salato da pagare. L’incursione portata a termine per la prima volta con successo sul territorio emiratino dal governo di resistenza yemenita, guidato dal movimento sciita Ansarullah (“Houthis”), ha colpito una parte dell’aeroporto della capitale e un’installazione petrolifera nelle vicinanze, facendo tre vittime e alcuni feriti. Per il regime degli Emirati si tratta di un brusco avvertimento che mette fine alla tranquillità di cui aveva finora goduto, nonostante il coinvolgimento nel massacro in Yemen, e apre una serie di interrogativi sull’opportunità di continuare a perseguire gli obiettivi strategici collegati alle vicende nel più povero dei paesi arabi.

 

I fatti di lunedì seguono di pochi giorni il sequestro, sempre da parte delle forze affiliate al governo di Sana’a, di un’imbarcazione battente bandiera emiratina nelle acque del Mar Rosso che, secondo le prove presentate dagli Houthis, aveva a bordo armi e mezzi di trasporto militari. L’innalzamento del livello qualitativo della controffensiva dei cosiddetti “ribelli” yemeniti è in realtà una dinamica tutt’altro che recente, ma gli ultimi eventi segnano un ulteriore passo in avanti in concomitanza con il rimescolamento in atto degli equilibri del conflitto.

In linea generale, Ansarullah e le forze alleate a questo movimento intendono far pagare tutte le conseguenze del caso non solo al regime saudita, ma sempre più anche a quello degli Emirati, protagonista negli ultimi mesi di un’intensificazione dell’impegno bellico a supporto della propria strategia in Yemen. Gli avvenimenti più significativi sono stati quelli attorno alla provincia di Shabwa, fondamentale per le sorti di un’altra area da tempo al centro di scontri durissimi e a sua volta cruciale per le sorti della guerra, quella di Marib.

Qui, gli Houthis sono protagonisti di un assedio per il controllo della città omonima. I loro progressi hanno spinto i sauditi a intensificare la campagna di bombardamenti e, nel contempo, a convincere gli Emirati a investire maggiori risorse nel conflitto. Nel 2019, Abu Dhabi aveva ufficialmente ritirato tutte o quasi le proprie forze di terra dallo Yemen, sia pure conservando una fortissima influenza nel sud del paese attraverso l’appoggio ai separatisti meridionali e il controllo di formazioni mercenarie. Gli Emirati hanno obiettivi parzialmente diversi dall’Arabia Saudita in Yemen, concentrati in larga misura sul controllo di porti e isole in questo paese che consentono il predominio delle rotte marittime in direzione est/ovest.

Abu Dhabi, in seguito a un’intesa con Riyadh attorno a questioni di carattere amministrativo locale, aveva così dispiegato una brigata mercenaria nella provincia di Shabwa che, grazie anche al supporto dei bombardamenti aerei sauditi, aveva respinto le forze di Ansarullah riaprendo le vie di comunicazione verso Marib. Questo rinnovato impegno in Yemen ha trovato dunque la risposta del governo di Sana’s, concretizzatosi lunedì nella brillante operazione che ha portato la guerra nel cuore degli Emirati Arabi.

L’operazione ha implicazioni serissime per quest’ultimo paese, la cui prosperità si basa in gran parte sulla stabilità e la sicurezza interna, condizioni imprescindibili per il fiorire di commercio e turismo. La chiusura, anche se per un breve periodo di tempo, dell’importante hub aeroportuale regionale di Abu Dhabi deve avere messo perciò i brividi alla casa regnante, avvertita oltretutto dai vertici di Ansarullah di possibili ulteriori attacchi se l’aggressione contro lo Yemen dovesse proseguire.

Il blitz di lunedì ha ricordato operazioni simili già portate dagli Houthis in varie occasioni sul territorio saudita negli ultimi anni. La disponibilità di droni armati, probabilmente grazie alla collaborazione con l’Iran, rende la resistenza del governo “ribelle” yemenita particolarmente efficace e, malgrado l’apparente sbilanciamento di forze a favore degli aggressori, molto difficile una risoluzione del conflitto con la forza. Il corrispondente dallo Yemen per Al Jazeera ha spiegato come l’attacco sia stato una vera e propria “sfida nei confronti di Arabia Saudita ed EAU”. Gli Houthis, dopo essere stati il bersaglio di “una massiccia campagna militare per sette anni”, hanno dimostrato di essere “più forti che mai” e di avere “rafforzato le proprie capacità militari fino al punto di poter lanciare offensive sul territorio” dei due paesi nemici.

La ritorsione per l’attacco su Abu Dhabi non si è fatta comunque attendere e ha avuto i caratteri criminali di tutta la campagna di aggressione inaugurata nel 2015. Martedì, l’aviazione saudita ha bombardato Sana’a, causando il bilancio più grave nella capitale yemenita dal 2019. La propaganda saudita ha parlato di obiettivi legati agli Houthis, tra cui una batteria di missili balistici. Il numero di vittime riportato dalla stampa e dalle due parti varia da 14 a 20 e secondo testimonianze raccolte dalla Reuters a Sana’a sarebbe stato distrutto un edificio dove risiedeva un ex ufficiale delle forze armate.

La risposta della “coalizione” era stata anticipata da una valanga di condanne del raid su Abu Dhabi da parte di esponenti del governo emiratino, ma anche del regime saudita e dell’amministrazione Biden a Washington. Tutte le denunce hanno caratterizzato l’attacco di Ansarullah come un atto di “terrorismo” deliberato contro obiettivi civili. Quest’ultima definizione corrisponde perfettamente alla campagna criminale condotta in quasi sette anni da Emirati e Arabia Saudita, ma, quanto meno in Occidente, non si è finora mai visto un simile livello di indignazione per le ripetute stragi di civili in Yemen, né per il disastro umanitario causato dai regimi sunniti nel paese della penisola arabica.

Gli eventi degli ultimi giorni indicano ad ogni modo un’evoluzione che potrebbe risultare decisiva ai fini del conflitto in Yemen. Come già anticipato, l’allargamento delle operazioni belliche al territorio degli Emirati minaccia di ostacolare i piani di Abu Dhabi e Riyadh con possibili ripercussioni sul fronte decisivo di Marib. Se il regime emiratino, in particolare, riuscirà a consolidare le proprie posizioni di fronte alla nuova realtà è tutto da verificare, soprattutto alla luce di un’altra complicazione, ovvero il processo di distensione con Teheran, un altro degli obiettivi sull’agenda regionale di Abu Dhabi, che rischia di essere messo a repentaglio dagli sviluppi sul teatro di guerra yemenita.

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