Francesco Sylos Labini ha avuto l’indiscutibile merito di ripescare dall’oblio cui lo avevano condannato l’ignoranza e la faziosità dei guerrafondai un saggio importante, scritto dallo studioso statunitense John Mearsheimer nel 2014, dal titolo molto significativo: “Why the Ukraine Crisis Is the West’s Fault”, di cui vale la pena di riprodurre in versione integrale i primi tre paragrafi, rinviando per il resto al testo presente qui (PROFESSOR JOHN MEARSHEIMER: THE CRISIS IN UKRAINE | francesco sylos labini).

“Il triplo pacchetto di politiche dell’Occidente – allargamento, espansione e promozione della democrazia – ha aggiunto combustibile a una situazione che aspettava di infiammarsi. La scintilla è arrivata nel novembre 2013, quando Yanukovych ha rifiutato un importante accordo economico che stava negoziando con l’UE e ha deciso di accettare invece una contropartita russa da 15 miliardi di dollari. Questa decisione ha dato origine a manifestazioni antigovernative che si sono intensificate nei tre mesi successivi e che a metà febbraio hanno portato alla morte di un centinaio di manifestanti. Emissari occidentali si precipitarono a Kiev per risolvere la crisi.

 

Il 21 febbraio, il governo e l’opposizione hanno trovato un accordo che ha permesso a Yanukovych di rimanere al potere fino a nuove elezioni. Ma è crollato immediatamente, e Yanukovych è partito per la Russia il giorno dopo. Il nuovo governo di Kiev era filo-occidentale e anti-russo fino al midollo, e conteneva quattro membri di alto livello che potrebbero legittimamente essere etichettati come neofascisti.

Anche se la piena portata del coinvolgimento degli Stati Uniti non è ancora venuta alla luce, è chiaro che Washington ha sostenuto il colpo di stato. Nuland e il senatore repubblicano John McCain hanno partecipato alle manifestazioni antigovernative, e Georey Pyatt, l’ambasciatore degli Stati Uniti in Ucraina, ha proclamato dopo la caduta di Yanukovych che era “un giorno per i libri di storia”. Come ha rivelato una registrazione telefonica trapelata, Nuland aveva sostenuto il cambio di regime e voleva che il politico ucraino Arseniy Yatsenyuk diventasse primo ministro nel nuovo governo, cosa che ha fatto. Non c’è da stupirsi che i russi di tutti gli orientamenti pensino che l’Occidente abbia giocato un ruolo nell’estromissione di Yanukovych”.

Ecco qui, adeguatamente sintetizzate da uno studioso statunitense dotato del necessario approccio scientifico e obiettivo, le premesse dell’angosciosa situazione che stiamo vivendo da oltre tre mesi. Cose in buona parte risapute, certo. Ma media guerrafondai, giornalisti e politici appiattiti o meglio, inginocchiati di fronte a Washington, prescindono da ogni lettura analitica ed attenta della crisi, ignorandone il contesto e i presupposti, e tendono invece a darne un’interpretazione di tipo mistico, una sorta di scontro tra il Bene e il Male, tra il “democratico” Zelensky e il nuovo Hitler redivivo nelle spoglie mortali di Vladimir Putin. Spazzatura ovviamente, ma questo è il livello della parte peggiore dell’Occidente che presiede in questo momento alle sorti del pianeta.

E la situazione peggiora ogni giorno. Monsignor Paul Richard Gallagher, Segretario per i rapporti cogli Stati della Santa Sede ha affermato che è troppo presto per parlare di pace e che occorre che l’Ucraina sia messa in condizione di difendersi, anche mediante aiuti di tipo militare anche se occorre stare attenti a che non vengano violati i principi di proporzionalità. Tale dichiarazione sembra una smentita di quanto finora sostenuto da Papa Francesco ed occorre quindi chiedersi cosa stia succedendo al Vaticano.

Biden e Boris Johnson, indiscussi leader dell’Occidente in questa fase delicatissima, paiono interessati più ai propri destini elettorali che a quelli degli Ucraini, dell’Europa e del pianeta. Giocatori d’azzardo colla vita di tutti noi paiono interessati ancora a scommettere sul rovesciamento di Putin e la fine del suo regime.

Si chiede uno scambio tra prigionieri e si lamenta l’intento del portavoce della Duma di processare come terroristi gli oltre duemila combattenti di Azov fatti prigionieri a Mariupol, ma contemporaneamente il soldato russo processato per crimini di guerra a Kiev viene condannato all’ergastolo.

Il Piano in quattro punti partorito da alcuni collaboratori di Di Maio, pur non originalissimo, potrebbe costituire un contributo alla causa della pace, ma sarebbe ben più credibile se non provenisse da uno Stato schierato dalla parte della NATO. Non è chiaro, peraltro, da chi dovrebbe essere composto quel “Gruppo Internazionale di Facilitazione”, al quale dovrebbe essere affidata “la responsabilità di garantire imparzialità e sicurezza alle trattative di pace”. Ne risulta penosamente rafforzata l’impressione che si sia trattato più che altro di un emolliente volto a rendere meno dolorosa la sottomissione di alcuni settori politici (specie i Cinquestelle) ai diktat di Draghi assoggettato a sua volta a quelli di Biden.

L’adesione alla NATO da parte di Svezia e Finlandia, che costituirebbe un passo gravissimo, ma tutti danno ormai per scontata, viene avversata da Erdogan che, per dare luce verde all’adesione, vuole la consegna degli esponenti kurdi che hanno trovato asilo nei due Paesi scandinavi.

Grande è la confusione sotto il cielo, insomma, ma la situazione è davvero pessima. Tanto più che il movimento per la pace, che quasi vent’anni fa era sceso in piazza massicciamente contro la guerra in Iraq, appare oggi ridotto a ben poca cosa.

E’ tuttavia importante continuare puntigliosamente a contrastare l’escalation del conflitto e a mobilitarsi per una sua soluzione basata sulla necessità di convivenza pacifica tra i popoli e la fine dei blocchi militari, tenendo presente che alla radice dell’attuale conflitto vi sono le politiche di potenza e le resistenza a nuovi equilibri internazionali basati sul governo multipolare della comunità internazionale.

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