Sulla guerra in Ucraina, l’Unione europea è in una fase di stallo che dimostra tutta la sua mancanza di autonomia e di unità. In tema di sanzioni contro la Russia, la querelle sul sesto pacchetto va avanti ormai da settimane senza che si veda all’orizzonte la possibilità di una svolta.

Il via libera alle nuove misure punitive - a cominciare dalla graduale eliminazione del petrolio russo entro la fine del 2023 - è stato bloccato mercoledì 18 maggio dal disaccordo fra i ministri degli Esteri. Il problema principale è che alcuni Paesi, come l’Ungheria, non hanno alternative nemmeno nel medio termine alle forniture di petrolio russo, e perciò prima di impegnarsi a rispettare l’embargo chiedono ai partner garanzie energetiche e finanziarie.

 

Il capo della politica estera comunitaria, Josep Borrell, ha riconosciuto che “non c’è alcuna certezza” che l’Unione europea sarà in grado di trovare rapidamente e all'unanimità un accordo sul sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia: “Faremo del nostro meglio per sbloccare la situazione - ha detto lo spagnolo - ma non posso garantire che ci riusciremo, perché le contrapposizioni sono piuttosto forti”.

Sul versante del gas, invece, le parole di Ursula von der Leyen continuano a cadere nel vuoto. Durante il collegio dei commissari che si è tenuto a Bruxelles il 27 aprile (e i cui verbali sono stati pubblicati di recente), la numero uno della Commissione europea ha detto che se le compagnie energetiche europee si adeguano al meccanismo imposto dalla Russia per pagare le forniture di gas - ossia una conversione in rubli mediante conti speciali presso Gazprombank - “rischiano di violare le sanzioni” già varate dall’Ue.

Mai avvertimento fu più ignorato: le grandi aziende energetiche europee si sono immediatamente adeguate all’espediente inventato dai russi per sostenere il rublo, sorvolando in modo plateale sulle parole di Von der Leyen. Anche in questo caso, non c’è che dire, una grande dimostrazione di coesione e unità d’intenti, nonché di autorevolezza della signora von der Leyen.

Non che le cose vadano meglio sul piano diplomatico, anzi. In questo campo, l’ultima prova della frantumazione europea è la freddezza con cui Bruxelles ha derubricato il piano per la pace in Ucraina elaborato dagli uffici della Farnesina. “Ho preso atto dell’annuncio da parte del collega italiano”, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, “di un piano di pace presentato al segretario generale dell’Onu il 19 maggio”, ha detto Borrell in conferenza stampa rispondendo a una domanda sull’iniziativa italiana. E ancora: “Noi dall’Ue appoggiamo tutti gli sforzi per provare a ottenere la fine del conflitto, ma questo nella prospettiva europea passa attraverso un’immediata cessazione delle ostilità e il ritiro incondizionato delle truppe russe fuori dal territorio ucraino”. Come dire che il piano italiano è finito nel cestino prima ancora di essere letto.

Il punto è che Borrell vuole sostituire Stoltenberg alla guida della Nato e per questo è molto più interessato agli ordini in arrivo Washington piuttosto che ai suggerimenti degli alleati europei. E, a fronte di questa ambizione e di questa gerarchia, il politico spagnolo non si fa problemi a prendere a schiaffi l’iniziativa di un Paese fondatore dell’Unione come l’Italia. Tutto come da copione. Semmai, a difendere il piano di pace italiano doveva essere Mario Draghi, che potrà pure non nutrire particolare stima nei confronti di Luigi Di Maio, ma in teoria avrebbe il compito di tutelare il prestigio del governo italiano e della sua diplomazia. Peccato che non ci abbia nemmeno provato.

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