Con il passare dei giorni, l’esplosione delle linee dei gasdotti Nord Stream 1 e Nord Stream 2 nelle acque del Mar Baltico sta assumendo sempre più i contorni di un’operazione condotta dall’interno della NATO al preciso scopo di impedire una soluzione diplomatica della crisi ucraina e, in parallelo, di affondare definitivamente qualsiasi ipotesi futura di collaborazione in ambito energetico tra l’Europa e la Russia.

 

Gli ambienti politici e dei media più radicali in Occidente, assieme al regime ucraino, hanno invece accusato apertamente Mosca per il sabotaggio delle due infrastrutture. L’analisi dei fatti per ora noti e una semplice riflessione sulle ragioni dell’accaduto, così come i vantaggi e gli svantaggi che derivano per i vari attori coinvolti, dovrebbero convincere al contrario a scartare rapidamente questa ipotesi. La Russia non poteva avere nessuna motivazione valida per distruggere un’opera di sua proprietà e alla costruzione della quale ha dedicato molti anni, una quantità enorme di denaro e sopportato enormi pressioni politiche. La quantità di gas che è inoltre già andata in fumo in seguito alle perdite causate dalle esplosioni è di per sé ingente, pari forse a quasi un miliardo di dollari.

Il fattore più importante da considerare è però l’utilità strategica dei due gasdotti in questo frangente. Con i Nord Stream fuori uso, la Russia perde uno strumento di pressione per spingere la Germania e l’Europa a negoziare, oltre a un mercato per il proprio gas che, per quanto ormai quasi azzerato e sostituito in larga misura da quello asiatico, rimane potenzialmente di un certo interesse per Mosca. Quasi superfluo è infine ricordare come le autorità russe avrebbero potuto semplicemente chiudere del tutto i rubinetti del gas diretto verso ovest se questo fosse stato l’obiettivo del Cremlino.

L’ex diplomatico indiano e commentatore M. K. Bhadrakumar ha spiegato in un articolo pubblicato sul suo blog Indian Punchline che, “qualunque sia il formato di un [potenziale] dialogo tra Europa e Russia”, al centro del negoziato ci dovrebbe essere “il ristabilimento delle forniture energetiche russe per mitigare la crisi economica europea”. Perciò, “chiunque abbia distrutto il Nord Stream ha colpito con perfetto tempismo”, uccidendo sul nascere, come accaduto ad aprile nei negoziati di Istanbul, ogni ipotesi diplomatica. “Questo atto odioso”, continua l’ex ambasciatore, “è stato condotto o sponsorizzato da un’entità statale e dimostra come in Occidente ci siano forze formidabili che vogliono prolungare il conflitto [in Ucraina]”. Queste ultime “faranno di tutto, a qualunque costo, per soffocare ogni scintilla di dialogo”.

Per quanto riguarda gli Stati Uniti, l’esplosione dei gasdotti che collegano Russia e Germania torna utile per alzare ancora di più il livello di isteria anti-russa, dipingendo quello di Mosca un governo terrorista che non solo invade paesi sovrani senza ragione e massacra civili innocenti, ma che distrugge infrastrutture strategiche vitali. Oltre a questo aspetto propagandistico, Washington fa un passo decisivo verso lo sganciamento europeo dalle forniture di gas russo (a basso costo), per sostituirle, almeno per la maggior parte, con quello americano (molto più costoso).

Quest’ultimo era d’altra parte uno degli obiettivi centrali della guerra in Ucraina provocata dagli USA, con al centro la vera e propria trasformazione della Germania, in quanto prima economia e forza trainante del continente, da attore indipendente con inclinazioni allo sviluppo di partnership euro-asiatiche a vassallo indebolito e de-industrializzato dell’impero. In quest’ottica, la fine della disponibilità virtualmente illimitata di gas russo priva Berlino di uno degli elementi chiave del successo economico tedesco. Il sabotaggio degli impianti Nord Stream è dunque poco meno di una dichiarazione di guerra contro la Germania e il “nemico” non è in questo caso la Russia, ma uno degli alleati NATO.

L’identità degli esecutori materiali è ancora incerta, ma non è difficile individuare il probabile mandante. Sui social network è ampiamente circolato in questi giorni il video di una conferenza stampa del 7 febbraio scorso in occasione della visita a Washington del cancelliere tedesco Scholz. Il presidente americano Biden aveva avvertito che, in caso di invasione russa dell’Ucraina, “non esisterà più il gasdotto Nord Stream 2, [poiché] lo toglieremo di mezzo”. Alla domanda di come gli USA lo avrebbero fatto, visto che il progetto era controllato da un alleato, come appunto la Germania, Biden aveva replicato: “Vi garantisco che saremo in grado di farlo”.

Il governo russo ha ad ogni modo chiesto una riunione d’emergenza del Consiglio di Sicurezza ONU, che si terrà nella giornata di venerdì, per discutere dei fatti nel Mar Baltico. È molto probabile che Mosca conosca i responsabili e i dettagli dell’operazione. Tra i commentatori al di fuori dei circuiti ufficiali, il giornalista ed ex consigliere politico australiano-americano residente a Mosca, John Helmer, è stato tra i più espliciti nell’identificare gli autori dell’attacco. Basandosi probabilmente su contatti dentro l’apparato di potere russo, Helmer ha affermato che a distruggere i gasdotti è stata la Marina polacca con la collaborazione delle forze speciali di Varsavia.

I militari danesi e svedesi avrebbero fornito appoggio ai polacchi, mentre il lavoro di “pianificazione” e “coordinamento” sarebbe avvenuto grazie “all’intelligence e al supporto tecnico americano”; il tutto con l’approvazione finale del primo ministro polacco Mateusz Morawiecki. Helmer, come altri, ha ricordato anche l’opposizione della Polonia alla costruzione del Nord Stream 2 negli anni scorsi, tanto da avere tentato un’operazione di sabotaggio, poi sventata, già nella primavera del 2021.

Gli elementi a carico di vari paesi NATO sono comunque molteplici. Pochi giorni prima dei fatti, la presenza di alcune navi della Marina militare americana era stata ad esempio registrata a una manciata di chilometri dalle zone delle esplosioni, così come un elicottero USA il 2 settembre aveva volato in ricognizione lungo la rotta del Nord Stream 2 e tra i punti dei gasdotti interessati dall’incidente. A giugno si era inoltre tenuta un’esercitazione NATO nelle acque al largo dell’isola danese di Bornholm, nei pressi appunto delle esplosioni, per testare l’efficacia di nuovi “veicoli senza pilota” subacquei da utilizzare per l’individuazione di mine e altri esplosivi. Il blog Moon Of Alabama segnala a sua volta come a un centinaio di chilometri a sud del settore danneggiato del gasdotto ci sia la base navale polacca di Kolobrzeg, dove sono attraccate imbarcazioni e di stanza specialisti nel posizionamento di esplosivi sottacqua.

La gravità dell’accaduto è comunque tale da minacciare potenzialmente la coesione stessa del fronte NATO impegnato a sostegno del regime ucraino. È probabile anzi che la provocazione sia un messaggio, facilmente definibile di natura mafiosa, a un governo tedesco accusato da più parti, in particolare dalla Polonia, di essere troppo cauto nell’appoggio a Kiev. Vanno considerate inoltre le crescenti manifestazioni di protesta registrate recentemente in varie città della Germania proprio per chiedere l’attivazione del Nord Stream 2 come rimedio alla crisi economica e all’impennata del costo dell’energia.

Il cancelliere Scholz e i membri del suo gabinetto hanno rilasciato finora poche e prudenti dichiarazioni sull’accaduto. Questo atteggiamento è il sintomo probabilmente di un acceso confronto interno su come rispondere a un’azione che mette in serio imbarazzo il governo della prima potenza economica europea. Berlino è a tutti gli effetti sotto attacco e si ritrova in una situazione caratterizzata da estreme tensioni sul fronte domestico e, su quello internazionale, dalla “richiesta” dei suoi alleati di certificare l’implosione del proprio sistema economico/industriale.

La leadership tedesca non è evidentemente all’altezza per fronteggiare un’offensiva di questo genere e continua a tentennare davanti alle pressioni NATO per intensificare l’offensiva anti-russa, oggettivamente disastrosa per gli interessi del paese. Le esplosioni del Mar Baltico hanno in definitiva fatto letteralmente deflagrare un conflitto che nei primi sette mesi di guerra in Ucraina era rimasto sullo sfondo, quello cioè che si sta consumando lungo le due sponde dell’Atlantico e tra i paesi dell’Europa dell’est, a cominciare dalla Polonia, e le principali economie del vecchio continente.

L’incupirsi delle prospettive economiche con l’avvicinarsi dell’inverno, l’imminente ratifica da parte di Mosca dei referendum nelle quattro regioni (ex-)ucraine filo-russe, la mobilitazione militare ordinata dal Cremlino e, da ultimo, le conseguenze del sabotaggio dei gasdotti Nord Stream minacciano così un’ulteriore escalation delle tensioni in Europa, chiudendo pericolosamente e in maniera definitiva i già esilissimi spiragli di pace.

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