Settimana scorsa, il colosso francese del cemento Lafarge ha patteggiato con il dipartimento di Giustizia americano una sanzione da quasi 800 milioni di dollari per avere pagato i militanti dello Stato Islamico (ISIS) in cambio della protezione dei propri impianti in Siria durante i primi anni della guerra tuttora in corso. I fatti e le accuse sono noti da tempo, ma la notizia sugli ultimi sviluppi del caso ha riportato al centro dell’attenzione lo strumento legale utilizzato dalla magistratura americana per indagare e incriminare aziende straniere che operano in ogni angolo del pianeta.

I procuratori d’oltreoceano basano il loro lavoro in questo ambito sul “Foreign Corrupt Practices Act” (FCPA), una legge del 1977 che prende di mira “una certa categoria di individui ed entità che pagano funzionari di governi stranieri” in cambio di favori per il loro business. Grazie ad alcuni emendamenti apportati dal Congresso di Washington nel 1988, la legge anti-corruzione si applica anche a compagnie e cittadini di altri stati, le cui azioni illegali hanno luogo sul territorio degli Stati Uniti. Il requisito chiave della extraterritorialità di fatto della legge è però che i soggetti in questione possono essere bersaglio di indagini se hanno una filiale in America o, semplicemente, se sono quotati a Wall Street o hanno legami di altro genere con gli USA, come l’utilizzo di un server americano.

 

Scorrendo l’elenco dei moltissimi casi riconducibili al FCPA si trovano infatti un gran numero di compagnie straniere, anzi la maggioranza, tanto da sollevare il giustificato sospetto che la legge sia in buona parte uno strumento per favorire la competitività globale del capitalismo americano, oltre che per appesantire le casse del Tesoro americano. Questa attività parallela dei tribunali USA può essere diretta a colpire le operazioni di aziende straniere in mercati di interesse di corporation americane oppure per spianare la strada ad acquisizioni di compagnie messe in difficoltà da incriminazioni e multe miliardarie.

Per quanto riguarda la vicenda di Lafarge, i vertici di quest’ultima in Siria si erano ritrovati a fare i conti con l’arrivo dei guerriglieri dell’ISIS nel pieno della guerra contro il governo legittimo di Assad orchestrata proprio dagli Stati Uniti e dai loro alleati in Europa e in Medio Oriente. Per tenere aperto l’impianto e ottenere protezione, i dirigenti avevano versato un totale di sei milioni di dollari ai fondamentalisti sunniti. Il dipartimento di Giustizia USA aveva quindi incriminato Lafarge, nel frattempo fusasi nel 2015 con il gruppo svizzero Holcim, raggiungendo un accordo che prevede il versamento nelle casse del tesoro americano della cifra di 777,8 milioni di dollari.

A proposito di questo caso, non deve sfuggire l’ironia del fatto che il governo americano ha incassato o incasserà da Lafarge una somma enorme di denaro per avere finanziato l’ISIS, mentre negli ultimi dieci anni, o comunque per svariati anni dopo l’inizio del conflitto in Siria, il governo di Washington ha esso stesso sostenuto finanziariamente e militarmente le formazioni integraliste dell’opposizione armata nel paese arabo.

L’arma del FCPA consente dunque di intervenire in casi di corruzione ovunque nel mondo con azioni altamente selettive e spesso di natura politica. L’oggetto delle indagini della giustizia americana, quasi sempre corporation gigantesche implicate in manovre illegali, assicura anche un’apparente legittimità morale ai procuratori che si occupano dei vari casi, veicolando l’attenzione e l’indignazione dell’opinione pubblica sui soggetti incriminati.

Ci sono pochi o nessun dubbio sui fatti contestati alle corporation finite sotto accusa e condannate secondo il FCPA. La pratica di “ungere” gli ingranaggi della burocrazia dei paesi in cui le multinazionali fanno affari è evidentemente diffusissima e riguarda in primo luogo proprio quelle americane, se non altro per il numero e il loro peso specifico a livello globale. Le indagini della giustizia USA appaiono però mirate e per nulla casuali, riguardando cioè spesso settori strategici e singoli “competitor” stranieri delle compagnie americane più importanti.

Tra i molti casi che si possono citare c’è ad esempio quello della multinazionale francese Alstom, operante nel settore dell’energia e dei trasporti. Alla fine del 2014, i vertici della società si dichiararono colpevoli delle accuse rivolte loro secondo il FCPA e patteggiarono una sanzione da oltre 772 milioni di dollari. L’incriminazione era stata possibile grazie alla sede rispettivamente in Connecticut e in New Jersey di due succursali della casa madre francese. Secondo i procuratori americani, Alstom aveva versato tangenti per decine di milioni di dollari a funzionari dei governi di vari paesi, tra cui Indonesia, Arabia Saudita, Egitto e Bahamas. Il denaro era servito per ottenere appalti miliardari che avrebbero fruttato utili alla compagnia per circa 300 milioni di dollari.

La vicenda aveva creato non pochi problemi alla compagnia francese che, nemmeno un anno dopo, avrebbe ceduto all’americana General Electric (GE) la divisione più pregiata del proprio business, quella dell’energia e delle reti distributive. Nella prima metà del 2014, le due società si erano accordate  per la cifra di 12,35 miliardi di euro, ma l’affare fu alla fine concluso per poco meno di dieci miliardi. L’operazione era stata all’epoca presentata da GE come “la più grande acquisizione industriale” della propria storia.

Più di recente spicca invece il caso della compagnia svedese di telecomunicazioni Ericsson. Il copione è sostanzialmente lo stesso, ma la multa pagata decisamente maggiore, pari cioè a oltre un miliardo di dollari. Anche qui si trattava di tangenti, elargite a funzionari di paesi come Cina, Vietnam e Gibuti. Ericsson avrebbe operato in questo modo tra il 2000 e il 2016 e, in aggiunta, avrebbe falsificato i propri libri contabili.

Come quasi sempre accade, Ericsson decise anch’essa di patteggiare e pagare una multa (relativamente) salata, così da evitare provvedimenti più pesanti, come il ritiro della licenza ad operare sul mercato americano. Nei giorni scorsi la vicenda di Ericsson è tornata sui giornali di mezzo mondo, perché il dipartimento di Giustizia USA ha accusato i vertici svedesi di avere violato l’accordo del 2019, mancando di presentare determinati documenti e informazioni previsti dal patteggiamento.

Del 2021 è l’incriminazione e il patteggiamento di Deutsche Bank. La mannaia del FCPA era caduta sulla banca tedesca per via di “schemi corruttivi” che coinvolgevano “intermediari” allo scopo di manipolare il mercato dei metalli preziosi. Nelle operazioni erano coinvolti, tra gli altri, individui di nazionalità saudita ed emiratina. La cifra complessiva che Deutsche Bank aveva accettato di pagare per poter continuare a fare affari negli Stati Uniti era di poco superiore ai 130 milioni di dollari.

Di particolare interesse per la giustizia americana sono anche le pratiche delle varie multinazionali in paesi nemici di Washington, sottoposti a sanzioni o ricchi di petrolio. È il caso ad esempio dell’Iran e della Libia. La francese Total nel 2013 concordò una multa da quasi 400 milioni di dollari per avere pagato tangenti nel quadro di contratti per lo sfruttamento di giacimenti petroliferi e di gas naturale nella Repubblica Islamica. La frode “scoperta” dalle autorità americane avrebbe assicurato a Total profitti per 150 milioni di dollari.

Più pesante fu il conto presentato dalla giustizia statunitense alla francese Société Générale nel giugno del 2018. La cifra ammontava a 860 milioni di dollari per evitare le conseguenze più gravi dell’accusa di avere corrotto funzionari libici al fine di assicurarsi investimenti del paese nordafricano tramite la banca francese. Société Générale era in quell’occasione implicata anche in uno schema diretto a manipolare il tasso di riferimento interbancario LIBOR.

L’elenco delle società incriminate e condannate secondo il FCPA è come detto lunghissimo. Partendo dal 2022 e andando a ritroso fino al 1978 si possono individuare compagnie con sede praticamente in qualsiasi paese e le multe sollevate variano da poche decine di migliaia di dollari a molte centinaia di milioni. ENI fu colpita ad esempio nel 2020 per tangenti pagate in Algeria e prima ancora nel 2010, assieme a Snamprogetti, per contratti ottenuti illegalmente in Nigeria. In quest’ultimo caso il patteggiamento prevedeva il versamento di 365 milioni di dollari.

Tra le altre vicende è utile citare, se non altro per mostrare la vastità geografica delle incriminazioni e l’importanza delle cifre concordate in fase di patteggiamento, quella della lussemburghese Tenaris (2022; 78 milioni di dollari di multa), di Credit Suisse (2021; 100 milioni), delle brasiliane Telefonica Brasil (2019; 4,1 milioni) e Petrobras (2018; 1,78 miliardi), della tedesca Fresenius Medical Care (2019; 231 milioni), della russa Mobile TeleSystems (2019; 850 milioni), della giapponese Panasonic (2018; 143 milioni), della svedese Telia (2017; 965 milioni) e dell’olandese VimpelCom (2016; 795 milioni).

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