Il governo degli Stati Uniti continua ufficialmente a respingere qualsiasi iniziativa per allentare le sanzioni imposte alla Siria nonostante il paese mediorientale in guerra dal 2011 sia oggetto negli ultimi mesi di una vera e propria riabilitazione all’interno del mondo arabo. Da Washington sono arrivate finora solo dure critiche per quei paesi che hanno cessato gli sforzi diretti al cambio di regime a Damasco e intrapreso la strada della riconciliazione. Privatamente, tuttavia, è possibile che l’amministrazione Biden intenda tenere aperta una via d’uscita dalla crisi siriana e, a questo scopo, avrebbe già intrattenuto negoziati segreti e in maniera diretta con il governo del presidente Assad.

 

La notizia si è accompagnata questa settimana allo sbarco di una delegazione siriana nella città saudita di Jeddah, dove sono iniziati i lavori preparatori in vista del summit della Lega Araba che si terrà nei prossimi giorni. È da quasi dodici anni che la Siria non partecipava a un evento di questa organizzazione sovranazionale, la quale ha formalizzato recentemente il reintegro di Damasco grazie soprattutto all’iniziativa dell’Arabia Saudita.

Proprio da una fonte interna alla Lega Araba è arrivata la rivelazione, pubblicata dalla testata on-line libanese The Cradle, degli avvenuti contatti tra rappresentanti dei governi di USA e Siria. Trattative bilaterali sarebbero anzi tuttora in corso e gli incontri avvengono a Muscat, la capitale dell’Oman, ovvero “la città dei negoziati segreti tra Washington e svariati paesi dell’Asia occidentale”. Il sultanato aveva già ospitato in passato colloqui segreti tra Stati Uniti e Iran che, durante la presidenza Obama, avevano aperto la strada all’accordo di Vienna sul nucleare iraniano (JCPOA).

Agli incontri avrebbero finora partecipato, per entrambi i paesi, funzionari dei rispettivi ministeri degli Esteri ed esponenti dell’apparato della “sicurezza”. Da quanto si può dedurre dalle notizie riportate da The Cradle, la trattativa non avrebbe fatto segnare particolari progressi. Da una parte, il governo di Damasco sembra legittimante insistere per il ritiro preliminare e senza condizioni del contingente militare che gli Stati Uniti mantengono in territorio siriano. Dall’altra, gli americani appaiono interessati a discutere inizialmente su una questione senza implicazioni politiche, cioè la liberazione del giornalista freelance ed ex Marine, Austin Tice, rapito da gruppi armati in Siria nel 2012.

Secondo Washington, quest’ultimo sarebbe detenuto in un carcere militare siriano, ma Damasco sostiene di non avere notizie circa la sorte del cittadino americano. Proprio parlando di questa vicenda a inizio maggio, il segretario di Stato USA, Anthony Blinken, aveva ammesso che vi erano stati contatti con la Siria, così come con altri paesi, per individuare il luogo dove sarebbe detenuto Tice.

Le questioni cruciali relative alla crisi siriana non sarebbero dunque state prese per il momento in considerazione a Muscat. Né ci sono indizi circa la possibilità che i colloqui tra USA e Siria possano proseguire e con quali prospettive. Nessuna trattativa sarebbe in corso ad esempio in merito al futuro delle milizie curde, inquadrate nelle cosiddette Forze Democratiche Siriane, con cui i militari americani in Siria collaborano nel nord-est del paese. La fonte di The Cradle sostiene in generale che “le discussioni non hanno toccato nessun argomento politico o militare, ad eccezione della richiesta di Damasco di ritirare tutte le forze di occupazione dal territorio siriano”.

Lo stesso sito libanese in lingua inglese è in grado di rivelare a questo proposito che il personale militare americano stanziato illegalmente in Siria ammonta a circa duemila unità e le basi nel territorio del paese sarebbero almeno 22. A livello ufficiale, finora il Pentagono ha invece sempre fissato a 900 il numero di militari impiegati in Siria. Gli americani e le milizie curde con cui collaborano sottraggono regolarmente le risorse petrolifere e agricole della regione per poi contrabbandarle all’estero.

La ragione della permanenza di militari e contractors USA in Siria ha verosimilmente a che fare con la conservazione di una qualche leva per fare pressioni su Damasco nel quadro di un’eventuale futura soluzione diplomatica al conflitto. Più probabilmente, Washington intende perpetuare la destabilizzazione del paese per ostacolare il rafforzamento dell’asse della “Resistenza” sciita in Medio Oriente e, visti gli ultimi sviluppi, anche per cercare di frenare la normalizzazione dei rapporti tra i paesi arabi e il governo di Damasco.

Le ultime notizie sui colloqui diretti con rappresentanti siriani in Oman evidenza tuttavia una possibile revisione in corso delle politiche perseguite finora dagli Stati Uniti. Concretamente continua a non esserci traccia di un cambio di rotta in vista, ma, se i negoziati dovessero essere confermati, potrebbero essere il sintomo che l’amministrazione Biden inizia a sentire le pressioni della variata attitudine in Medio Oriente nei confronti di Assad. Da Washington si starebbe in questo caso preparando il terreno per un’uscita di scena dalla Siria non appena le condizioni nella regione dovessero diventare insostenibili.

Come anticipato all’inizio, la distensione tra la Siria e gli ex nemici arabi prosegue senza soste. L’Arabia Saudita ha consegnato al presidente Assad in persona un invito a partecipare alla riunione della Lega Araba che si terrà a breve a Jeddah. L’invito viene direttamente dal sovrano saudita Salman e sarebbe stato recapitato dall’ambasciatore del regno in Giordania, Nayef bin Bandar Al-Sudairi. L’ultimo vertice dell’organizzazione a cui aveva preso parte Assad era stato quello organizzato dalla Libia nel 2010. Sull’onda della finta rivoluzione alimentata dagli USA e dalle stesse monarchie sunnite del Golfo, la Siria sarebbe stata poi espulsa dalla Lega Araba nel novembre dell’anno successivo.

Questi ultimi sviluppi non sarebbero stati possibili senza gli sforzi di Russia e Cina per stabilizzare la regione mediorientale. Sforzi che stanno dando risultati importanti grazie all’espansione dell’influenza di entrambi i paesi in un’area del globo tradizionalmente dominata da Washington. L’evento determinante è stato l’accordo per il ristabilimento di normali relazioni diplomatiche tra Arabia Saudita e Iran a inizio marzo con la mediazione di Pechino. Un’intesa che ha gettato le basi per la possibile risoluzione di altri conflitti, incluso quello siriano.

A conferma degli equilibri in fase di riassestamento, proprio il governo cinese è intervenuto martedì pubblicamente per celebrare il ritorno della Siria nella Lega Araba. Il portavoce del ministero degli Esteri, Wang Wenbin, ha nel contempo denunciato duramente gli Stati Uniti, riconducendo a questo paese la responsabilità della “catastrofe” che la popolazione siriana ha dovuto sopportare negli ultimi dodici anni. La riammissione di Damasco nella Lega Araba, ha aggiunto Wang, “dimostra ancora una volta che, quando l’ombra degli USA si restringe, la luce della pace si diffonde”.

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